«Una sola Cupola fra politici e camorra»

i II dossier dei giudici di Napoli: confermati i sospetti su Pomicino, Vito e Mastrantuono II dossier dei giudici di Napoli: confermati i sospetti su Pomicino, Vito e Mastrantuono «Una sola Cupola fra politici e camorra» Accuse a Gava: cercava i voti illegali ROMA. Sono gli stessi magistrati ad indicare i due filoni della «connection»: «Il contributo della collaborazione finora resa dal Galasso al tema delle indagini indicato si articola, allo stato, su due vicende fondamentali: a) le conseguenze del sequestro e della liberazione di Ciro Cirillo sul rapporto camorra-affari-politica; b) la gestione politico-mafiosa degli appalti della ricostruzione». Si tratta dell'inquietante rivelazione di una cupola politico-mafiosa che i magistrati hanno effettuato grazie soprattutto al contributo di alcuni collaboratori e in particolare di quel Pasquale Galasso, ex studente universitario passato nelle file della camorra e, alla fine, divenuto pentito. Dal documento della procura di Napoli viene fuori un quadro a tinte fosche. I giudici pongono l'accento su una «interazione» tra la rete politico-elettorale e il sistema degli interessi criminali. Ne è un esempio ciò che racconta Francesco Alfieri: «La villa di Casamarciano è mia. Non abito nella villa che tengo solo per affezione e vi ricevo, di tanto in tanto, qualche amico o qualche personaggio politico. Non sono io ad invitare i politici, sono loro che si autoinvitano in occasione delle elezioni». E ne passavano, di politici, da quella villa. L'ex generale dei carabinieri Mario De Sena, sindaco de di Nola, Guido Virtuoso, sindaco di Casamarciano, Giuseppe De Falco, allora sindaco di Saviano nonché il sindaco di Poggiomarino, il consigliere regionale Giovanni Alterio, già sindaco di Ottaviano e attualmente deputato de. «Facevamo tutti parte della corrente dell'onorevole Antonio Gava», dirà ai magistrati Luigi Velotti, uno degli amministratori più assidui di casa Alfieri. IL CASO CIRILLO. Racconta Galasso che «durante il sequestro del Ciril lo egli fu contattato da Raffaele Boccia che, a nome di Antonio Ga va, gli chiese che lui e Carmine Al fieri intervenissero per liberare il Cirillo» e che «l'Alfieri, cui egli aveva comunicato la richiesta del Gava preferì rimanere estraneo alla faccenda non intendendo far si strumentalizzare dai politici». Ma la vicenda Cirillo nasconde ben altre sorprese. La mediazione coi terroristi napoletani che han no in mano Cirillo viene affidata a Raffaele Cutolo. Parla sempre Ga lasso e racconta che «la successiva liberazione del Cirillo aveva gene rato in lui e nell'Alfieri» il timore che si stringesse ulteriormente il legame tra Cutolo e la famiglia Gava. Aggiunge il pentito che «do po la liberazione del Cirillo, Cuto lo aveva incominciato a ricattare i Gava». Tanto che questi sarebbero stati costretti «a rivolgersi e ad allearsi con l'unica persona in grado di contrastare efficacemente il Cutolo e cioè con Carmine Alfieri», ANTONIO CAVA. Secondo i magistrati, la sua è una posizione centrale In discussione non ci sono «le scelte politiche in sé e neppure il mero appoggio elettorale della camorra». Ciò che intendono appro fondire è «il patto di mutua solida rietà che avrebbe portato il senatore Gava a condotte funzionali agli interessi dell'organizzazione mafiosa, in cambio del sostegno politico» di questi. In una parola, «a costituirsi come il principale, ma non unico, referente attivo della camorra nolana e vesuviana». Gli amici di Gava? Galasso li descrive uno per uno, ed anche in modo colorito. Di Luigi Riccio, presidente della Usi di Nola racconta: «Con fare guappesco, il Riccio mi raccontò come fosse stato