Contro Tangentopoli chiamate l'idraulico

DISCUSSIONI. La politologia serve a riparare i guasti del Paese? Sì ma è piena di trappole DISCUSSIONI. La politologia serve a riparare i guasti del Paese? Sì ma è piena di trappole Contro Tangentopoli chiamate l'idraulico I ON è vero, naturalmente, che la politologia non sia una scienza, anche se un pesce ha abboccato all'amo di una mia provocazione. I politologi sono come gli idraulici: bravi o guastatori, interessati al lucro oppure onesti. Ma se vi si rompe un rubinetto, vi fidate pur sempre delle leggi dell'idraulica. Così per la politologia. Al meglio di sé, classifica i fenomeni politici, definisce gli accadimenti, elabora concetti, trova cause prossime o remote, indica gli effetti. Talvolta è addirittura così precisa da fare predizioni accuratissime, come la fisica, o inventare ricette insuperabili, come la culinaria. Prendete l'attuale situazione politica italiana. La migliore politologia la fotografa così. Noi ci troviamo nella condizione in cui i partiti offrono «impieghi, lavori pubblici, appalti, incoraggiamenti e sussidi di ogni maniera» e in cui «lo Stato viene ad essere un grande banchetto servito a spese di tutti i contribuenti, e nel quale la torta di ognuno è in proporzione della forza elettorale organizzata che può mettere a disposizione dei governanti». La politologia coglie alla perfezione anche il prezzo in termini di inefficienza e corruzione che una situazione siffatta genera. Oggi, «al regime di partiti si sostituisce quello che potremmo chiamare il regime degli apparati, che è un regime di tirannia organizzata, di simonia, di baratteria eretta e sistema». E' perciò che, «nonostante le insuperabili barriere create dalle deviate e distorte immunità penali dei parlamentari e dei ministri, processi clamorosi, che senza un giudiziario quasi indipendente sarebbero stati impossibili, hanno messo in evidenza agli occhi di tutto il Paese in quali modi e da quali disordini gli apparati partitici, lanciati in una competizione per tutto il potere, alimentino le loro finanze e le loro dominazio- ni settoriali e disintegratrici». La causa di tanta disintegrazione è individuata in due fenomeni. «Il primo è il trasferimento della sovranità effettiva fuori degli organi costituzionali, e la sua confisca ad opera di enti che la Costituzione nomina, ma che non organizza, né determina, né include nel suo sistema di reciproci controlli... Il secondo fenomeno, che collabora alla distruzione della democrazia contemporanea, è l'involuzione propria di questi enti, e cioè i partiti». Resta, naturalmente, il baluardo della magistratura. Ma, come si vede proprio in questi giorni in cui l'on. Martinazzoli grida al complotto, i partiti di governo hanno tentato un decretospugna, l'on. Craxi si è industriato a denigrare i giudici mentre gli on. Bossi e Fini si accaldano ad esaltarli strumentalmente, «la partitocrazia, attraverso la legislazione, operando e omettendo, può agevolmente sbarazzarsi del terzo potere, o distruggerne il prestigio, il che è ancora peggio»; con la conseguenza che si viene affermando «una necessaria omertà fra compagni di gruppo politico, legati a un'mdiscrirm- nata solidarietà contro la calunnia faziosa come contro la denuncia onesta e obiettiva». Vedi Napoli e Milano, appunto, o Palermo o Roma. C'è da disperarsi? Sì, c'è da temere per la nostra democrazia. Non solo perché il regime sovietico da cui usciamo - il più partecipato, amato, goduto, festoso sistema sovietico mai visto al mondo - ha fatto tanti guasti. Ma anche perché non c'è ancora coscienza diffusa del tipo di rimedi che occorrono. Dice l'on. Libertini: andiamo subito alle elezioni e cambiamo le facce. No, avverte la politologia. Perché dobbiamo prima cambiare il sistema elettorale, se vogliamo venire alla principale radice dei nostri mali. Infatti, «solo quando gli elettori del ristretto collegio uninominale potranno di nuovo votare per la persona che stimano e nella quale sperano, solo allora di nuovo sorgerà fra eletti ed elettori un legame reciproco, libero, vivificatore, che si sostituirà alla mortificatrice e caporalistica disciplina di partito. Solo allora le elezioni saranno, come devono essere, uno strumento di selezione, di arricchimento, di ricambio delle élites politiche». Perché tanta enfasi sulle regole, anziché sugli uomini onesti, come invece ci raccomanda l'on. Orlando? Perché «un sistema valido funziona in modo decente anche con uomini mediocri; ma un sistema non valido rende vano ogni più nobile proposito e ogni merito individuale». Sicuro poi che il sistema elettorale debba essere quell'uninominale maggioritario, anche senza ballottaggio, cui si oppone l'on. Occhetto? Sicurissimo, come pure che occorre anche una riforma istituzionale coerente a questo sistema. «La stabilizzazione dell'esecutivo, nell'era della sovranità popolare, non può essere ottenuta se non attraverso una diretta elezione popolare del capo del governo (e cioè col sistema americano) o con una riforma elettorale che dia al corpo elettore la possibilità di scegliere implicitamente un esecutivo stabile almeno quanto la legislatura (secondo l'esempio britannico)». Si obietta: ma così si distrugge la democrazia! Falso perché democratico è «quel governo nel quale si ottiene la maggior possibile identificazione fra governanti e governati, la minor possibile oppressione dei governanti sui governati». Si obietta ancora: così si fanno sparire i partiti minori! Falso anche questo. Così si fanno semplicemente nascere maggioranze e minoranze: «La maggioranza per adempiere al suo ufficio, che è quello di sostenere il governo, ha bisogno di essere abbastanza numerosa e compatta; le minoranze, che hanno l'ufficio di controllare, non hanno bisogno di essere numerose; basta che siano ben rappresentate alla Camera». Poscritto. Il lettore che, affranto da certi politologi di oggi, si voglia ricredere sulla politologia mediti su queste opinioni. Ho riportato undici citazioni, solo in un caso cambiando un verbo dal passato al presente. La prima è tratta da uno scritto di Gaetano Mosca del 1898 {Due possibili modificazioni del sistema parlamentare in Italia), l'ultima da un discorso, sempre di Mosca, del 1923 (alla Camera); le altre nove sono opera di Giuseppe Maranini, scritte fra il 1955 (e raccolte in Miti e realtà della democrazia, 1958) e il 1967 {Storia del potere in Italia). Purtroppo, anche per la politologia vale la legge di Gresham: le opere cattive cacciano le buone e così i libri di Mosca e Maranini non sono più in commercio. Marcello Pera Negli scritti di Gaetano Mosca e Giuseppe Maranini le soluzioni ai dubbi di oggi sulla riforma elettorale Da sinistra Libertini Achille Occhetto In alto Mosca segno di Steinberg Da sinistra Libertini Achille Occhetto In alto Mosca Disegno di Steinberg

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