Per risanare l'Azienda Italia non «laissez faire» ma buongoverno

29 NOMI E COGNOMI Perrisanare ì''Azienda Italia non «laissez faire» ma buongoverno iiiiii OME in una leggenda metropolitana che corre di bocca in bocca dilatandosi a dismisura e diventando sempre più improbabile, così s'è adesso scoperto che i Fondamentali della nostra economia non vanno poi tanto male, anzi benino, se non proprio egregiamente. Sono i rovinosi Fondamentali della politica a porci in bilico sull'orlo del baratro. Come tutte le visioni troppo schematiche, anche questa, pur dotata di una sua base di verità, rischia di depistare. In realtà, negli ultimi dodici mesi, che hanno segnato la Waterloo di un sistema politico bloccato nella sua decrepitezza, le circostanze, più della stessa volontà politica, hanno condotto a due decisioni di immediato riverbero: la deindicizzazione del costo del lavoro e la svalutazione della lira che, accompagnate dalla modestia delle spinte inflazionistiche internazionali, hanno limitato i danni dell'annunciata recessione. Ma chi potrebbe mai sostenere che gli effetti di queste scelte obbligate e di queste circostanze favorevoli possano far da premessa a una ripresa duratura della nostra economia? Il benessere di un Paese non si sostanzia soltanto nel corso del cambio o nell'attivo della bilancia dei pagamenti, ma in un intreccio totale che non consente di distinguere in due sfere separate politica ed economia. Vendere meglio all'estero prodotti col favore del cambio non significa risanare il disavanzo pubblico, disboscare uno statalismo debordante e corrotto, né migliorare la qualità dei servizi. Tuttavia, gli effetti immediati e visibili degli atti che, sotto l'incalzare degli eventi, il Paese ha dovuto compiere sono la miglior prova di ciò che occorre e che si riassume in una parola un po' desueta: Buongoverno. Certo, quello presieduto dal professor Giuliano Amato, falcidiato dagli avvisi di garanzia e tormentato dai veleni prodotti dalla fase finale della prima Repubblica, non passerà alla storia come un esecutivo einaudiano. Ma se, tra i molti fallimenti, avrà contribuito almeno ad ammortizzare i morsi più gravi della recessione, non sarà semplicemente da accomunare, come ultimo governo del regime morente, a quelli che l'hanno preceduto. Quantomeno, dovrebbe passare alla storia perché, attraverso il ministro dei Beni Culturali Alberto Ronchey, è riuscito per la prima volta a tenere aperti i musei nei giorni di Pasqua e Pasquetta dell'anno di grazia 1993. Atto epico di Buongoverno, sostanzialmente privo di costi, ma di «ritorno» domestico e internazionale a nostro avviso incalcolabili. Anche questa è la Ripresa e non soltanto l'andamento dei numeri dei Fondamentali dell'economia, giustamente segnalati dal governatore della Banca d'Italia, da molti economisti e imprenditori. Negli ultimi Anni Settanta e in tutti gli Anni Ottanta, come reazione alle ubriacature programmatorie del periodo prece¬ dente, alcuni imprenditori sostenevano paradossalmente, in un'eccitazione da laissez faire, che le fasi migliori per le imprese erano proprio quelle delle frequenti crisi di governo e dei conseguenti vuoti di potere. I fatti hanno dimostrato quanto quella visione fosse miope, nonostante la scoperta della cappa ricattatoria che i partiti hanno fatto gravare sulle imprese quando le maggioranze funzionavano, sia pure in negativo, in un perfetto equilibrio spartitorio. Mancano soltanto tre giorni al referendum che dovrebbe consentire di riformare le nostre istituzioni e di rinnovare il sistema politico. Si discute accesamente sul tipo di governo che dovrà condurci all'elezione del Parlamento con le nuove regole. Governo istituzionale? Governo politico? Governo dei tecnici? O, semplicemente, come già la Costituzione peraltro prevede, governo sganciato dalle designazioni di partito e di corrente, sulla base del mai archiviato Manuale Cencelli? Se ciò di cui in effetti ha bisogno l'annunciata ripresa economica anche in una fase provvisoria di transizione istituzionale è, in una parola, il Buongoverno, allora vorremmo segnalare, per l'appunto, il casoRonchey, un piccolo esempio di pacata e fattiva efficienza amministrativa, che non richiede capipopolo di torme oceaniche, né tecnici di vaglia. E' vero che Fortebraccio si divertiva a chiamare Ronchey «L'Ingegnere», a causa della sua pignoleria giornalistica. Ma per fare Buongoverno quasi sempre non serve l'ingegneria, basta il buonsenso. Alberto Staterà eraj

Persone citate: Alberto Ronchey, Alberto Staterà, Cencelli, Fortebraccio, Giuliano Amato, Ronchey

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