I camaleonti del '43 dal Duce all' antifascismo

il caso. Dagli archivi svizzeri, storie di industriali rifugiati | il caso. Dagli archivi svizzeri, storie di industriali rifugiati | I camaleonti del '43 dal Duce airantifascismo L più patetico, difendendosi nel '45, fu l'ex ministro delle Finanze Giuseppe Volpi: «Egli pianse quando l'Italia dichiarò guerra alla Francia, e... sposò in seguito la sua seconda donna sebbene fosse francese». Il più onesto, Agostino Rocca, amministratore delegato della Dalmine, dell'Ansaldo, della Finsider: «Ammetto di aver creduto sinceramente al fascismo, nella illusione che esso potesse realizzare le aspirazioni di ordine progressista e sociale, alle quali tendevano i combattenti della guerra 1915-18». Il più ipocrita, Franco Marinotti, presidente e amministratore delegato della Snia Viscosa: avrebbe sempre tenuto un «comportamento di resistenza e di contrasto a molti abusi del fascismo». Tutti, comunque, se la cavarono con processi edulcorati e presto tornarono in sella. E' la «mancata epurazione» nel 194546, dovuta alle pressioni normalizzatrici degli alleati, alle scelte politiche dei settori più moderati e anche alla mancanza di grinta delle sinistre (vedi la «amnistia Togliatti» del '46). «Noi industriali siamo ministeriali per definizione», soleva dire il senatore Giovanni Agnelli. Tanto è vero che Ernesto Rossi conterà sulle dita di una mano quelli che si erano tenuti dignitosamente in disparte durante il Ventennio: «Alberto Frassati, della Italgas, di Torino; Camillo Olivetti, fabbricante di macchine da scrivere, di Ivrea; Eugenio Rosasco, setaiolo di Como, i Costa, produttori di olio e armatori di Genova». E' il 1943 l'anno della svolta. Non c'è bisogno di essere particolarmente illuminati per capire che dopo Stalingrado le sorti della guerra sono segnate. Inizia un periodo difficilissimo, in cui i capitani d'industria si devono mantenere in equilibrio instabile fra partigiani e tedeschi o fascisti, spesso ricercati o arrestati dagli uni e dagli altri. In molti casi, si rifugiano nella vicina Confederazione, che non concede asilo politico, però rinnova permessi temporanei di soggiorno. «Profughi di lusso» li chiamerà con malcelato astio il giornalista Ferruccio Lanfranchi: «Costoro non dividevano le sorti dei rifugiati comuni, non andavano a sbucciar patate o a scopare pavimenti nei campi di quarantena e di smistamento, come la maggior parte dei patrioti, tra cui erano professionisti e artisti e scienziati. Trovavano invece ospitalità presso cliniche lussuose, dove non mancavano di nulla e fruivano dixuna certa libertà». Profughi di lusso. Industriali e manager di Stato dal fascismo alla epurazione mancata s'intitola un breve saggio di Sandro Setta (Franco Angeli), in libreria a giorni. L'autore ha frugato negli archivi svizzeri e ne ha tratto una serie di tessere su alcuni protagonisti del mondo imprenditoriale italiano. Questi i personaggi (oltre ai ricordati Volpi, Rocca e Marinotti): Alberto Pirelli, Vittorio Cini, Piero Puricelli, Antonio Stefano Benni, Aldo Rossini, Giuseppe Mastromatteo, Guido Donegani e Gaetano Marzotto. Di sfuggita compaiono noti editori: Arnoldo Mondadori, entrato clandestinamente in Svizzera 1' 11 novembre del '43, di cui si legge - in un rapporto elvetico - che si era prodigato nell'aiuto a funzionari e amici israeliti, e che si era rifiutato di collaborare con i tedeschi (di Mondadori, uscirà presso la Utet in ottobre una robusta biografia del professor Enrico De Cleva); lo svizzero Carlo Hoepli, al quale Mussolini in persona si era rivol¬ to nell'estate del '44 perché cercasse di ottenere dalle autorità elvetiche un asilo per i propri familiari; Aldo Garzanti, di cui il Cln aziendale domandava alla fine della guerra la non sostituzione, in quanto «politicamente è persona a posto» (mentre i lavoratori chiedevano un commissario, «dato che il signor Garzanti non è ben visto a causa del suo modo di trattare gli operai»). Protagonisti del saggio sono gli industriali. Uno dei casi più avventurosi fu quello dell'imprenditore tessile Franco Marinotti. La politica autarchica aveva favorito lo sviluppo della «sua» Snia Viscosa ed egli si era mantenuto fedelissimo a Mussolini fino all'ultimo. Non più tardi del marzo 1943, si rivolgeva così agli industriali di Varese: «Camerati, facciamo che la Patria ci consideri accanto a chi santamente combatte ed a chi tenacemente lavora, ci senta degni di questa ora eroica...». Ma dopo il 25 luglio