ATELIER BRONX Le statue viventi

Così l'arte di due scultori è diventata «proprietà» dei più poveri, nel quartiere della violenza Così l'arte di due scultori è diventata «proprietà» dei più poveri, nel quartiere della violenza ATELIE Le statue viventi w |l NEW YORK I "idea di chiamarsi «Città I aperta» è venuta, a John I i Ahearn e a Rigoberto MAJ Torres, quando hanno esposto le loro sculture a Washington. Ma i due sono grandi inventori di nomi. Il negozio di Walton Avenue, nel quale hanno cominciato a fare le sculture con «clienti» che aspettavano in fila, come da un barbiere, si chiamava «Fashion/ Moda». John Ahearn dice di aver scelto il negozio con la vetrina per permettere alla gente del quartiere di vedere quello che fa un artista. Nel suo caso (il suo e quello di Rigoberto Torres) un artista fa i ritratti della gente (in gran numero donne e bambini), perché gli uomini del quartiere sono lontani, sono al lavoro, o sono in prigione e la gente viene, ovviamente, a guardare quello strano mestiere. Ma poiché sia Ahearn che Torres fanno ritratti in fibra di vetro o in plastica molto simili al vero (e colorati in modo naturalistico), guardando la vetrina di «Fashion/Moda» si poteva avere l'impressione che il negozio fosse affollato di persone. O gremito di statue. Osservando bene (adesso mi mostrano le fotografie, il laboratorio si è spostato in Jerome Avenue) si vede che in parte sono persone e in parte sono statue, stessi colori, stesse posizioni, stesso formato. Anche perché i due scultori del Bronx hanno un occhio straordinario per le posizioni naturali delle persone che ritraggono. E la gente, a forza di guardarsi nel proprio «doppio» scolpito, ha finito per riconoscere e adottare le stesse pose. Vediamo che sono questi due artisti che lavorano a dieci miglia da Manhattan, lontano dalle gallerie e dai luoghi di esposizione e che hanno trasformato in luogo di esposizione le case e le strade del Bronx. John Ahearn è un missionario bianco, duro, angoloso, un personaggio simile ai gesuiti di Mission, di quelli cioè che si fanno accettare per la loro totale diversità ma anche a causa di una volontà caparbia di restare, di diventare «uno del posto». Ahearn vive nel Bronx, lavora nel Bronx, espone nel Bronx (cioè per le strade). Quando fa troppo freddo, due o tre senza casa gli scivolano dentro lo studio, dove ci sono divani un po' ovunque, con dei piumoni. E quando fa caldo, lui scende in strada e guarda, come gli altri, la televisione sul marciapiede. O meglio, lui guarda loro che guardano, e parlano e giocano. E dopo due o tre giorni, qualcuno trova il proprio ritratto, appeso a un muro o esposto nella aiuola spartitraffico. Rigoberto Torres è - come dice lui - un indigeno. E' nato nel negozio di statuine religiose del padre. Tutti dovevano scolpire madonne e santi in quel negozio e il bambino ha imparato. John Ahearn è venuto nel quartiere lasciando una buona famiglia, la Cornell University (Scuola di Architettura) e il cinema, dove aveva fatto i primi passi costruendo maschere per effetti speciali. La sua idea fissa è che un artista deve stare dove sta la gente e ritrarre la vita di tutti i giorni. Sul marciapiede ha visto Torres lavorare alle sue statue che, dice Rigoberto, sono cresciute di dimensione con lui. Le faceva piccole da bambino e le fa in grandezza naturale da adulto. Torres è andato a vedere il lavoro dello scultore-missionario e ha cambiato stile. Ovvero ha tolto ai suoi santi «i vestiti del Paradiso» come lui dice, per mettergli sneakers e magliette. Così è nata «Città aperta», un bianco e un nero, un universitario e un ispanico, un colto e un «naif», per le strade di un quartiere in cui è una fortuna evitare proiettili vaganti. Adesso lo «studio» in Jerome Avenue è una specie di social club del quartiere. La gente passa, sta un po' a guardare il lavoro, qualcuno si riposa su un divano, i bambini si siedono in terra. Ed è qui che è nata l'idea di «Avenida de la Revolución». Ahearn era stato in Messico. E a Città del Messico aveva visto le statue degli eroi, disseminate lungo l'aiuola centrale che divide per miglia l'Avenida de la Revolución. Aveva fatto delle foto e ha deciso di realizzare in Jerome Avenue lo stesso progetto. C'erano due differenze. Lo spartitraffico di Jerome Avenue sono montagnole di rifiuti e di carcasse dei topi morti (una scultura famosa di Ahearn sono due bambini muniti di bastone che si intitola «I cacciatori di topi»). E gli «eroi» che Ahearn intendeva collocare in mezzo alla Avenue sono gli abitanti del Bronx. E' così importante, per lui, il quartiere, che nelle pagine interne dei suoi cataloghi Ahearn mette sempre una pianta topografica del Bronx con l'indicazione del punto in cui abita e lavora, e dei luoghi in cui ha dislocato le sue sculture. Chi paga un simile lavoro «pubblico» nato dall'invenzione e dalla caparbia energia di due scultori? Nel caso di Jerome Avenue, la polizia. Il Dipartimento di polizia di New York, infatti, aveva inaugurato una nuova sede, un fortino blindato che deve servire da base per gli interventi veloci nel quartiere più sanguinoso della città. E qualcuno delle «Pubbliche relazioni» del Dipartimento di polizia aveva avuto l'idea: «facciamo qualcosa che ci leghi al quartiere». Con i soldi della città, John Ahearn ha cominciato a costruire le statue di Jerome Avenue. Una