Giù le mani dalla SCALA

Milano insorge dopo il caso Fontana: l'orgoglio della città a difesa del suo simbolo più nobile Milano insorge dopo il caso Fontana: l'orgoglio della città a difesa del suo simbolo più nobile Mia SCALA w T MILANO E NA settimana, E | appena una I settimana per js. I risolvere, o quasi, il caso Fontana. Da giovedì a mercoledì. Manca adesso la firma del ministro Boniver: sembra questione d'un pugno d'ore, prima che il referendum del 18 aprile le possa sfilare la poltrona. Il sovrintendente della Scala passerà così di colpo dal limbo del «congelamento» ai fasti della riconferma piena fino al '97. Vicenda singolare, dati i tempi e i riti lottizzatoli. Che resti Fontana e che la Scala stia fuori da Tangentopoli, dalle risse politiche e amministrative, dalle vendette sindacali, dalla disistima in cui sono precipitati gli enti pubblici: pacchi di fax e telegrammi sono piovuti sul tavolo di Gelati, commissario straordinario del Comune, cui spettava la decisione. Hanno scritto biblioteche, associazioni, scuole, gente qualsiasi. C'è stato qualcosa di imprevisto e quasi di violento nella levata di scudi che Milano ha opposto alla sentenza del Tar del Lazio secondo cui la permanenza di Fontana era illegittima. «E' stato come se i cittadini volessero decidere loro», si dice abbia commentato Gelati. E' andata così: il sovrintendente venne nominato per quattro anni nel '90 al posto di Badini, il cui mandato sarebbe scaduto nel '92; ma il Tar l'altro giorno ha obiettato, in risposta a un ricorso del sindacato Snater e contraddicendo una sua prima decisione, che la nomina di Fontana era valida solo fino al '92: non fu perciò corretto affidargli il quadriennio completo, dal '90 al '94. E adesso la velocissima riconferma. Al di là delle schermaglie tuttora accese e della prevedibile soluzione positiva del caso, il modo in cui è insorta la città, e non solo lei, a difesa dell'istituzione scaligera, la dice lunga sul momento psicologico e civile che Milano sta attraversando. E' avvenuta innanzi tutto una identificazione insolita: Fontana è la Scala. Difendendo Fontana si è voluto difendere la Scala, e viceversa. Nel mondo della cultura, dell'industria e delle professioni si raccolgono pareri netti. L'editore Mario Spagnol è chiaro: «Simbolo di coesione e punto di forza per ripartire, questo è la Scala. E Fontana sa gestirla, è il miglior sovrintendente che c'è in giro». Il soprano Giulietta Simionato, 83 anni, su un punto è sicura: «La Scala è il cuoredi Milano e Fontana per me è addirittura un fiore. Sono troppo poetica? Ha fatto mettere un corrimano lungo gli undici gradini che portano al mio palco, così può salire anche mio marito paralizzato». Lo storico Giorgio Rumi, del consiglio di amministrazione della Scala, allarga il discorso: «Colpire la Scala non solo colpisce l'immagine e il ruolo di Milano, ma intorbida l'azione più generale della magistratura. Per fortuna in questo caso si è discusso di formalità burocratiche e non di fatti penali. Ma il rischio era di diffondere la psicosi del "dalli all'untore", di assalire ogni ente e dirigente, di ingrossare a tal punto le schiere degli accusati da far sorgere poi magari un'esigenza di perdonismo. Non ci sto. Io, cattolico, non sono un garantista, un innocentista. I colpevoli paghino. E lasciamo stare la Scala, per piacere». La Scala non è solo la vetrina dell'inaugurazione il 7 dicembre, quando sfilano sete, smoking e chiome scintillanti. Quello è un rito sociale, una sorta di pubblica festa che serve alla classe dirigente per tenersi su. Nel profondo la Scala ha per Milano un valore altamente simbolico di identità civile. Lo si sapeva; ed è un fatto che non ha paragoni in nessun altra città italiana. Ma