La dolce vita è un sogno di Gianni Rondolino

Gli inediti di Fellini Gli inediti di Fellini La dolce vita è un sogno IL cinema racconta i suoi mondi, le sue storie, i suoi personaggi, con immagini - scriveva Federico Fellini in un piccolo libro esemplare, Fare un film (Einaudi, 1980) -. La sua espressione è figurativa, come quella dei sogni. Non ti affascina, non ti spaventa, non ti esalta, non ti angoscia, non ti nutre, il sogno, con le immagini? Nel cinema le parole e il dialogo, mi sembra, servono piuttosto a informarti, a permetterti di seguire razionalmente la vicenda e a darle un senso di verosimiglianza, secondo un criterio di realtà abituale; ma è proprio questa operazione che, riverberando sulle immagini riferimenti della cosiddetta realtà comune, toglie loro almeno in parte quel senso di irreale che è proprio dell'immagine sognata, del linguaggio visivo del sogno». Da quando Fellini, quarantanni fa, prima con Lo sceicco bianco, poi con / vitelloni e La strada, ha fatto parlare di sé e del suo cinema come di un superamento del realismo, o meglio del neorealismo allora imperante, verso i luoghi della fantasia e della memoria, del sogno e della poesia, il discorso critico si è sviluppato in diverse direzioni, di volta in volta cogliendo, positivamente o negativamente, i differenti aspetti della sua poetica, complessa e magari anche contraddittoria, ma sempre rifacendosi a questa sua componente «onirica» e «memoriale». Un dato costante della sua opera multiforme e pirotecnica, barocca e debordante, che sembra coniugare le fantasticherie di Wanda Cavalli, la protagonista dello Sceicco bianco, coi sogni a occhi aperti di Ivo Salvini, il protagonista de La voce della luna. Un lungo cammino cinema. tografico che pare giungere oggi a un punto d'arrivo definitivo, immodificabile, con quella sorta di consacrazione ufficiale che è l'Oscar alla carriera che gli viene conferito. Una consacrazione che rischia di appiattire l'intera opera felliniana lungo un'unica direttrice di ricerca e d'espressione: appunto la rappresentazione onirica e memoriale della propria realtà fantastica, in cui i dati biografici e storici, sociali e politici, paiono annullarsi nel grande spettacolo del suo cinema inimitabile, ma anche, forse, sotto questo aspetto, ripetitivo e persino manieristico. I film di Fellini sono invece come sottolinea Peter Bondanella, uno studioso americano autore d'un bellissimo libro uscito di recente {The Cinema of Federico Fellini, Princeton University Press, Pinceton 1992) non già i capitoli d'un percorso artistico lineare e conseguente, ma i diversi momenti di una creatività ricca e multiforme, che si accende a contatto con la realtà di tutti i giorni, con l'attualità, ed anche ovviamente con i ricordi e i sogni. Di qui l'impossibilità di ridurre a pochi elementi ricorrenti la ricchezza di proposte e di soluzioni poetiche che ogni film, in misura più o meno ampia, prospetta. Di qui la necessità di ripercorrere i cinquantanni della sua carriera - da quando esordi come caricaturista e scrittore umoristico e poi sceneggiatore cinematografico alla fine degli Anni Trenta sino a La voce della luna - in un'ottica critica meno semplicistica. Analizzando proprio, oltre ai singoli film da lui diretti, anche le prime sceneggiature, gli schizzi e gli abbozzi, la sua attività letteraria e i suoi molti disegni, persino i suoi spot pubblicitari. Da un lato, ci ricorda Bondanella, Fellini ritorna di volta in volta, ma sempre in modi differenti, a trattare alcuni temi fondamentali, come l'infanzia, l'educazione ricevuta, la donna, il bisogno di redenzione, la Chiesa cattolica ecc.: dall'altro, lo stile, attraverso il quale questi temi trovano la loro concreta espressione artistica, subisce delle alterazioni sostanziali, punteggiando in termini rivoluzionari alcuni momenti cruciali della sua carriera. Si ha così una doppia evoluzione, che percorre la sua opera aprendosi continuamente su paesaggi contenutistici e formali solo apparentemente simili. Grazie anche alla recente acquisizione (nel 1987) di una grande quantità di manoscritti originali di Tullio Pinelli e di Federico Fellini da parte della Lilly Library della Università dell'Indiana, dove insegna Bondanella, è stato possibile non soltanto ripercorrere dall'interno la genesi di alcuni film fondamentali, ma anche avventurarsi nell'analisi di alcuni testi rimasti inediti come //diavolo in convento o Paese felice o La famiglia, che risalgono all'incircaal 1950. La storia, quest'ultima, di 25 anni nella vita di una famiglia italiana, illustrata da una quantità di disegni umoristici di Fellini, è una curiosa anticipazione di temi che il regista svilupperà in seguito. Quanto al Diavolo in convento (che non ha nulla in comune col film dal medesimo titolo diretto da Nunzio Malasomma nel 1951), è l'avventura grottesca e satirica d'un frate laico, unico inquilino rimasto d'un monastero sulla costa ligure, che progetta di trasformare il convento in un hotel di lusso per turisti. Infine Paese felice, tratto da una idea di Luigi Barzini, è una satira dell'americanismo che mette a confronto ironicamente l'antica civiltà contadina dell'Italia con il presunto progresso civile dell'America. Sono spunti e frammenti d'un discorso ben altrimenti vario ed articolato, che dimostrano nel giovane Fellini, oltre ad un preciso e maturo «senso cinematografico» che si nota nelle molte indicazioni tecniche che fanno di questi manoscritti dei veri e propri film sulla carta, una gustosa e divertita visione del mondo. Più ancora una curiosità beffarda, un gusto del paradosso, una volontà di svuotare dall'interno certi clichés sociali e di costume, anche politici ed ideologici, che costituiscono la base stessa dell'intera opera felliniana. La quale opera, al di là dei ricorrenti richiami all'esperienza personale dell'autore, e a quel vasto bagaglio di immagini mentali, oniriche, memoriali, che sono, come dice Fellini, l'essenza stessa del cinema in quanto arte figurativa per eccellenza, va anche vista come una delle più acute e prospettiche rappresentazioni della società italiana dell'ultimo quarantennio. Una rappresentazione schermica che riesce a darci, ancor oggi (forse più oggi di ieri), un'immagine caleidoscopica delle mode e dei costumi, delle ideologie e dei progetti, delle illusioni e dei falsi miti, che hanno caratterizzato e ancora caratterizzano la nostra vita sociale e politica. Un'immagine deformata, come si addice alla grande arte; ma un'immagine più veritiera delle molte che il cinema italiano ci ha dato in questi ultimi quarant'anni. Gianni Rondolino

Luoghi citati: America, Indiana, Italia