A quel tavolo lo Stato Maggiore della Piovra di Francesco La Licata
A quel tavolo lo Stato Maggiore della Piovra A quel tavolo lo Stato Maggiore della Piovra Il gran consulto sarebbe avvenuto durante la guerra fra clan POLITICA E LUPARA CHE passerella di personaggi nei ricordi che popolano la scena descritta dai pentiti: boss di prima grandezza, Bontade, Badalamenti e Salvatore Inzerillo - lo stato maggiore di Cosa Nostra - seduti attorno a un tavolo con Andreotti, che non era più presidente del Consiglio ma presiedeva la commissione Esteri. E per contorno i maggiorenti locali della democrazia cristiana: i cugini Ignazio e Nino Salvò di Salemi, potenza economica del Trapanese in feeling con il gruppo de Gioia-Lima-Ruffini; Rosario Nicoletti, nel 1981 segretario regionale della de, Salvo Lima leader andreottiano e «padrone delle tessere» e forse anche Giovanni Gioia o il fratello Luigi. Tutti insieme, dicono i pentiti, per cercare di capire quello che stava accadendo, dopo le uccisioni di Michele Reina e la terribile sfida col massacro di Piersanti Mattarella, il 6 gennaio del 1980. Certo, a pensarci, ha dell'incredibile il racconto di Francesco Marino Mannoia. Come non cedere allo scetticismo, immaginando una simile riunione. Toccherà ai giudici fornire argomenti convincenti, sul piano delle prove. Eppure, così come l'hanno raccontato quel summit una logica ce l'ha. Prendiamo i protagonisti. Da un lato, un gruppo di potere politico-affaristico (subentrato all'influente Bernardo Mattarella) che da sempre gestisce il benessere economico fondato sul «quieto vivere» e la «pax mafiosa». Dall'altra, il vertice di Cosa Nostra, quello fino a quel momento «riconosciuto», che garantisce voti e stabilità in cambio di «favori»: da una sorta di pressoché totale impunità ai soldi e agli appalti. Si incontrano, le due «entità» (per usare il vocabolario di Buscetta), nel momento in cui accade qualcosa che non era avvenuto mai prima. Qualcuno spara alla vecchia mafia palermitana quella dei Bontade de di provata fede - e, contemporaneamente, si inaugura un nuovo modo di far battaglia politica: l'assalto a colpi di lupara. Ma che sta succedendo? Chi è che sta stravolgendo ogni regola? Possono immaginare, i signori della politica, che all'interno della mafia è in atto (appena cominciato) un rivolgimento che in pochissimo tempo avrebbe portato al totale azzeramento della mafia «palermocentrica», in favore dei «corleonesi» che avevano il loro referente nella persona di Vito Ciancimino? E potevano confessare, i boss palermitani, che stavano per soccombere a causa del «tradimento» dei Greco di Ciaculli, passati sotto le bandiere di Liggio e Salvatore Riina? Di quei personaggi descritti da Mannoia i sopravvissuti sono solo due: Andreotti, che ovviamente parla di complotto contro di lui, e Gaetano Badalamenti, detenuto negli Stati Uniti, che è difficile immaginare come testimone spontaneo, dopo i suoi ripetuti ri¬ fiuti alle richieste di collaborazione. Salvo Lima è morto sparato l'anno scorso e sappiamo che il «trattamento» gli è stato riservato a causa delle sue «inadempienze» e per esser venuto meno agli antichi obblighi di garante dell'impunità. Bontade e Inzerillo furono i primi a cadere, proprio nell'anno in cui si sarebbe svolta la riunione politico-mafiosa. I cugini Salvo non esistono più: Nino è morto di cancro dopo aver conosciuto l'onta delle manette e una condanna al maxiprocesso, Ignazio - anch'egli condannato è stato abbattuto a colpi di pistola nello scorso settembre. Pure Rosario Nicoletti è morto. Si è ucciso nel 1984, al culmine di una crisi depressiva che suggellava il fallimento della sua utopia: l'alleanza dei partiti popolari in funzione meridionalista. Nicoletti militava nella sinistra de, ma viveva la contraddizione di essere vicino a Salvo lima. Nel 1981 era segretario regionale del partito e ad un certo punto fu candi¬ dato alla guida del governo regionale. I giochi sembravano fatti, formalmente c'era l'accordo. Ma al momento del voto fu «impallinato» dai franchi tiratori. Né, all'interno del partito, gli andò meglio quando organizzò, vantandosene, il primo convegno antimafia sponsorizzato dalla de. Fu attaccato anche quella volta. Dovette dimettersi, mentre gli si abbatteva addosso lo scandalo provocato dal libro di Nando Dalla Chiesa. Chiese al partito di essere difeso, trovò solidarietà tiepida, tornò da Roma e si lasciò cadere dal balcone. Ne aveva subiti di affronti: anche quello di essere sospettato, come ha detto Mannoia, di voler abbandonare la vecchia solidarietà con Lima. Fu proprio Stefano Bontade, suo vicino di podere a Santa Maria di Gesù, ad esprimere perplessità in pubblico. Il boss sapeva che stava andando tutto a scatafascio, non poteva permettersi di perdere anche gli amici di Lima. Francesco La Licata Bontade, Inzerillo e Badalamenti erano i padrini che offrivano voti chiedendo impunità Sopra, Rosario Nicoletti, il segretario della de siciliana morto suicida. A fianco, Stefano Bontade e Salvo Lima
Luoghi citati: Lima, Lupara, Roma, Stati Uniti
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