LEONE DEL WEST

LEONE DEL WEST LEONE DEL WEST Amava Lubitsch, debuttò nel film mitologico Con la «trilogia del dollaro» inventò un genere Sergio Leone sosteneva che lui in partenza non era affatto un patito di western. Era un patito di buoni film e, tra i buoni film, includeva alcuni western. Quindi, a un certo punto della sua vita, aveva pensato a fare anche un western, perché gli pareva che ci fossero determinate condizioni. Ma la sua più grande aspirazione era dirigere con polso di velluto una commedia brillante. Ed elegante. Il suo regista preferito era Ernst Lubitsch, non John Ford. E raccontava che il suo primo western lo aveva fatto più che altro per scommessa e ripicca. Papi e Colombo della Jolly film lo avevano portato a vedere un western girato in Spagna che, secondo loro, era il più bello che si fosse mai fatto. Alla fine, gli avevano domandato provocatoriamente se si sentisse in La paternità del westernspaghetti è molto contrastata. Solo a sfogliare L'avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti dal 1960 al 1969 a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Feltrinelli 1981, si incontrano le più svariate e interessate rivendicazioni: «Per un pugno di dollari»: «Fui io a dirgli di farlo, avevo visto con amici Yojimbo; un film giapponese che in Italia si chiamava La sfida del Samurai, che mi era piaciuto molto e che mi era stato segnalato da Barboni... Gli dissi: "Fai 'sto film di Kurosawa, attingi lì!" Lui lo copiò in moviola pedissequamente cambiando soltanto l'ambientazione e i dialoghi...» (Sergio Corbucci). «Ho avuto una grande parte nella creazione del western italiano. I primi due film di Leone li ab- lo-tedesca glielo aveva negato perché costava troppo, a quell'epoca costava 25.000 dollari. Ma Clint Eastwood, che lui aveva intravisto nella serie televisiva americana Rawhide, tradotta in Italia come Gli uomini della prateria, costava solo 15.000 dollari e gli era apparso di colpo proprio quello che cercava. Non un attore con i suoi problemi, ma una maschera. Era un maestro di nuoto che da nove anni campava d'inerzia in una di quelle serie televisive che strada facendo si sono dimenticate che, a volte, una fine qualsiasi può essere più decorosa di un'agonia senza dolore. A quell'epoca Clint Eastwood possedeva, secondo Sergio Leone, solo due espressioni: con il cappello e senza il cappello. Camminava come se dormisse in piedi e, a ogni pau- sa, era pronto a stravaccarsi e ad arrotolare il suo metro e novantotto di ossa e muscoli nel minor spazio possibile per dormire: aveva da smaltire, si sarebbe detto, un'eternità di sonno arretrato. In compenso, quando lo si chiamava all'azione, era capace di sfoggiare una fulmineità sconvolgente di intervento. E questo rapì Sergio Leone, gli fornì i tempi ideali dell'intera storia, quasi quanto la musica di Ennio Morricone. Il dettaglio più difficile da mettere a punto fu la necessità, da copione, di imporre a Clint E a stwood non fumatore la presenza in bocca di un eterno ci garillo. Gli veniva da vomita re. Ma Clint Eastwood avrebbe poi confessato di essersi divertito molto a constatare che Sergio Leone non rispettava, probabilmente perché non le conosceva, le tacite, bigotte norme di Hollywood in voga allora, tra cui spiccava quella che in una sparatoria non si potesse mai inquadrare contemporaneamente la persona che sparava e quella che veni va sparata. Era ancora il codi ce Hays e all'estero Clint Eastwood lo trasgrediva volentieri. In Per un pugno di dollari biamo scritti io e Tessali, né Leone né Vincenzoni. Tutta la serie di Tessali l'ho scritta io, come quella di Vancini. I primi dieci film erano buoni, poi se ne fecero duecento e si uccise il western... Leone ebbe l'idea. Tessali sceneggiò e io diedi una mano. Il film riuscì bene perché l'innesto italiano nel film western fu l'iperbole. Poi si fece il secondo, scritto quasi interamente da me, Per qualche dollaro in più, ma il mio nome non figurava in cartellone, ero un intellettuale di sinistra, quindi...» (Fernando Di Leo). «Quella di Gli ultimi giorni di Pompei in Spagna, è stata un'esperienza di un divertimento incredibile, perché c'erano più unità, addirittura quattro registi e quattro operatori e la comunione fra noi era tale che si lavorava con un'allegria che ho ritrovato raramente... C'erano Leone, Tessali e Corbucci. Si lavorava sedici ore al giorno senza stancarci. Tutti poi hanno fatto western. Credo che uno dei primi a pensarci sia stato Tessali con Una pistola per Ringo...». (Enzo Barboni). «La grossa differenza tra me e Sergio sta nel fatto che lui ci crede e io no...» (Duccio Tessari). Creò dal nulla Clint Eastwood: aveva due espressioni «con il cappello» e «senza il cappello» grado di fare un film come quello. E Sergio Leone si era sentito dire impavidamente: «Un film così io lo faccio al telefono, chiamando da casa il mio operatore. Sicuramente viene meglio...». La trama ce l'aveva già in moviola, la storia del film di Kurosawa, tratta da un racconto americano, di un uomo che si vende a chi offre di più, un Arlecchino servo di due padroni che non si sapeva mai da quale dei due ingaggiato per ultimo, ma poi si comportava come un Arcangelo Gabriele piovuto dal cielo. Per l'interprete Sergio Leone aveva pensato dapprima a Rory Calhoun con cui aveva girato II Colosso di Rodi, ma Rory Calhoun gli aveva detto che il copione gli faceva schifo, allora aveva pensato a James Coburn, ma la coproduzione franco-spagno-

Luoghi citati: Hollywood, Italia, Pompei, Rodi, Spagna, Tessali