Donadoni, ispettore anticrimine ma forse lui non se ne rende conto di Alessandra Comazzi

r TIVÙ' & TIVÙ' Donadoni, ispettore anticrimine ma forse lui non se ne rende conto IN sei puntate, ne hanno messa di carne al fuoco: traffico di plasma infetto per pagare il traffico d'armi, traffico internazionale di droga, lotte fratricide, innamoramenti e amori, amicizia virile e tradimenti; più, naturalmente, un'imprecisata serie di morti ammazzati, a colpi di pistola o di siringa; e qualche suicida. «L'ispettore anticrimine», regista Paolo Fondato, anche sceneggiatore insieme con Nicola Cossu e Pierfelice Bernacchi, si è concluso l'altra sera su Raidue, 3 milioni 464 mila di audience, un risultato non particolarmente entusiasmante, ma nemmeno tragico. La storia centrale si basava sulla vicenda di due fratelli, Maurizio Donadoni e Massimo Venturiello, figli (ma alla fine si scopre che uno non lo è veramente) della sempre bellissima Irene Papas: Donadoni fa il poliziotto, Venturiello il criminale. Caino e Abele, insomma (però qui vince Abele). Fino a un certo punto dividono anche la stessa donna. La madre cerca di farli riawicinare, ma l'abisso di odio che li divide è incolmabile. Di luoghi comuni, di stereoti- i divic pi, «L'ispettore anticrimine» era farcito come un panino al prosciutto. Però; si chiede originalità ai polizieschi? O non piuttosto quel rassicurante senso di già visto che faccia ripercorrere un rituale prestabilito? Il rituale, la liturgia sono punti di riferimento importanti, per lo spettatore: ma quando di fatti risaputi ne troviamo troppi e le novità riguardano soltanto elementi marginali, la storia diventa stucchevole e senza suspense. Se l'impianto della vicenda è scontato, possono essere i personaggi a dare luce al racconto. Purché siano inconsueti, con qualche tratto psicologico che li possa distinguere e rendere unici: pensiamo a tutti gli inconfondibili investigatori, che a volte vengono dalla letteratura, da Philip Marlowe a Nero Wolfe, al tenente Colombo (che però adesso, come ha raccontato Oreste del Buono, ci ha un po' tradito: si è tutto ripulito, e non è quasi più lui). Questo «ispettore anticrimine» Maurizio Donadoni, invece, non è stato disegnato con sufficiente nitore: non ha segni particolari, non è spiritoso, è molto normale, un po' bisteccone. E' possibile che le intenzioni degli sceneggiatori fossero proprio quelle: inventare un personaggio portato dalla vita a fare il poliziotto, ma senza nessuna stimmata poliziesca, a parte il fratello delinquente. La norma che diventa particolarità quando asseconda (per forza) i percorsi del destino. Ma allora, se uomo qualunque è, deve inserirsi in un racconto stretto, stringato, che non abbia i soliti tempi televisivi diluiti, studiati apposta per far tante puntate (bisogna ammortizzarli, i costi di produzione). E l'interprete deve essere tanto più eccezionale, quanto è normale il suo personaggio. Nel nostro caso, invece, l'interprete era debole (il protagonista e tutti gli altri), un po' come il pensiero. Curiosità: la Gialappa's ha mandato in onda, in «Mai dire tv», gli esordi di Alba Parietti, valletta di «Ok il prezzo è giusto» e portatrice di cartelli sul ring di un incontro di pugilato, primi Anni 80. Impressionante: sempre bella, ma un'altra persona. Solo le gambe uguali. Forse. Alessandra Comazzi zzi |