inviato dal senatore Antonio Gava a risolvere il problema delle candidature in' Poggiomarino per le elezioni amministrative del 1985, dove vi erano forti litigi tra vecchi candidati e nuovi aspiranti. Egli li risolse con il suo fare guappesco, decidendo l'esclusione di alcuni vecchi candidati». In quell'occasione si salvò soltanto Peppe Miranda, che riuscì a farsi candidare grazie alla «vicinanza al Gava, che fu confermata al Riccio da quest'ultimo». Ma la camorra interveniva anche direttamente. Galasso ricorda quando, lui latitante, fu invitato su incarico dell'onorevole Patriarca ad incontrare un giovane de emergente, ancora senza corrente, per «dirgli, con tutto il peso della mia fama camorristica, di allearsi con Gava che gli garantiva il posto di sindaco». Galasso non tralascia di raccontare anche i tradimenti e le pacificazioni. Ricorda di aver ricevuto una «reprimenda» perché si era allontanato da Gava, alle politiche del 1987. Così, quando chiede un favore gli viene risposto che Gava «si era sentito tradito da quel comportamento». Ma poi ci mettono una pezza: «Per avere il suo appoggio, io versai a Roberto Gava (fratello del senatore, ndr) duecento milioni». PAOLO ORINO POMICINO. Secondo i giudici, ha avuto contatti diretti nel 1978 col clan Alfieri. «Organizzammo - racconta Galasso - nella nostra concessionaria di Poggiomarino una riunione elettorale cui intervennero circa cento persone». I magistrati sottolineano, quindi, che in quella tornata elettorale Pomicino raccolse quasi mille voti. Amore disinteressato, quello della camorra? Niente affatto. Lo stesso Galasso racconta che chiese un favore. Si rivolse direttamente a Pomicino, che «ci tenne a ringraziarmi per l'aiuto che gli avevo dato e a scusarsi per non essersi fatto sentire dopo la sua elezione». I due si incontrano alla stazione di Mergellina, alla presenza del boss Carmine Alfieri e di una quarta persona la cui identità i magistrati non rivelano nel documento. Era l'alba e Pomicino si apprestava a partire per Roma: «Non batté ciglio quando gli presentai l'Alfieri». E che dire delle tangenti? Secondo il pentito, Pomicino non di- sdegnava: «Pizzarotti (imprenditore coinvolto in Tangentopoli, ndr) si lamentava perché doveva pagare tangenti anche alle bande camorristiche, dopo aver ricevuto assicurazioni da parte dei politici, cioè Pomicino, che pagando loro la tangente del 10 per cento avrebbe ricevuto sicurezza per i cantieri». Ma l'onorevole Pomicino è chiamato in causa soprattutto per il grande affare della ricostruzione. Scrivono i giudici: «Vi sono elementi per ritenere che l'onorevole Pomicino abbia nell'ingegner Greco il suo strumento tecnico, nel Carmine Alfieri il suo referente camorristico... e dalla metà degli Anni 80 il suo braccio operativo nella Ida spa». «Ma solo approfondite indagini potranno dire se la Icla (un'impresa che nel 1992 poteva vantare appalti per 1800 miliardi ndr) appartenga all'on. Pomicino o se sia stata da questi protetta perché a lungo ne ha finanziato ogni tipo di attività». RAFFAELE MASTRANTUONO. «La camorra diversifica, secondo i propri interessi, il consenso elettora¬ le». Secondo Galasso, di questa diversificazione, ha beneficiato anche il deputato del psi. Si intessono trattative tra Mastrantuono e il clan Alfieri. Il socialista è in difficoltà «perché - racconta Galasso - le previsioni lo davano perdente e quindi era necessario il suo (di Alfieri, ndr) aiuto personale. So che poi l'aiuto c'è stato». Aiuto, ma in cambio di che? Il pentito precisa che il parlamentare fu costretto a intervenire sui giudici del tribunale di Napoli che erano riuniti per decidere le misure di prevenzione a carico di Bruno Nocera, uomo di