Un reporter dall'inferno di Sergio Romano

La Spagna di Koestler come la Bosnia La Spagna di Koestler come la Bosnia Un reporter dall'inferno EL 1937 Sarajevo, Vukovar e Srcbrenica avevano un altro nome. Si chiamavano Madrid, Valencia, Malaga. L'Europa reagì agli avvenimenti spagnoli con lo stesso sbigottimento e la stessa indignazione con cui reagisce oggi alle vicende jugoslave e alla guerra bosniaca. Le notizie dalla Spagna d'allora e quelle della Bosnia d'oggi si assomigliano come gocce d'acqua: città assediate e affamate, bombardamenti dal mare e dal cielo, civili passati per le armi, soldati trucidati sul campo di battaglia o massacrati nelle prigioni del vincitore. Quando la seconda divisione del generale Gonzalo Queipo de Llano entrò a Malaga nel febbraio del 1937, i falangisti fucilarono quattromila «rossi». Quando ne ebbero l'occasione i repubblicani, dal canto loro, furono altrettanto spicci e crudeli. Come nei Balcani oggi la morte divenne gioco, sfida, vendetta. Si uccideva e si moriva con spavalderia, con eleganza, con fatalismo, con noia, con indifferenza. Un giornalista chiese al capitano Pizarro, erede del conquistatore del Perù, che cosa avrebbe fatto contro i carri armati dell'esercito di Franco. «Vengano pure - rispose Pizarro - le strangoleremo con le nostre mani, quelle macchine diaboliche». Soltanto il bulino di Jacques Callot o di Francisco Goya avrebbe potuto descrivere gli orrori della guerra civile che infuriò tra il pronunciamiento di Franco in Marocco nell'estate del 1936 e la caduta di Barcellona nel gennaio del 1939- Vi riusq la penna di Arthur Koestler in un libro - Dialogo con la morte - che riappare ora presso il Mulino in una buona, vecchia traduzione di Camillo Pellizzi e con una introduzione di Marcello Flores. Nato a Budapest nel 1905, Koestler aveva fatto il suo apprendistato giornalistico alla Presse di Vienna e in uno dei maggiori gruppi editoriali tedeschi. A Berlino era diventato comunista e dalla capitale tedesca era fuggito dopo l'avvento di Hitler al potere nel gennaio del 1933. Quando scoppiò la guerra spagnola lavorava per un giorna le «liberal» di Londra, il News Chronicle, ma era anche fedele militante della causa comunista e agente del Komintern. Il giallo di Siviglia Raggiunse Siviglia, allora quartier generale franchista, e fu tra i primi a constatare l'importanza dell'aiuto militare che la Germa nia forniva agli insorti. Tacendo le proprie affiliazioni ideologiche ottenne un colloquio con Queipo de Llano e riassunse l'intervista in un articolo apparentemente obiettivo, ma ironico e ostile. Il giorno dopo incontrò in un bar un giornalista tedesco di nome Strindberg, figlio del grande drammaturgo svedese, con cui aveva fatto conoscenza a Berlino qualche anno prima. Strindberg, che conosceva perfettamente le sue idee politiche, lo denunciò agli spagnoli e Koestler, inseguito da un mandato di cattura, sfuggi a Queipo de Llano rifu giandosi frettolosamente a Gibilterra. Pochi mesi dopo pubblicò in Francia un libro duramente antifranchista, L'Espagne ensanglantée. E' questo l'antefatto del «giallo» spagnolo in cui Koestler fu coinvolto qualche mese dopo Sappiamo perché egli si fosse «infiltrato» nel quartiere genera le franchista di Siviglia, ma non sappiamo perché nel gennaio dell'anno seguente egli abbia improvvisamente deciso di ritornare in Spagna e di spingersi fino al fronte di Malaga nel momento stesso in cui la città stava per ca¬ dere nelle mani di una colonna franchista di cui facevano parte, tra gli altri, cinquantamila soldati italiani. Questo Dialogo con la morte è al tempo stesso loquace e reticente. Koestler raggiunge Malaga, prende alloggio nella casa del console inglese, cammina lungo e banchine del porto, corre lungo la strada costiera mentre i cannoni delle navi franchiste giocano al bersaglio con la sua automobile, si aggira per le vie di una città spettrale dove i miliziani corrono «come folli, senza meta» e «donne ricoperte da mantiglie nere scivolano via come pipistrelli nell'ombra delle case». Due volte decide di abbandonare Malaga e due volte ritorna sui suoi passi. Che cosa lo trattiene in una città che attende fatalisticamente di essere «passata per le armi»? Il desiderio di testimoniare, un appuntamento con la morte, una missione segreta? Chi è Koestler nel febbraio del 1937? Un giornalista «liberal» deciso a raccontare gli ultimi giorni di Malaga o un agente del Komintern? lli galera a Malaga Poche ore dopo l'occupazione della città Koestler fu riconosciuto da un ufficiale di Queipo de Llano e gettato in prigione, prima a Malaga, poi a Siviglia. Vi rimase tre mesi durante i quali oscillò bruscamente ogni giorno fra il timore d'essere ucciso e la speranza d'essere liberato, tre mesi durante i quali dovette ascoltare ogni notte l'«appello» dei condannati a morte, le grida dei morituri e i borbottamenti del prete che li accompagnava al muro dei fucilati. Fu liberato, infine, perché a Franco parve op portuno compiacere gli appelli della stampa inglese e scambiar lo con una donna arrestata dai «rossi» a Barcellona. Tornato a Londra Koestler compose, con ì'Espagne ensan glantée, un altro libro antifranchista, Testamento spagnolo, in cui rac contò, sotto il titolo Dialogo con la morte, l'avventura vissuta fra il ritorno in Spagna nel gennaio del 1937 e la liberazione nel maggio dello stesso anno. La vicenda personale s'inseriva quindi in un libro di parte e contribuiva a rafforzarne la tesi. Ma il racconto di quella vicenda è ambiguo. Contiene mille volti splendidamente ritratti con pietà e con ironia, ma non contiene quello dell'autore In questi «orrori della guerra» vi sono guardie civili, anarchici, falangisti, contadini, operai, miliziani, capitani di ventura, preti e intellettuali; ma i lineamenti del l'autore rimangono parzialmen te coperti da una maschera. Sap piamo tutto di quei mesi fuorché la ragione per cui Koestler tornò in Spagna nel gennaio del 1937 e rimase a Malaga dopo la conquista della città. Questo giallo spagnolo resta senza soluzione. La chiave, probabilmente, è in un episodio degli anni seguenti Quando gli suggerirono una nuova edizione del suo Testamento spagnolo, Koestler rifiutò e volle dare alle stampe, come ricorda Marcello Flores nella sua intro duzione, soltanto il Dialogo con la morte. Non cambiò nulla, non aggiunse una parola a ciò che aveva scritto, non sciolse il mistero del suo ritorno in Spagna alla vigilia della caduta di Malaga, ma soppresse la parte politica del libro apparso nel 1937. Spiegò così ta citamente che egli non voleva più identificarsi con la militanza di quegli anni e che non intende va valersi della sua personale esperienza per officiare sull'altare di un Dio - il comunismo - in cui aveva smesso di credere. Sergio Romano