cominciava il suo percorso a zig-zag. Subito inviava i più fervidi auguri a Badoglio, però dopo l'8 settembre rimaneva tranquillamente a Milano, avendo stretto un accordo con i tedeschi per continuare la produzione. Accusato dal Cln Alta Italia, doveva anche sottrarsi agli attacchi dei repubblichini, che lo arrestavano nel marzo 1944, mollandolo dopo 21 giorni A sinistra,So a San Vittore grazie all'intervento tedesco. In ottobre espatriava in Svizzera con un visto di tre settimane per necessità commerciali. Poi chiedeva una proroga, adducendo il suo stato di pericolo in Italia. Ciò nonostante rivarcava la frontiera poco dopo e si recava in una villa di Cernobbio con una macchina delle SS, essendo stato prescelto dai tedeschi come intermediario per uno dei loro primi tentativi di resa in Italia. Ancora una volta, il 7 dicembre, è in Italia, a Milano, a una colazione in onore dell'ambasciatore Rahn. Nel frattempo, con abilità manovriera, finanzia la Resistenza e coltiva le proprie relazioni con gli inglesi. Inglesi sono anche gli azionisti di maggioranza della Snia. E dopo la guerra - quando le autorità italiane hanno spiccato contro Marinotti un mandato di cattura e lui risiede nella sua villa di Zurigo - questi stessi azionisti sosterranno che l'industriale «ha fatto di tutto per salvaguardare gli interessi inglesi nella So¬ cietà». Anche i Cln aziendali riconosceranno nell'aprile del '46 «i meriti di Franco Marinotti e l'opportunità del suo rientro» alla Snia. E così il camaleontico imprenditore nel maggio '47 torna a essere eletto presidente e amministratore delegato della sua società. Analogo il caso del conte Giuseppe Volpi di Misurata. Il suo impero si estendeva ai settori elettrico, ferroviario, turistico, bancario. Aveva accumulato la sua fortuna ben prima dell'avvento del fascismo, ma aveva pienamente aderito al nuovo regime, ottenendo la carica di ministro delle Finanze fra il '25 e il '28, poi quella di presidente della Confindustria dal '34 al '43. Di un distacco dell'industriale dal fascismo, si ha notizia sin dalla fine del '42, ma non vi è nessuna prova di una sua partecipazione al «colpo di Stato» del 25 luglio. Per di più è vecchio e malato. L'8 settembre si trova a Roma e il 23 viene arrestato dalle SS e trasferito in una clinica. Solo in feb¬ braio, grazie all'intervento di Graziani e Buffarmi Guidi, viene rimesso in libertà. Dopo un paio di tentativi di ingresso clandestino in Svizzera, il 29 luglio del '44 ottiene l'asilo. Denunciato nel maggio del '45 dal Commissariato per le sanzioni contro il fascismo, anche contro di lui, in dicembre, viene spiccato mandato di cattura, dopo il sequestro dei beni. Gli svizzeri se ne libererebbero volentieri, ma Volpi si appella al suo precario stato di salute, finché nell'aprile del '46 - visto che altri ex sostenitori del regime se la stanno cavando senza troppi danni chiede di essere sottoposto a una commissione d'indagine. Ottiene giudizi lusinghieri e nel gennaio del '47 la corte d'assise di Roma lo proscioglie da qualsiasi imputazione, con una sentenza in cui si vantano i suoi meriti tecnici: «Fu il fascismo a giovarsi di lui». Più drammatiche le vicende del conte Vittorio Cini di Monselice, collaboratore di Volpi nella realizzazione di Porto Marghera e «risanatore» del complesso siderurgico Uva. Assai vicino al regime, senatore nel '35, verso la fine del '42 non nutriva più alcuna speranza nella vittoria e aveva accettato a malincuore la nomina nel febbraio del '43 a ministro delle Comunicazioni. Accusato di aver contribuito al «25 luglio», era stato arrestato dalla Gestapo a Roma e spedito nel campo di concentramento di Dachau. Solo un anno dopo, nel settembre del '44, riusciva a rifugiarsi in Svizzera. L'anno successivo, sottoposto il suo passato all'esame delle varie autorità, ne usciva pienamente riabilitato. Tutti i casi si concludono allo stesso modo, pur essendo i partiti di sinistra del Cln rappresentati negli organi di epurazione. Da qui l'ipotesi di Setta secondo cui in fondo la classe operaia «si poneva in prima fila nella difesa del comportamento dei "padroni" e nel chiederne il ritorno ai posti di comando». Sandro Gerbi Marinotti, presidente della Snia Viscosa, inneggiava al regime e finanziava la Resistenza. Benito Mussolini chiese all'editore Hoepli asilo per la famiglia | A sinistra, Arnoldo Mondadori Sotto: Camillo Olivetti Vittorio Cini, nel "43 ministro delle Comunicazioni. Nella foto grande: Mussolini con i figli