A Curcio si addice una cura di silenzio di Lorenzo Mondo

r PANEAL PANE A Curdo si addice una cura di silenzio OPO 17 anni di carcere, a Renato Curcio, il fondatore delle Brigate rosse, è stata concessa la semilibertà: di giorno lavorerà in una cooperativa editoriale, la sera tornerà in cella a Rebibbia. E' una soluzione attesa e ormai accettata, credo, dalla coscienza dei più. Se Curcio non risulta più pericoloso alla società, se il carcere non deve essere una tomba, è bene che gli si offra una chance, che riprovi a vivere. E' passata un'infinità di tempo, molto più di quello segnato cronologicamente dall'inizio e dalla conclusione degli anni di piombo. Basta vedere i suoi capelli bianchi, il volto stranito di chi arriva da un altro mondo, perfino il gilet peruviano, che non rinvia alla tenuta di un guerrigliero andino ma a quella di un pastore sardo, semmai di un sequestratore del Supramonte. Ha manifestato rispetto per le vittime del terrorismo, per un dolore «non risarcibile», ha riconosciuto il fallimento dei remoti progetti rivoluzionari. Dal carcere ha tenuto una fitta corrispondenza con bambini, carcerati, malati di Aids, ha cercato e ha dato conforto. Resta, certo, una arrogante temerarietà di giudizio. Sulla tragicità dei tempi, che elude però la responsabilità primaria e fattuale del tragico. Sulla presunta uguaglianza tra le vittime, il poliziotto, il giudice, il giornalista e di chi gli ha sparato in testa, pagando a sua volta il prezzo del sangue. Sul comportamento dei pentiti o dei delatori che, diversamente da lui, hanno «preferito fare l'esperienza dell'abisso». Ma tutto questo, infine, non ci riguarda più, appartiene all'abisso della «sua» coscienza. Non dovrebbe lasciarsene distrarre, concedendosi una salutare cura di silenzio, contentandosi del lavoro e degli affetti ritrovati. Guai a farsi suggestionare dalle luci delle telecamere, dalle espressioni di simpatia ricevute al mercato del Testacelo : sarebbe bello e consolante che esprimessero una dostoevskiana pietà per il colpevole che è doppiamente infelice, ma temo ^ner. che sia soltanto il segno di una solidarietà agnostica favorita dai media. Curcio come Baudo e Lorella Cuccarmi. Il terrorista invecchiato e pieno di cicatrici dovrebbe guardarsi soprattutto dai superstiti allievi che sulla sua pelle, sul suo contraddittorio argomentare, pretendono di annullare la memoria storica, riscattando stupidità e nefandezze, passando affannosi colpi di spugna sul sangue innocente che non si lascia cancellare. Come se l'errore dovesse per forza chiamare l'errore, come se la corruzione e l'impotenza di questi giorni giustificassero le stragi di ieri. Mi riferisco a coloro che promettono di festeggiare Curcio con un raduno di diecimila persone, o ai grilli parlanti, ai teorici del nulla, che si fanno vivi ogni tanto a dare consigli dal non magro esilio di Parigi. Curcio, all'uscita da Rebibbia, ha detto che non vede l'ora di sedersi sulla tomba della moglie Mara Cagol, uccisa in uno scontro a fuoco. Un desiderio umanissimo. Per associazione di idee, ricordo che nel 1976, in un suo racconto, lo scrittore Nanni Bafestrini deponeva idealmente un mazzo di rose rosse sul tumulo di Mara (senza accennare ovviamente al carabiniere rimasto in quell'occasione gravemente ferito e mutilato). Ecco, Curcio, quelle rose, le porti da solo all'infelice guerrigliera, senza avvilenti compagnie. E ogni volta che entra nella sua cooperativa, che si chiama «Sensibili alle foglie», non dimentichi mai di estendere questa delicatezza ecologica agli arbusti umani, alle vite crudelmente disperse anche per colpa sua. E ne parli pure, in lugubre litania, ai bambini che gli scrivono, che vogliono sapere: tutto. Lorenzo Mondo 11

Persone citate: Baudo, Curcio, Lorella Cuccarmi, Mara Cagol, Nanni Bafestrini, Renato Curcio

Luoghi citati: Curdo, Parigi