«Ecco dov'è il crocefisso mitragliato»; vade retro, ghigliottina di Oreste Del Buono

Tangentopoli ma che colpa abbiamo noi lettere AL GIORNALE «Ecco dov 'è il crocefisso mitragliato»; vade retro, ghigliottina «Toscani, se vuole può andarci anche lei» La fotografia utilizzata dalla Caritas per la pubblicità (e definita un falso da La Stampa di sabato 10 aprile 1993, pagina 14) è stata scattata da Nino Leto, fotoreporter di Famiglia Cristiana, venerdì 19 febbraio, attorno alle ore 12,30. Leto, assieme all'inviato Alberto Bobbio, era andato a visitare la linea del fronte tra serbi e croati, presidiata dai caschi blu angolani dell'Onu sul fiume Glina, una ventina di chilometri a Sud-Ovest della città di Sisak. A circa seicento metri dal fronte gli inviati di Famiglia Cristiana hanno trovato quel crocefisso e lo hanno fotografato. Se Oliviero Toscani, abituato a «costruire» le foto, vuol verificare, ecco le indicazioni per arrivare sul luogo. Da Zagabria prendere la strada per Sisak. A circa dieci chilometri dalla città si incontra ad un crocevia un blocco croato. Poco prima del blocco si deve prendere a destra una strada che costeggia il fiume Kupa. Fatti 3-4 chilometri si passa il fiume a destra su un ponte di barche. Risaliti dall'altra parte si continua per una strada sterrata che porta alla linea del fronte. Si percorrono una decina di chilometri tra case distrutte. Si passa 11 villaggio di Vratecko. Si incontra sulla destra una casa bianca con scritte in inglese inneggianti alla libertà per la Croazia. Si prosegue seguendo la strada principale, che è quella segnata dalle tracce delle ruote artigliate dei fuoristrada. A un certo punto si arriva in un villaggio, al cui centro si trova un bivio. In mezzo al bivio c'è il crocefisso mitragliato. Pier Michele Girola, Milano Redattore capo di «Famiglia Cristiana» Martinazzoli ha sbagliato re Dalla Stampa del 31 marzo vengo a sapere che il segretario della democrazia cristiana, desideroso di bollare come infame l'abbandono del suo partito da parte di Mario Segni, ha paragonato il suo atteggiamento a quello di quel re di Francia che aveva detto «dopo di me il diluvio»: se gli si deve credere la massima di Segni sarebbe al contrario quella di provocare prima il diluvio per meglio risorgere dopo. Non vorrei naturalmente prendere posizione in un dibattito politico italiano e capisco molto bene che Martinazzoli abbia dei pensieri più urgenti delle vicissitudini della monarchia francese. Ma egli ha attribuito questo motto a Luigi XIV, mentre, se mai è stato pronunciato da uno dei nostri re, si tratta di Luigi XV. Non so se questo lapsus si spieghi con il desiderio di riportare più indietro la prospettiva della ghigliottina sulla quale in effetti si concluse quel regime, ma prendendomi la libertà di ristabilire quel punto storico sono orgoglioso di apportare il mio modesto contributo alla messa a punto della crisi politica di un Paese che amo molto. Fabrice Bouithillon Ecole Francaise Palazzo Farnese, Roma La suprema vergogna è ancora tra noi L'assedio neofascista del 1° aprile, davanti a Montecitorio, non può veramente non indignare e preoccupare. Il prossimo 25 aprile ricorrerà il 48° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Tuttavia a quasi mezzo secolo di distanza dal giorno che segnò la fine della dittatura fascista e nazista e l'inizio di un nuovo modello sociale, molti dei principi scritti nella Costituzione non si sono ancora tradotti in pratica. Dobbiamo tutti impegnarci a modificare una società a tutt'oggi ingiusta che non somiglia alle speranze dei martiri e dei combattenti della Resistenza al nazifascismo. Alessandro Galante Garrone ha scritto che gli «urli forsen- nati di Boia chi molla» (le) frasi oscene (le) magliette insozzate da ridicole frasi tracotanti (i) gesti spacconi hanno risvegliato, nei più vecchi, immagini sbiadite di un'età remota, precipitata nella suprema vergogna...». «Suprema vergogna» dagli inizi della dittatura fascista: le squadre fasciste, che gli storici e i poeti dipingevano con colori di leggenda, erano formate da gruppi di giovinastri in camicia nera, armati di bastoni; i fascisti invadevano le case degli avversari, di notte, e prelevavano, percuotevano, uccidevano. «Spedizioni punitive» compiute da decine di uomini in ogni città; gente senza scrupoli, brutale, abituata alla violenza. Giovinastri, che la poetessa Ada Negri, per prima, introdusse nella letteratura, definendoli «giovani così radiosi di corpo e di anima che sembrano re». E, peraltro, il ragioniere, il portinaio, il sottufficiale, la maestra credettero di elevarsi, di vivere grandi ore. «Ti dico la verità - si sentiva dire - non avremo più la libertà, ma le cose marciano». La mancanza di libertà dapprima apparve, a molti, un fatto grave, ma lentamente, con l'andar degli anni, gli italiani si accorsero di chiudere troppo spesso gli occhi davanti a cose e fatti di «suprema vergogna». E ora? «Che razza di classe politica!». «Sedi di partiti uguale covi di ladri!», sono due tra le varie esclamazioni che si sentono dovunque da parte di gente tribolata, ingannata, derubata. Ma non dobbiamo rendere - come, giustamente, suggerisce A. Galante Garrone - l'indebito prestigio di forze nuove o rinnovate a