Bardellino. Questa storia era già nota anche prima del pentimento di Galasso. Esiste una relazione dei magistrati Angela Cirillo e Ferdinando Giannelli: «L'onorevole Mastrantuono chiedeva con insistenza di parlare coi giudici. Presentatosi nella veste di vicepresidente della commissione Giustizia della Camera, comunicava di essere venuto per segnalare la posizione di tale Nocera... A tanto gli esponenti hanno immediatamente invitato l'onorevole ad accomodarsi fuo¬ ri...». ALFREDO VITO. «La cosa che mi fece quasi ridere fu che, sentendo i discorsi che venivano fatti dal futuro parlamentare, udii il Vito parlare anche di contrastare la camorra. Di lì a poco lo avrei incontrato pur essendo latitante». Questo il ritratto che Galasso fa del deputato gavianeo, oggi anche lui pentito, ma di Tangentopoli. Galasso e Vito si sarebbero visti per discutere di voti, anche in questo caso la richiesta della camorra è un intervento per «aggiustare i processi». Vito promette: «Ci penso io, ho buone amicizie tra i giudici». Galasso sarà parzialmente assolto. «Dopo la sentenza, il Vito Alfredo - racconta Pasquale Galasso - mi mandò a dire che mi aveva accontentato. Si trattava di un ottimo risultato e che di più non si poteva ottenere». VINCENZO MEO. L'ex segretario provinciale della de avrebbe fin to un attentato ai suoi danni, per apparire una vittima della ca morra. Scrivono i giudici della procura di Napoli: «Secondo Galasso, Meo giunge a richiedere a Carmine Alfieri di organizzare un fìnto attentato dinamitardo contro il proprio studio profes sionale». La sua attività di architetto, oltre che quella di amministrato re locale, lo avrebbe messo infatti in condizione di assolvere al ruolo di protagonista di quella già citata «relazione di recipro cita strumentale con l'organizza zione mafiosa». Francesco Grignetti Francesco La Licata ROMA. Ecco il potere dell'illegalità in Campania. Un groviglio tra malavita, politica e pubblica amministrazione. Una criminalità capace di controllare globalmente l'esercizio del voto e di «distribuire» a suo piacimento la «grande manna» rappresentata dagli appalti pubblici. Una Cupola di politica e camorra che padroneggiava Napoli e l'hinterland. I presidenti delle commissioni parlamentari per le autorizzazioni a procedere sono entrati in possesso ieri del dossier che i magistrati napoletani hanno scritto per sostenere le accuse a carico dei senatori Vincenzo Meo e Antonio Gava e dei deputati Paolo Cirino Pomicino, Alfredo Vito e Raffaele Mastrantuono. Anche la richiesta dei giudici napole- tani, come quella precedente della procura di Palermo contro Giulio Andreotti, è contenuta in un voluminoso fascicolo (200 pagine) che prende in considerazione contestualmente le posizioni dei cinque parlamentari. Sono sostanzialmente due i grandi filoni che costituiscono il binario su cui scorre la storia di questa «connection» tra la potente famiglia di Carmine Alfieri e la politica «locale e nazionale», che i magistrati ritengono di aver individuato insieme con le gravi responsabilità che vengono attribuite ai parlamentari inquisiti, accusati di concorso in associazione mafiosa. In duecento pagine la mappa del potere occulto: una forza criminale capace di controllare le elezioni. Ma anche di distribuire la «grande manna» degli appalti pubblici i Antonio Gava senatore democristiano ed ex ministro dell'Interno accusato di essere «il principale referente attivo della camorra nolana e vesuviana» Il deputato socialista Raffaele Mastrantuono ex vice presidente della commissione Giustizia della Camera L'ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino Contro di lui 52 pagine del dossier Il deputato democristiano Alfredo Vito