Nora, quella bambola degli Anni Quaranta di Osvaldo Guerrieri
Ibsen nella rilettura di Beppe Navello Ibsen nella rilettura di Beppe Navello Nora, quella bambola degli Anni Quaranta Maddalena Crippa vitalissima eroina di un dramma sulla libertà femminile TORINO. Chi s'aspettava una Nora Helmer come questa? Nella cornice di quel suo Ottocento decoroso, modesto, ma ossessivamente proteso alla conquista del successo e del denaro, l'eroina di «Casa di bambola» è stata considerata il simbolo con cui Henrik Ibsen armava la sua battaglia a favore della libertà femminile, anzi del femminismo: il campanello che suonò imprevisto nel «palazzo mentale» dell'Europa, scrisse Savinio. E la ribellione di Nora appariva tanto più potente e sconvolgente, quanto più veniva legata al suo tempo. Da qui la sorpresa. Nello spettacolo del Teatro di Sardegna in scena al Colosseo fino al 25 aprile, il regista Beppe Navello fa compiere a Nora il balzo quasi d'un secolo. La gaia, spendacciona moglie dell'avvocato Helmer, la donna considerata scoiattolo, uccellino canterino, cicala, allodola, diventa una creatura degli Anni 40 che indossa ampie gonne a campana, canta motivi sdolcinati, cammina in punta di piedi, quasi danzando. Il che non distrugge il traliccio civile montato da Ibsen. Infatti anche da noi, nel dopoguerra, la donna aveva ancora molti lacci da sciogliere, era innanzi tutto moglie e madre, come Nora agli occhi del marito, il resto veniva dopo, se veniva. Acquista perciò una luce diversa questo dramma borghese che qualcuno ha definito «mattatoio borghese». La vicenda della donna innamorata che, per salvare il marito da una malattia, mortale chiede un prestito senza pensare alle conseguenze e poi, a causa della sua sventatezza, subisce un ricatto che manda all'aria il suo matrimonio, diventa una storia quasi Maddalena Cri pa per Ibsen contemporanea, un po' squallida nello spaccato domestico ideato da Luigi Perego, colma di un'allegria piuttosto dissennata e immobilizzata nello sbigottimento dell'ambiguo finale. Qui Nora «sbatte la porta» e se ne va, come voleva Ibsen; ma non ritorna, come pretesero molti, come sentenziò l'invadente psicoanalista Georg Groddeck: Nora riappare in proscenio e da fuori guarda il mondo che ha appena abbandonato. La semi-contemporaneità dello spettacolo è documentata ancora dall'interpretazione degli attori, soprattutto di Maddalena Crippa, che travalica persino il fatidico dopoguerra ed estrae dalla sua meravigliosa fisicità i toni di un certo cinema odierno, cresciuto all'ombra dell'Actor's Studio e placatosi nelle ombreggiature del serial televisivo. Mostra giustamente due facce, una infantile, l'altra matura e tragica; e poi è civetta, fragile, ansiosa, pasticciona. Ma soprattutto è una forza della natura, che mette un po' in ombra i pur bravi Roberto Alpi (Helmer), Luigi Mezzanotte (Rank), Isella Orchis (la signora Linde), Cesare Saliu (Krogstad), Daniela Di Bitonto (una severissima Anne Marie). Tanta attualità di clima entra però in conflitto con la traduzione di Roberto Alonge, studioso del drammaturgo e autore nell'83 del bel saggio «Epopea borghese nel teatro di Ibsen». Alonge usa un linguaggio abbastanza desueto, poco praticabile, decorato X<5k espressioni quali «lasciami nondimeno vedere». Peccato. E' come partecipare al Giro d'Italia in velocipede. Alla prima, molta at tenzione e applausi finali. Osvaldo Guerrieri Maddalena Crippa per Ibsen
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