spurghi di putredine. Ritengo che la formazione delle giovani generazioni - e forse oggi più che ieri - costituisca, nella società italiana, il più prezioso e produttivo investimento sociale ed umano. Non va dimenticato, infatti, che il senso sociale - per dirla con P. Jaonen - è un'attitudine a percepire ciò che effettivamente serve al bene comune e a realizzarlo e concretarlo. Giulio Lunardi, Torino Papa Giovanni l'errore e l'errante Leggo su La Stampa di martedì 30 marzo, il bell'articolo di S. Berrettoni «I vescovi: cattolici state uniti», che mi offre l'opportunità di contribuire modestamente al chiarimento di un grave equivoco molto diffuso, non so se per miopia o per interesse. Non è affatto vero che Giovanni XXIII «ribadì la distinzione tra errore ed errante: Dio odia il peccato, ma invita alla salvezza il peccatore», secondo quanto ha affermato, come riferisce l'articolo, il segretario della Conferenza Episcopale, mons. Tettamanzi. Quel papa non era capace di simili banalità. Nella parte conclusiva dell'enciclica Pacem in terris (a cui fa evidentemente riferimento mons. Tettamanzi) si dichiara invece come si debba distinguere tra «false» dottrine e movimenti politicosociali che «da esse hanno tratto e traggono tuttora ispirazione. Giacché le dottrine, una volta elaborate e definite, rimangono sempre le stesse, mentre i movimenti suddetti..., non possono non andare soggetti a mutamenti anche profondi»: che è cosa ben diversa dalla tradizionale e ovvia distinzione «tra errore ed errante». Angelo Jacomuzzi Ordinario di Storia della critica letteraria facoltà di Lettere e Filosofia, Torino Divino Gualtiero grazie di esistere Due parole in coda all'articolo di Edoardo Raspelli sulla querelle Gualtiero Marchesi-Ezio Santin pubblicato ieri su La Stampa. Da giornalista enogastronomico, che si occupa di vino, ristorazione e cucina su diverse testate, prima che da «stizzito ghiottone» come mi ha spiritosamente definito l'amico Raspelli, vorrei far notare una cosa, forse rimasta nella penna del collega. La storia, l'evoluzione della ristorazione e della cucina italiana devono molto a Marchesi ed è innegabile che molti chef e patron abbiano deciso negli anni scorsi di percorrere determinate strade, di impostare in un certo modo i loro locali, di praticare determinati prezzi ispirandosi all'esempio e alla ventata di novità introdotti dal «divino Gualtiero». Molti personaggi della ristorazione, bravi e meno bravi, coerenti o furbetti, geniali o abili copiatori, se non fosse esistito un Marchesi avrebbero dovuto inventarlo. Anche se oggi preferiscono dimenticarsene. Franco Ziliani Seriate (Bergamo) RISPONDE O.d.B. Egregio signor Del Buono, dopo l'ultimo sviluppo dell'operazione «Mani pulite» sono in pieno accordo con quell'insegnante che assegnò più o meno questo tema: «Gli italiani non sono un popolo, una razza, ma un insieme di individui privi di identità, di dignità». Come italiano (purtroppo) mi metto in prima fila a capeggiare questo esercito di sconsiderati quali siamo. Che bell'esempio di cialtroneria ci viene dall'alto: tutti gli inquisiti «eccellenti» si sono prontamente dichiarati innocenti e vittime di oscuri complotti. Mi chiedo dove siano i colpevoliSergio Cianferoni, Torino GENTILE signor Cianferoni, mi meraviglio che lei si faccia ancora una simile domanda. Già da tempo siamo stati segnalati come colpevoli tutti noi. Ad accusarci sono proprio i maggiori inquisiti che ci rinfacciano di averli lasciati fare, di non aver mai protestato e di avere continuato a votarli, sebbene non potessimo non sapere quanto stava accadendo. E' una tesi che, indubbiamente, fa impressione, smuove qualcosa dentro a ognuno di noi e ci spinge a inoltrarci in ragionamenti sommamente pericolosi. In passato, mi è capitato di aderire più di una volta a qualche protesta del genere. Ma negli ultimi tempi mi capita di pensare in modo un poco diverso. Infatti, non mi pare proprio il caso di andare in depressione. Dopo tutto, non può es- Tangenma cheabbiam ntopoli colpa mo noi sere nostra colpa se non disponiamo di una classe dirigente appena capace. Quello che passa il convento è molto poco. La mediocrità nazionale è grande, ma, se siamo arrivati a un momento così gramo per tutti, con chi possiamo prendercela? Gentile signor Cianferoni, lei se la sentirebbe di fare il presidente del Consiglio o addirittura il presidente della Repubblica? Per quanto mi riguarda, neppure per sogno. Lei dice: «Il mondo intero ci guarda e ci compatisce: per una nostra presunta, dubbia immagine (ma soprattutto per autodefinizione) quell'italica genialità, ci stiamo ormai ritrovando addosso giudizi e atteggiamenti che normalmente si riservano agli inetti recidivi con pretese di grandezza». Gentile signor Cianferoni ci conviene prender le cose con più umiltà. Non pensiamo a quel che possono pensare di noi gli altri (che anche loro hanno i loro guai), pensiamo a noi, pensiamo di più ai nostri interessi, mentre si avvicina la nube tossica del referendum. Votando tizio o caio non li rendiamo più intelligenti, e neppure noi lo diventiamo, votandoli. E non votando né sì né no? Oreste del Buono Tangentopoli ma che colpa abbiamo noi

Luoghi citati: Bergamo, Croazia, Francia, Milano, Roma, Torino, Zagabria