bambina prostituta, un «pusher» con un cane d'assalto pit-bull (il tipo di cane che non perdona), un ragazzo nero con la tipica radio che assorda. Alla stazione di polizia non nascondono di essere stati delusi. Avrebbero voluto «personaggi esemplari». «Ma sono personaggi esemplari», ha spiegato l'artista. La sequenza di «eroi» de la Avenida de la Revolución newyorkese è continuata con il ritratto di donne e bambini che il destino ha spinto a vivere su quella strada. Poi, con Rigoberto Torres, è cominciato il lavoro «porta a porta». Sono due le ricerche da fare «sul posto». Una è la vita, la gente, le case, i giochi, gli eventi. L'altro è dove mettere le sculture che, nel pensiero di questi due autori, devono sempre essere pubbliche. Oppure appartenere alle persone del posto. Infatti se andate a Washington a visitare la mostra «Open City» organizzata dalla Washington Project - una sorta di museo ambulante con sede non fissa, che opera soprattutto nella zona nera della città - notate che tutte le statue di Ahearn e di Torres appartengono alla «collezio¬ ne» di qualcuno. Non chiedetevi chi sono. Non li trovereste da Sotheby's e da Christie's. Sono famiglie del Bronx che hanno «adottato» una delle sculture, e la tengono in casa. Ora poi che Torres e Ahearn hanno iniziato la serie della «gente insieme» (due o tre persone che si tengono per mano, si abbracciano, un adulto e un bambino, un bianco e un nero, marito e moglie, due bambini, due adulti, anche tatuati e minacciosi, ma in un atteggiamento d'affetto) le collezioni «private» sono molto aumentate. Ahearn e Torres chiedono solo che le sculture restino disponibili per le fotografie dei cataloghi e per chi vuole andarle a vedere. Le altre statue, se non stanno nella Avenida (ma la polizia, delusa, vuole farle rimuovere) sono di fronte agli ingressi dei «tenements» (le tragiche case popolari a basso costo dove sono ambientati i film-denuncia degli ultimi anni) oppure nell'atrio, se una casa ha l'atrio. Oppure ancora appese ai muri esterni delle case, dove c'è spazio. Fa effetto, in Kelly Street, vedere i bambini che giocano al salto della corda di fronte alla loro immagine identica, bambini che giocano al salto della corda sul muro della parete di cemento e mattoni alle loro spalle. E così il Bronx ha le sue collezioni d'arte, dentro e fuori dalle case, nelle strade, sui muri, davanti alle porte. Ora che John Ahearn e Rigoberto Torres sono diventati famosi (alcuni dei più importanti musei americani comprano i loro lavori, molte Fondazioni, a turno, pagano le spese o commissionano questo riprodursi di lavoro spontaneo) qualcuno sta pensando di organizzare visite guidate nel Bronx, lungo le strade, le Avenues e i campi da gioco indicati nel risvolto dei cataloghi di Ahearn e di Torres. C'è un solo problema, dicono gli operatori del turismo culturale. Ci vorrebbero autobus a prova di proiettile, e finora nessuno li ha fatti. Ma i due artisti possono sempre essere rintracciati al loro indirizzo di Jerome Avenue, oppure chiedendo a Bobbie the Swiper, una pazza gentile che si ostina a pulire un tratto di strada davanti allo studio, e poi vi dorme gratis, la notte. Continuano a lavorare per «le collezioni private» del Bronx. Lavorano in studio ma anche «a domicilio» e tutto quello che chiedono è un'ora di pazienza ai loro modelli. Bisogna fasciarli nelle pezze imbevute di gesso molle, per fare i calchi. S'intende che quando lavorano «a domicilio», si riunisce una gran folla sul posto. E per qualche ora cessano stupri e rapine. Tutti guardano incantati questi due strani maghi, uno biondo e uno scuro, uno che viene da lontano e uno del posto, che qualche ora dopo sono in grado di consegnarti un altro te stesso. Ci sono i lavori in bronzo, opere più recenti. Sono soprattutto quelle destinate a restare definitivamente in un luogo pubblico. Anche se - non essendo ancora stati classificati monumenti - le statue dei due scultori vengono continuamente rimosse. O perché qualcuno le vuole più vicine, o perché a qualcuno non piace quella particolare immagine (e allora Torres e Ahearn si rimettono al lavoro e ne fanno un'altra). Il fatto che ha incuriosito i critici e che sta creando il successo dei due scultori (soprattutto di Ahearn) è che le loro statue, che piacciono poco al municipio, molto alla gente del posto, e moltissimo agli esperti dei Musei d'Arte Moderna americani, non sono veramente realistiche. Non alla maniera di Hanson o di Seaward Johnson. C'è, in ciascuna di esse, una quasi impercettibile interpretazione, malinconica, comica, drammatica o poetica, della persona e del gesto che sta facendo. C'è la rappresentazione e il commento di una vita. C'è, struggente o tragica, la firma dell'autore. Padre Hennesy, della chiesa di Cristo Re, all'angolo fra Jerome Avenue e la 170a strada, si domanda se il modo di vivere e lavorare di Torres e di Ahearn sia «un tipo di santità». Sta lì ad ammirare e non sa rispondere. Furio Colombo ATELIE Una via del Bronx, il quartiere di New York assediato dalla degradazione e dalla povertà Qui accanto e sotto, due opere di Ahearn «Sneaker Town», dell'81, di John Ahearn. Con l'amico Rigoberto Torres, Ahearn aveva aperto uno studio sulla strada: la gente faceva la coda per avere la propria scultura

Luoghi citati: Città Del Messico, Manhattan, Messico, New York, Sotheby's, Washington