Pasolini aveva torto e io non avevo ragione di Maurizio Assalto

il caso. Il nuovo libro di Fortini sull'amico avversario il caso. Il nuovo libro di Fortini sull'amico avversario Pasolini aveva torto e io non avevo ragione A] VEVA torto o io non avevo ragione». Lui, quello che sbagliava, è Pier Paolo Pasolini, il prota Igonista di roventi battaglie culturali nell'Italia del dopoguerra, morto tragicamente sul lido di Ostia 18 anni fa. Quello che non aveva ragione è Franco Fortini, il critico che ebbe con PPP un rapporto burrascoso, intessuto di grande affetto e brucianti polemiche. Con queste parole si apre il nuovo libro di Fortini che Einaudi pubblicherà ai primi di maggio: Attraverso Pasolini. «Ho raccolto tutti i miei scritti su Pier Paolo nell'arco di quarant'anni, dal '52 a oggi - ci spiega l'autore -. C'è anche l'intera nostra corrispondenza, all'80% già pubblicata nell'epistolario pasoliniano pubblicato da Einaudi, ma qui corredata da tutte le mie lettere, ordinata cronologicamente e inquadrata criticamente. Ho voluto fare i conti con me stesso, più ancora che con Pasolini, "attraverso Pasolini" e attraverso tutto questo periodo. E' anche un contributo all'interpretazione di una parte della storia d'Italia». Il racconto parte disteso: «Il nostro rapporto personale è stato molto intenso - ricorda Fortini -, molto bello anche nell'opposizione, soprattutto fra il '55 e gli inizi degli Anni 60. Ricordo che nel '56, al tempo dell'insurrezione ungherese, composi una lunga poesia, il cui destinatario era Pasolini, che trattavo con una certa rudezza. Ne fu entusiasta e volle pubblicarla sulla rivista Officina. Poi verso il '64-'65 Pier Paolo mi scrisse ripetutamente per sollecitare la mia collaborazione a Nuovi Argomenti, la rivista che dirigeva con Moravia e con la Morante. Ogni volta io rifiutai». Rifiutò: perché? Ecco affiorare le asperità: «Lo feci per ragioni politiche. In quegli anni si erano formati alcuni gruppi, radunati intorno a riviste come i Quaderni rossi di Panzieri, Opinione, Giovane critica, Quader¬ ni piacentini, che avevano un atteggiamento di critica molto risoluta nei confronti della politica culturale della Sinistra. Non eravamo soltanto "quattro gatti" volonterosi: eravamo "otto gatti", e incominciavamo a elaborare un pensiero che avrebbe fornito molto materiale al '68. Ricordo i funerali di Panzieri a Torino, nel '64: c'erano molti giovani che avremmo ritrovato alla testa delle università occupate». E Pasolini? «In questo periodo la sua posizione pubblica conobbe un vertiginoso successo, soprattutto per i film, da Accattone al Vangelo secondo Matteo. Nello stesso tempo manteneva un atteggiamento conflittuale con il pei, a cui però rimaneva sempre assai legato sentimentalmente. Con Moravia e la Morante aveva costituito a Roma un centro di potere. Il discredito politico di Pasolini fra i giovani era cresciuto in misura tale che i suoi scritti ideologici non venivano neppure presi sul serio. E poi non dimentichiamo che in quegli anni si costituì il Gruppo 63, avanguardia letteraria che con Pasolini non voleva avere niente a che fare. Proprio per recuperare un rapporto con le nuove forze intellettuali, Pier Paolo cercava di portarmi alla sua rivista». Ma non ci fu verso. E le incomprensioni crebbero fino a esplodere nel '68, quando Pasolini, dopo gli scontri di Valle Giulia, scrisse la celebre poesia sui poliziotti figli del popolo e gli studenti contestatori figli della borghesia. Tra Fortini e l'amicoavversario ci fu ancora un incontro nel '75, presso la sede dell'Espresso: nei suoi «scritti corsari» sul Corriere della Sera Pasolini veniva sviluppando una requisitoria feroce contro il Palazzo, e il direttore del settimanale, Livio Zanetti, aveva sollecitato un confronto. I due s?chiusero in una stanzetta, discussero animatamente, e uscirono senza dire nulla. «Dopo non lo vidi più», dice Fortini. Ma adesso, a quasi vent'anni di distanza, è disposto a riconoscere i meriti di quell'ultima fase pasoliniana. Con foga visionaria il poeta anticipava il crollo del sistema, parlava di resa dei conti, di colpe e colpevoli e diceva di sapere i nomi: «Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili. Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato». Una profezia di Tangentopoli? L'interrogativo è aperto. Fortini si limita a dire che «quanto è successo dopo la morte di Pasolini ha conferito un valore profetico al suo pensiero degli ultimi due anni». Ma, aggiunge, «questo non sminuisce la portata della rottura precedente, che verteva sull'interpretazione della politica nazionale e internazionale negli Anni 60. Solo alla fine vide quello che prima gli era sfuggito, quando fra il '67 e il '68 i giovani - guidati da alcuni "cattivi maestri", fra cui io - marciavano contro la corruzione e il consociativismo. Capì quando gli cadde addosso l'Italia di Petrolio)). Maurizio Assalto «Negli Anni 60 era screditato presso i giovani. Ma alla fine ebbe intuizioni profetiche» Qui accanto, Sanguineti e Giulio Andreotti Pier Paolo Pasolini e, a sinistra, Alberto Moravia. Sotto, a destra, Franco Fortini

Luoghi citati: Italia, Petrolio, Roma, Torino