Il segretario inchioda Prandini
«Mi disse di non fare mai il suo nome». L'ex ministro: erano soldi miei «Mi disse di non fare mai il suo nome». L'ex ministro: erano soldi miei Il segretario inchioda Prandini «Giravo le mazzette sui conti alportatore» ROMA. «Un giorno Prandini mi chiese se avevo disponibilità di un conto corrente. Gli spiegai che ero solito operare con il Banco di Santo Spirito, sede di Roma, in piazza del Parlamento. Allora Prandini mi diede una borsa contenente circa 300 milioni in contanti, pregandomi di convertirli in alcuni libretti al portatore e darglieli. Io, da buon soldato ubbidii...». Secondo le anticipazioni pubblicate oggi sull'Espresso, comincia così il verbale dell'interrogatorio a Camillo Zuccoli, segretario particolare dell'ex ministro dei Lavori Pubblici. Il portaborse ubbidisce: cambia quei soldi in libretti da 5060 milioni ciascuno. E non è finita: torna in banca nel '91, quando il Parlamento vara le norme antiriciclaggio: «Prandini mi chiamò racconta -, mi consegnò tutti i libretti al portatore che gli avevo fatto e mi disse si trasformarli in altrettanti libretti dall'importo inferiore al limite di 20 milioni previsto dalla legge...». Per un paio di settimane, Zuccoli mantiene anche la consegna del silenzio: «Prandini mi disse che qualunque cosa fosse successa io non dovevo fare mai il suo nome, e che anche se fossi stato messo in carcere dovevo rimanereci, ma non tirarlo mai in ballo». Ma dopo tredici giorni di San Vittore Zuccoli crolla. Comincia a parlare il 19 marzo, e presto le sue parole diventano una valanga di accuse, rilanciate dalle agenzie di stampa e riprese dai telegiornali di ieri. L'ex ministro getta acqua sul fuoco: «E' vero - si difende in un comunicato - che Zuccoli ha svolto per mio conto operazioni bancarie private. Ma non hanno però a che fare con le tangenti di cui si parla. Si trattava di mie disponibilità finanziarie date in pagamento per un mio debito personale...». Le accuse di Zuccoli sono precise: «Peder, un piccolo imprenditore di Bolzano che costruisce reti para-valanghe, si rivolse a me per sollecitare la liquidazione di un appalto. Ne parlai con Prandini, lui mi diede il cartellino verde e allora passai la pratica a Gerardo Pelosi, capo della segreteria politica del ministro. Peder mi consegnò 30-35 milioni». E poi: «Sergio Col- lini, un imprenditore di Trento, venne nel mio ufficio di consulenza e mi disse che, in relazione a un lavoro deU'Anas nel Lazio, doveva darmi una busta contenente 100 milioni per Prandini. La presi é la consegnai al ministro». E ancora: «Angelo Simontacchi, amministratore delegato della Torno, mi manifestò la sua voglia di essere prandiniano... offrendo un contributo annuo di circa 500 milioni scorporato dai singoli appalti Anas (la gestione di questi ultimi, secondo le dichiarazioni di Zuccoli, spettava interamente a Pelosi, n.d.r.). Simontacchi mi disse che per un appalto ricevuto dalla Torno nel tratto di autostrada Salerno-Reggio Calabria doveva versare 300 milioni alla de, ma non sapeva a chi consegnarla. Prandini mi disse di non occuparmi del contributo alla corrente. Presi però i soldi per l'autostrada, e li consegnai a Citaristi...». Secca la smentita di Prandini. L'ex ministro «scarica» il suo collaboratore: «Ammesso che ciò che viene attribuito a Zuccoli sia vero dice -, questi avrebbe dovuto astenersi da qualunque rapporto con imprenditori interessati ai lavori pubblici, così come da una mia precisa direttiva impartita a tutti i componenti della segreteria e del gabinetto. Se Zuccoli è venuto meno a questa direttiva, le eventuali responsabilità ricadono soltanto su di lui». [r. i.] Giovanni Prandini
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