Cacciatore di quattrini fra intrighi e garofani

Cacciatore di quattrini fra intrighi e garofani Cacciatore di quattrini fra intrighi e garofani IL BOCCONIANO DEL P5I QUEL nome monumentale, Ferdinando Mach di Palmstein, evocante arcani manieri mitteleuropei, risuona per la prima volta nelle redazioni quasi tre lustri orsono. Correva il 1979 e si cercava di capire che cosa fosse esattamente l'affare EniPetromin, 100 e passa miliardi di tangente che non si sapeva bene a chi finissero e di cui Rino Formica, amministratore del psi, parlava con sdegno a chiunque incontrasse. Associato al roboante nome patrizio, una sigla un po' meno nobile: Coprofin. A chi a scuola abbia studiato il greco non c'è bisogno di spiegare che copros significa, come dire... cacca. E qualcuno ricorderà l'antica teorizzazione di Formica, secondo cui la politica non è altro che «sangue e merda». Immaginate perciò l'effetto dei due nomi accoppiati. Sì, perché fin quasi dalla fondazione, nel 1977, il giovane di Palmstein, trentenne (allora) di origine svizzera con madre spagnola e studi alla Bocconi, della Coprofin è l'amministratore delegato. Ma cos'è mai una società che forse involontariamente, ma profeticamente, risponde a un appellativo «stercorario»? Nient'altro che una scatola di mano del nuovo psi.del Midas, che sentendosi assediato dalle «forze della reazione», prima di ogni altra cosa pensa a darsi una struttura finanziaria, insomma a trovare il grano. Non è una nostra interpretazione, ma una certezza, perché ce lo raccontò personalmente in quel periodo proprio l'amministratore socialista Rino Formica, esclamando: «Non crediate che i partiti siano come preti medievali, devono pur vivere!». Alla commissione Bilancio della Camera, che nel 1981 indagava invano sull'affare Eni-Pelromin, Formica fu più preciso: «Il dottor Mach - raccontò senza neanche sfumare troppo le allusioni - è amministratore delegato di una società costituita ufficialmente da due società del psi, la Sofinim costituita da Nario Nesi, e la Editfin creata da me. La Coprofin ha rapporti con i Paesi dell'Est e del Terzo Mondo. Si è occupata di operazioni in Mozambico, in Jugoslavia, in collaborazione con l'Eni...». Più chiaro di così... Insomma oggi, più di dieci anni dopo, i giudici che vogliono arrestare il Palmstein cominciano a scoprire una storia già tutta scritta. Ma da dove cominciare per raccontarla? Sì, perché descrivere l'ormai un po' stagionalo bellimbusto italo-ispanico-svizzero significa ripercorrere quindici anni interi di scandali e intrighi così intrecciati tra loro da aver perso la loro identità originaria per finire nell'ormai infinito calderone definito per brevità Tangentopoli: dall'Eni-Petromin all'Enimont, dallo scandalo dei petroli alla P2, dai fondi neri dell'Iri ai traffici sui fondi della cooperazione e a quelli di armi, dal Banco Ambrosiano a... Chissà. Quando nel 1979 il nome di Mach di Palmstein viene fatto per la prima volta è perché il 10 giu- gno di quello stesso anno, in compagnia di una bella e misteriosa ragazza, il giovanotto si presenta a un appuntamento in una piazza milanese con il presidente dell'Eni Giorgio Mazzanti. Gli propone una soluzione alternativa rispetto al contratto petrolifero con la Petromin, che avrebbe prodotto una tangente di 100 e passa miliardi destinata, si diceva, alla sinistra socialista di Signorile e ad Andreotti. A nome di chi Mach parli con il Mazzanti arrabbiatissimo non v'è dubbio alcuno. Appena ventenne, il giovanotto è già iscritto al psi milanese, sezione Monforte, frequenta Pillitteri, Tognoli, Martelli e Craxi. Il quale apprezza come in sezione il bocconiano dal cognome doppio si scontri violentemente con quei carristi, come si diceva allora, di Vecchietti e Achilli. Fatto sta che quando scende a Roma, dopo essere stato eletto segretario al Midas, Craxi porta con sé da Milano due sole persone: Martelli, poco più