Italia rebus tedesco

Confronto nell'ateneo di Pirandello illllili FOGLI DI BLOC-NOTES Italia rebus tedesco Confronto nell'ateneo di Pirandello WV OVE va l'Italia?». E' il Il tema di un dibattito pro[ I mosso dall'Università di il Bonn, a fine febbraio, *ZJcon l'autore di queste note. Il vecchio ateneo, di origine post-napoleonica, assurto presto a grande prestigio in quella Renania regalata alla Prussia dal Congresso di Vienna nel 1815 per evitare la perdita della Sassonia (quasi che un isolamento geografico bastasse ad attenuare lo slancio dei prussiani, fondatori predestinati del futuro impero). Ancora agghindato, l'ateneo della capitale provvisoria tedesca (ormai per pochi anni: a fine secolo il piano della grande Berlino è pronto), in abiti ottocenteschi, secondo le misure discrete e domestiche che furono care a Luigi Pirandello, studente appassionato e devoto in questa università a fine secolo. Porte strette; corridoi lunghi e poco illuminati; stanze di rappresentanza prive di ogni enfasi retorica. La stessa aula in cui si svolge il «colloquio» non riesce ad accogliere neanche la metà dei presenti. Presenti alla discussione, intrecciati e alternati con grande equilibrio, professori universitari e giornalisti. Esponenti autorevoli del mondo accademico, come Christian Tomuschat, per le materie giuridiche (diritto internazionale, soprattutto), o Wolfgang Schieder, per le materie storiche (anche qui la pianta della storia contemporanea, una volta ignota o repressa, sta vigoreggiando: è il figlio del grande storico, continuatore altrettanto autorevole specialmente negli studi sulle dittature moderne, fascismo compreso). Punto di congiunzione fra i due mondi: Joachim Fest, il direttore della Frankfurter Allgemeine Zeitting, il giornale più liberal della Germania di ieri e di oggi. E' autore della monumentale biografia di Hitler, tradotta in diciassette lingue; illustrò, prima di altri, trent'anni fa, «il volto del Terzo Reich» (Das Gesicht des Dritten Reichs), con pagine che restano ancor oggi insuperate. Si richiama all'eredità, altamente europea, di Thomas Mann. Non ha mai fissato limiti invalicabili fra l'università e il giornalismo; ha oscillato fra corsi speciali, o dottorati honoris causa, e il mestiere di commentatore dei fatti internazionali. Moderatore del tutto Rudolf Lill, un «italianista» fra i più autorevoli, professore di storia all'Università di Karlsruhe, ma ora destinato a un compito importante in Italia. La sua Geschichte Italien in cler Neuzeit è fresca di stampa. Ho preparato una serie di schede, tradotte in tedesco. Questioni elettorali; questioni istituzionali; lotta alla mafia (e i risultati raggiunti). Lill, che conosce perfettamente storia e segreti dell'Italia moderna, sottolinea il contrasto fra una società italiana pluralistica e complessivamente dinamica e uno Stato invecchiato e in parte sclerotizzato nelle sue strutture antiche e antiquate. Il maggior motivo di stupore degli studiosi presenti è l'enfasi che si attribuisce in Italia alla questione elettorale, come risolvente di tutto. I tedeschi sono soddisfatti del loro sistema di selezione della classe politica: è un mix che consente di neutralizzare i danni del proporzionalismo, attraverso la soglia, e insieme di garantire la stabilità dei governi, con la sfiducia costruttiva. Tomuschat manifesta una particolare insofferenza per il sistema francese a due turni: il ricordo dellacohabitation è negativo. In genere sottolinea come il meccanismo di Repubblica presidenziale in Francia renda difficile il doppio turno («Ci vorrebbe - si osserva - almeno la contemporaneità fra elezioni presidenziali affidate al popolo e elezioni parlamentari popolari»). Quanto al collegio uninominale secco, non c'è un solo studioso tedesco che lo ratifichi. «L'inquietudine è grande anche in Inghilterra: si attende una riforma...». I tedeschi sono anche orgogliosi del proprio sistema fede- rale: un contrappeso equilibrato di poteri corrispondente