Il duce al Führer: facciamo qualcosa per Freud
Servadio: ma il capo del fascismo non lo lesse mai Una lettera nel '38 per «raccomandare» il padre della psicoanalisi. Vittorio Mussolini conferma Il duce al Fùhrer: facciamo qualcosa per Freud Storia d'un favore a distanza provocato dal padre di una paziente JACCOMANDO a V. E. un vecchio glorioso di 82 anni che tanta ammirazione ha per l'Eccellenza Vostra». La lettera è del 14 aprile 1938, un mese dopo l'Anschluss con cui Hitler sbranò l'Austria. L'«Eccellenza», facile indovinarlo, è il Cavalier Benito Mussolini. Meno scontata l'identità del «vecchio glorioso»: «E' Freud, ebreo» si premurava di aggiungere l'autore della missiva, il commediografo e librettista Giovacchino Forzano, antico sodale del destinatario. L'ebreo padre della psicoanalisi ammiratore del duce del fascismo? Sembra un paradosso, ma si tratta di una vicenda autentica e, in parte, già nota. Ora viene rilanciata da un lungo articolo di Maurizio Chierici. Sull'ultimo numero della rivista Paralleli il giornalista racconta mi suo incontro con Vittorio Mussolini, durante il quale il figlio del duce ricordava un intervento di suo padre presso Hitler in favore di Freud. Come si spiega tanta sollecitudine? Pare che l'anziano psicoanalista avesse scritto in passato «una lettera piena di stima» a Mussolini, il quale, memore dell'episodio, dopo l'annessione dell'Austria alla Germania avrebbe scritto al Fùhrer pregandolo di non cacciare Freud dalla sua casa di Vienna. Chierici ne aveva già riferito anni fa sul Corriere. Ora tutti i tasselli vanno a posto. Tra Freud e Mussolini ci fu una sorta di «feeling» per interposta persona, venato - almeno da parte dello scienziato di una salutare dose d'ironia. Chiediamo conferma a uno dei padri della Società psicanalitica italiana, memoria storica di quei tempi lontani: Emilio Servadio. «E' tutto vero - conferma -. Mussolini aveva ricevuto la racco¬ mandazione di intercedere da uno a cui non poteva dire di no: Forzano era in ottimi rapporti con lui, insieme avevano persino composto una commedia. Non saprei dire, però, se il duce scrisse davvero a Hitler: non credo, è più facile che sia intervenuto a voce. Certo è che il Fùhrer, ormai avviato sull'infernale strada che sappiamo, non tenne alcun conto dell'appello». Infatti Freud dovette lasciare Vienna per Londra. Il duce non ebbe successo, ma almeno il tentativo lo fece. Tutto merito di Forzano, o di quella «lettera piena di stima» indirizzatagli da Freud? Con l'aiuto di Servadio ricostruiamo l'antefatto. Nel 1933, accompagnato dal pioniere della psicoanalisi italiana Edoardo Weiss, Forzano era andato a Vienna con sua figlia per sottoporla a una seduta nel celebre gabinetto di Freud. In quell'occasione, superando l'imbarazzo suo e quello ancora più palpabile di Weiss, si fece coraggio e chiese al grande vecchio una dedica: non per sé, ma per l'amato duce. Freud ruppe gli indugi e con sovrana nonchalance vergò su un libro: «A Benito Mussolini, col rispettoso saluto di un vecchio che nel governante riconosce l'eroe della cultura». Parole un po' cerimoniose, è ve¬ ro, ma bisogna ricordare che all'epoca Mussolini non era ancora, per l'opinione pubblica internazionale, il feroce dittatore esecrato in seguito. E poi il libro regalato da Freud al duce forse non era scelto a caso. Era uno scambio epistolare fra lo psicoanalista e Einstein, dal titolo emblematico: Perché la guerra. Se c'era malizia, Mussolini non se ne avvide. Probabilmente gonfiò il petto di fronte all'ennesimo tributo alla propria persona, e tanto gli bastò. Si può immaginare che da allora cominciasse pure a seguire le opere di quel deferente «ammiratore»? Servadio lo esclude: «Credo che Mussolini conoscesse poco o nulla della psicoanalisi, forse ne aveva qualche nozione per sentito dire». Nulla di diverso testimonia il settantottenne Vittorio Mussolini: «Non so se mio padre si interessasse a Freud. Posso dire quale fu l'atteggiamento ufficiale del fascismo, che non dava molta importanza alla psicoanalisi». Vittorio Mussolini è stupito e un po' seccato per questa storia che ritorna fuori dopo che lui ne ha già parlato più volte: «Persino in un libro, Mussolini egli uomini del suo tempo, che scrissi verso la metà degli Anni 70». Teme che si vogliano ancora sollevare polemiche sul nome che porta. Ma di una cosa è contento, e lo dice: «Mi ha fatto molto piacere che Servadio abbia confermato le mie parole. Anche perché si dimostra che mio padre non era quel mostro che adesso tutti dì cono». Maurino Assalto Servadio: ma il capo del fascismo non lo lesse mai Nel 33 da Vienna un libro con dedica: forse ironica Benito Mussolini e alla sinistra Sigmund Freud
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