che trentenne, e, per l'appunto, il poliglotta dal nome altisonante, di qualche anno più giovane. Per prendere il potere, per governare il Paese, prima di tutto bisogna sconfiggere l'opposizione interna, che è allora incarnata da Signorile: ha collega- menti, ha denari, ha il vero potere e Bettino ci può lasciare le penne. Vista oggi, alla luce di Tangentopoli, l'intuizione del giovane bocconiano appare geniale, ne fa quasi un rabdomante di denaro. La Coprofin e le altre società che costituisce d'accordo con Craxi e Formica aprono sedi a Maputo, a Dakar, a Bucarest, e si occupano di tutto, ma soltanto con uno scopo: incassare tangenti. Se vengono di qua o di là poco imporla. Sentite come la racconta in una deposizione giudiziaria il vice di Mach, Marino Cervellini: «All'estero noi curiamo i contatti con le autorità governative locali, natu¬ ralmente in collegamento con le rappresentanze diplomatiche italiane (ne sa qualcosa l'ex ambasciatore in Senegal e in Argentina Claudio Moreno, oggi in prigione, che taglieggiava le imprese pretendendo perfino forniture di vino, ndr). In Italia curiamo l'assistenza per l'istruzione delle pratiche per la concessiopne dei finanziamenti alle società estere che acquistano in Italia, sia presso le banche che presso i ministeri competenti. Per tali attività viene stabilito un compenso che va dal 2 al 7 per cento». Ecco a voi la preistoria della potenza finanziaria del psi craxiano. Nel 1981 Mach è dunque un rabdomante di denaro nero di tutto rispetto, naviga da par suo in tutto il sottobosco spionistico e affaristico che ruota intorno al potere, così ben interpretato nel nome della sua società. Presenta quello spione di Francesco Pazienza a Martelli, indicandolo come l'uomo che gli può organizzare un viaggio negli Stati Uniti, cosa che ha già fatto per Flaminio Piccoli. Lo presenta anche a Craxi, che poi stringerà i noti rapporti finanziari con Roberto Calvi e con l'Ambrosiano sull'orlo del crack. Ma è nel 1983 che il giudice Carlo Palermo, oggi deputato della Rete, indagando su un traffico d'armi organizzato dall'ex ufficiale dei servizi segreti Massimo Pugliese, s'imbatte in Vanni Nisticò, ex capo ufficio stampa del psi. Questi gli dice pressappoco: «Che vuole da me? Di queste faccende si occupa Mach di Palmstein». Proprio in quei giorni Mach sta per sposarsi per la seconda volta. Palermo non s'impietosisce, gli perquisisce case e bottega e lo mette sotto torchio. Ma poco male: per festeggiare il matrimonio Mach ha organizzato un ricevimento alla Taverna dell'Orso, un night-ristorante vicino al Lungotevere. Nonostante le circostanze, va tutto bene, il locale viene invaso quella sera da tutto il potere del garofano, mischiato con spioni, imbroglioni, procacciatori d'affari. Il giudice Palermo fa i suoi passi falsi e viene punito, ma per un po' il rabdomante di denaro del psi è costretto a ritirarsi nella villa della madre a Ibiza. Vi soggiorna per poco, almeno a giudicare dalle vicende fin qui note in cui si rintraccia il suo zampino: dai fondi neri dell'Iri (un miliardo e 800 milioni riscossi non si sa a che titolo) al caso Maiocco di Torino; da una tentata scalata alla Falck, fino all'affare Enimont. Ma l'elenco completo non è consentito dalle righe di cui disponiamo. Negli ultimi anni, per la verità, il Palmstein s'è mostrato poco, operava con il gruppo detto «I tre dell'Apocalisse», che vedava al suo fianco Sergio Cusani e Pompeo Locatelli. Poi, ad opera di Di Pietro e soci, son spuntati i Larini, i Pacini Battaglia, i Cagliari... E s'è capito che il gruppo dell'Apocalisse è in realtà più esteso, è quasi un esercito. Ma il vero radiomante di pecunia sporca ha studiato alla Bocconi. Se anche lui si deciderà a parlare... Alberto Staterà Dai cento miliardi dell'affare Eni-Petromin ai fondi neri dell'Iri Il faccendiere Francesco Pazienza: fu lui a presentare Mach di Palmstein a Martelli