a una storia che non conosce lo Staats-Nation, ma piuttosto la convivenza di tanti Stati, di tante tradizioni diverse, sotto un nucleo di Kiiltnr-Nation. Oppongo Mazzini; oppongo il Risorgimento. Sottolineo l'esistenza, secondo la Costituzione italiana, di uno Stato regionale che non è però federale. L'interesse, qui in Germania, è scarsamente rivolto alle regioni a statuto ordinario, si concentra tutto sulle regioni a statuto speciale, munite di poteri rasentanti quelli, vastissimi, dei loro Lander. L'esempio dell'Alto Adige (o Sud Tirolo) viene tenuto in particolare evidenza, come una soluzione europea agli intrecci regionali controversi. Sostenitore come sono da sempre del pacchetto, dò ragione ai miei amici tedeschi: la soluzione di Bolzano è una soluzione europea. Anticipatrice di un futuro dell'Europa, migliore dell'attuale. Rimangono tutti gli altri interrogativi: perché la mafia? Perché la corruzione crescente? La Germania federale si era fatta una certa idea dell'Italia degaspcriana e anche post-degasperiana, fino al centro-sinistra di Moro: un Paese, di vecchia struttura contadina, caratterizzato da un moto meraviglioso anche se incomposto di trasformazione industriale, su uno scenario di relativa stabilità politica, con un limitato ricambio all'interno della classe dirigente, ma con essenziali requisiti di continuità e di legittimità. Ora appare in discussione la continuità della Repubblica, anche la sua legittimità. Il fenomeno delle leghe viene interpretato, in modo sbrigativo, come un moto «separatista». Il Nord d'Italia evoca impropriamente la Baviera. Gli accenti della «Padania» risuonano anche qui con maliziose e indirette adesioni. E l'immagine dell'Italia, una volta altissima, è appannata o oscurata. La storiografìa tedesca si occupa essenzialmente dell'Italia del Rinascimento (o del Medio Evo) e dell'Italia del fascismo. Dà poco spazio all'età risorgimentale e anche all'età dei «lumi» che vede tante convergenze con la storia germanica. Mi torna in mente il cancelliere Schmidt che mi confidava - ai tempi in cui ero presidente del Consiglio, undici anni fa di non riuscire a capire chi fosse esattamente Garibaldi. Volle una specie di lezione privata da me, accompagnata dal dono di alcuni libri, quando mi recai in visita alla sua città natale, Amburgo (da Schmidt amata con tenero affetto). Alla fine della mia esposizione, mi disse: «Ma in Germania non avrebbe avuto fortuna». Non ne dubitavo. A Berlino mi incontro con i rettori delle due università (l'università libera, faro di luce durante l'oscuro periodo del Muro e della dominazione comunista della Ddr). Raccomando un minimo di diritto di cittadinanza per la lingua italiana. In entrambi gli atenei mancano professori di italiano, ci sono solo due lettori e la nostra lingua non può essere scelta come tale, neanche quarta o quinta, perché il tema è ritenuto dalle autorità locali di governo (qui si chiamano senatori) «irrilevante». Diverso è il caso di Dresda, la città rasa al suolo dal bombardamento britannico nelle ultime settimane di guerra (e ricostruita come Varsavia, ma con minore meticolosità e più ampi spazi riservati alla memoria o al rimpianto). Nell'università della capitale sassone è stato istituito un corso «ufficiale» di storia italiana. Ne parlo con il titolare, Reiner Pommerin. Ha fame di libri italiani, di riviste italiane. Prometto tutti gli omaggi di cui possa disporre. Né Dresda è un caso isolato. Un eguale corso è nato a Jena, presto sorgerà a Greifswald. E forse a Lipsia. Mi torna in mente un giudizio rivelatore di Friedrich Hebbel, il grande drammaturgo del secolo scorso. «Tutte le nazioni odiano i tedeschi, ma se una volta riusciranno realmente a eliminarli, nascerà una situazione tale che finiranno per disseppellirli a forza di un ghie». Ora il disseppellimento della Germania è accaduto. Nes suno carichi sui tedeschi gli errori o i difetti di casa propria. Giovanni Spadolini Helmut Schmidt, sopra Luigi Pirandello