Un piccolo capolavoro di Godard che cerca e non trova l'Occidente di Gianni Rondolino

r TBVU* & TiVlT L^z piccolo capolavoro di Godard che cerca e non trova l'Occidente TITOLI di testa essenziali, parole bianche su fondo nero e un sottotitolo emblematico: «Solitudine. Uno stato e delle variazioni». Poi uno dei personaggi principali del film, il conte Zelten dell'Ufficio Informazioni di non si sa bene quale organizzazione spionistica (americana, tedesca?) sale sulla propria auto e telefona al suo superiore: «Non è facile, signor consigliere. Se non c'è più la guerra fredda, a che serve essere americani?». Quindi getta a terra un mazzo di fiori e parte calpestando con le ruote dell'auto l'insegna di una via di Berlino, «Karl-Marx-Strasse». La cinecamera si sofferma a lungo su quest'immagine - il mazzo di fiori e l'insegna stradale - che viene ad assumere un significato in certo senso riassuntivo di quello che possiamo definire uno degli aspetti politico-poetici del film. Il quale film, che sarà trasmesso stasera (lunedì) su Raitre in prima nazionale televisiva, è il piccolo capolavoro di Jean-Luc Godard. «Allemagne 90 Neuf Zèro» (Germania 90 Nove Zero), presentato nel 1991 alla Mostra di Venezia. Soltanto 60 minuti di immagini e parole, straordinarie illuminazioni visive e sonore e frammenti d'un racconto memoriale, ma sono 60 minuti di cinema indimenticabile, che costituiscono uno dei saggi cinematografici più profondi e incisivi sulla situazione che si è venuta a creare, non solo in Germania, dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra fredda. Godard articola il suo filmmeditazione in sei capitoli, o «variazioni», ognuno dei quali sviluppa un'idea al tempo stesso culturale e politica, poetica e ideologica: L'ultima spia, Charlotte a Weimar, Tutti i draghi della nostra vita, Un sorriso russo, Il muro senza pianti, Il tramonto dell'Occidente. Sei capitoli che si susseguono senza continuità, come fossero appunti per una storia da raccontare in altra forma, tappe di un cammino esistenziale e memoriale che ci coinvolge tutti, tedeschi e non tedeschi, nella difficile ricerca di una nuova identità culturale. Questo cammino lo compie, nel film, il vecchie Eddie Constantine, l'ultima spia, l'agente segreto Lemmy Caution (che Godard aveva filmato nel 1965 in «Alphaville») ormai a riposo, spaesato, privo di punti di riferimento, nella vana ricerca di un luogo dove andare. Ed è patetico, ed anche drammatico, persino tragico, vederlo aggirarsi solitario fra ruderi, catapecchie, paesaggi squallidi, scorci immondi e domandare a chi incontra: «Scusi, dov'è l'Occidente?». Domanda senza risposta. Interrogativo che apre altri interrogativi e che Godard ci prospetta in termini critici, col suo stile ellittico e ricco di riferimenti letterari, cinematografici, pittorici, musicali, politici (da Goethe a Brecht, Schiller, Kafka, Hegel, Puskin, da Ejzenstejn a Rossellini, Lang, Murnau, Stroheim, da Courbet a Bach, Mozart, Beethoven, da Rosa Luxemburg ai fratelli Hans e Sophie Scholl, barbaramente uccisi dai nazisti nel 1943). Una carrellata sul passato della Germania, fatta di accenni, illuminazioni, frammenti, che si mescolano col peregrinare senza fine di Eddie Constantine. Una rappresentazione intensamente poetica che ci lascia inquieti e pensosi. Gianni Rondolino inoj

Luoghi citati: Berlino, Germania, Venezia, Weimar