ora, nel gran ballo di Tangentopoli, questa consapevolezza è esasperata, quasi urlata. «Abbiamo bisogno della Scala, che per noi è ben più di un teatro»: Jean Rodocanachi, vicepresidente vicario della Fondazione per il Teatro alla Scala, si accalora. «Fontana è di nomina socialista? E che vuol dire? Ha meritato la nostra fiducia. Non si faccia di ogni erba un fascio. E la Lega Nord doveva appoggiarlo, se voleva prendere più voti». Il caso Fontana ha già ottenuto un risultato, per Rodocanachi: unire forze che si oppongono a lottizzazioni bieche, a rinvìi e a giochi e ricatti, a iper e pansindacalismi, a divisioni e vendette private. Per andare dove? «Verso la ripresa - risponde Leopoldo Ferradini, presidente della Società del Giar- dino, storico club sorto nel 1783, albo d'oro della milanesità -. La Scala pulita ci serve per riavere un progetto. La Scala è uno sfondo emotivo, morale». E' il terzo punto che affiora: dire Scala vuol dire valori. Lo scrittore e giornalista Gaetano Afeltra, che è di Amalfi, ma che si commuove a parlare di memorie milanesi, vede il sovrintendente Fontana erede di ima tradizione «perbene». Afeltra è un tumulto. Evoca scenari perduti. Ricorda il sovrintendente Paolo Grassi: «Sfidò in smoking nel foyer la contestazione che voleva abiti cialtroni». Cita Antonio Greppi, primo sindaco socialista del dopoguerra: «Era l'avvocato dei poveri». Abbraccia idealmente Paolo Pini: «Ogni volta che veniva a Milano Ureo Mussolini, lui finiva a San Vittore per precauzione. I poliziotti lo arrestavano e lo amavano: era il medico dei poveri. Non metteva mai il camice bianco per non impressionare l'ammalato. Lo metteva grigio. Stava in corso Magenta 27, dove abitava anche il giovane professor Fanfani». Afeltra racconta del «generoso Ghiringhelli che ricostruì la Scala dopo il bombardamento dell'agosto '43» e del leggendario con¬ certo nel '46 con Toscanini, che alla fine «era commosso ed estrasse un fazzoletto bianco con cui salutò altri fazzoletti bianchi che si agitavano nel palco reale: erano i vecchietti della Casa di riposo Verdi. Io ero con Buzzati». Perché questi ricordi, Afeltra? «Perché Carlo Fontana è figlio di quel mondo, è figlio di Ciro Fontana, segretario generale del Comune per quarant'anni, uomo quasi asburgico, esemplare per dedizione alla collettività». Il nome di Ciro Fontana ricorre a Milano da più parti, con nostalgia e con parole d'elogio inconsuete, che sono una spia, testi- moniano anche loro dell'esigenza diffusa di recuperare quella buona amministrazione, quel clima civile, quei valori che qui si dicono milanesi: serietà, competenza, onestà, umiltà, cultura. Nella nevrosi ritmata dagli arresti e dagli avvisi di garanzia, il caso di Fontana è dunque scoppiato come una sorta di psicodramma collettivo tutto milanese. Battersi per la sua riconferma è stato quasi come sperare di riappropriarsi anche di suo padre, questo Ciro finora noto in cerchie ben più ristrette, e delle sue sospirate virtù civiche. Dicono che Carlo Fontana in questi giorni tiene in vista sul tavolo un libro elegante con belle illustrazioni d'epoca: Dicevano alla Scala. Memorie di un loggionista dagli Anni 20 agli Anni 50 (Baldini). Il loggionista è suo padre. Carlo Fontana non vuol dire una parola sulla storia di questa settimana. Dicono che era amareggiato e offeso per essere confuso con un qualunque lottizzato in carriera, e che qualche tempo fa si è chiesto se suo padre e suo nonno si sarebbero iscritti a questo psi. Si è risposto di no. E non si è più iscritto. Claudio Aita rocca La Simionato: «E' il nostro cuore» Spagnol: «Il punto forte per ripartire» L'interno della Scala. Sopra, Afeltra e Giulietta Simionato. Sotto, Carlo Fontana

Luoghi citati: Lazio, Milano