Attenti al sogno è pericoloso

il caso. Michel Jouvet, messo all'indice dagli psicoanalisti, contro un mitoder900 il caso. Michel Jouvet, messo all'indice dagli psicoanalisti, contro un mitoder900 Attenti al sogno, è pericoloso MILANO DAL NOSTRO INVIATO Ha l'aspetto di un signore bonario che può solo riscuotere approvazione, Michel Jouvet. Insegna medicina sperimentale all'Università di Lione, si occupa di sogni, scrive saggi e adesso anche un romanzo {Il castello dei sogni, Longanesi). Eppure dice cose esplosive, che la cultura progressista di questi decenni non riesce proprio a mandar giù. Cose come questa: le differenze psicologiche tra individui dipendono dal codice genetico. E ancora: l'uomo è ciò che sogna. Frasi indigeste, che relegano in secondo piano le influenze ambientali e ci riportano sotto il detestato giogo del determinismo. I suoi colleghi francesi, anziché confutarlo, hanno scelto di ignorarlo. In Italia, invece, sembra essere più ascoltato. Molti dei suoi libri sono stati tradotti. Ieri era a Milano per presentare l'ultimo, Il sonno e il sogno (Guanda), che riassume la sua teoria, rafforzata da conclusioni analoghe a quelle cui altri scienziati sono giunti in ambiti di ricerca confinanti con il suo. Che cosa dice di così eretico, Jouvet? Il suo discorso parte da lontano, dalla funzione biologica del sogno, che sembra non rispondere a nessuno dei bisogni primari dell'uomo. «Il sogno non è ristoratore come il sonno, perché assorbe moltissima energia. Ed è pericoloso, perché rende ciechi e sordi a tutto ciò che accade all'esterno. Dov'è dunque la sua utilità? E' chiaro che un tornaconto ci deve essere, altrimenti l'evoluzione lo avrebbe eliminato. La sua funzione è di "riprogrammare" i nostri comportamenti, eliminando questa o quella cosa appresa o al contrario rinforzandola, se è coerente con la parte innata della nostra personalità». E' questa la grande eresia: che parte del nostro carattere sia immutabile, qualunque cosa capiti nella vita. Jouvet si appoggia a alcuni studi psicologici sbalordi- tivi e a lungo contestati dalla scienza dominante. Si tratta, in particolare, della ricerca su cento coppie di gemelli fatta da Bouchard all'Università del Minnesota, e accettata da una grande rivista internazionale come Science soltanto un paio di anni fa. La storia più famosa è quella dei gemelli Jim, separati alla nascita, cresciuti in famiglie radicalmente diverse e riuniti dal caso a quarant'anni. Ebbene: non solo erano simili i loro disturbi (stesse emorroidi, stessa obesità, stesse emicranie), ma erano identici i tic e le idiosincrasie, le mogli, i figli e i cani (perfino nei nomi!), l'hobby della falegnameria e le unghie rosicchiate. «Nessuno si stupisce della somiglianza fisica dei gemelli - polemizza Jouvet - né di certi tratti somatici ricorrenti all'interno delle famiglie, come il celebre naso dei Borboni. Invece c'è un irrigidimento di fronte alle stesse analogie nei comportamenti, se solo si evoca il termine "genetico". Invece anche in questo ambito noi siamo, almeno in parte, inesorabilmente programmati». Ed è a questo punto che si ritorna al sogno, meccanismo fondamentale perché la program- mazione possa esprimersi. «Il cervello è, per così dire, una macchina conclusa. Le sue cellule, a differenza di quelle del resto del corpo, non si dividono riproducendosi in continuazione per tutta la vita. Anzi, si riducono con gU anni. Non solo: l'influenza ambientale sembra impotente di fronte ai comportamenti istintivi. Un esempio banale: l'abitudine di grattarsi il naso nei momenti di imbarazzo. Puoi sentirtelo dire mille volte che non è elegante, ed essere pure d'accordo, ma la mano tornerà puntuale a farlo. Non è pensabile che il programma genetico abbia definito una volta per tutte, nei nove mesi di gestazione, questa e le infinite altre connessioni delle cellule cerebrali responsabili dei vari atteggiamenti. Da un lato, ci vorrebbero molti più geni di quelli che abbiamo (e sono già nell'ordine dei centomila). Dal- l'altro, le influenze ambientali, soprattutto quelle ripetute, finirebbero con l'alterare queste connessioni. Ormai c'è un lungo elenco di esperimenti che dimostrano come le cellule del cervello - fino a qualche anno fa considerate immutabili - cambiano invece struttura sotto la pressione degli eventi». Occorreva dunque pensare a un meccanismo completamente diverso. E Jouvet ha pensato al sogno. Anche perché c'è un fatto curioso: quei 20 minuti di «sonno paradossale» (o REM, per il rapido movimento degli occhi che lo caratterizza, insieme con un'improvvisa attivazione della corteccia cerebrale) che nel corso della notte si alternano ciclicamente ai 90 minuti di sonno normale richiedono tanto glucosio quanto lo stato di veglia, tant'è vero che l'ora e mezza successiva alla piccola fase di sogno serve proprio a ricostituire la scorta di energia necessaria a ricominciare. «L'apprendimento - spiega Jouvet - avviene solo se un dato stimolo viene ripetuto più e più volte. Dal punto di vista biologico, imparare è connettere i filamenti delle cellule cerebrali, che si legano in modi sempre nuovi usando, per cercarsi e comunicare, il linguaggio della chimica. Mi sembra quindi perfettamente logico pensare che tutto il glucosio consumato nel sogno alimenti una frenetica attività di apprendimento: via gli insegnamenti incompatibili con l'eredità psicologica, largo a quelli che devono essere rinforzati perché sono nella giusta linea». Gli psicanalisti, a Jouvet non parlano nemmeno. L'idea del sogno come luogo dei desideri è troppo bella per rischiare di perderla in un confronto con la brutalità dei geni. Marina Verna ili «Non è ristoratore come il sonno, assorbe moltissima energia. Serve a "riprogrammare" i comportamenti» L'onirologo francese contro i seguaci di Freud e Jung Nell'immagine a destra Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi II sogno, luogo dei desideri? Secondo Jouvet è piuttosto uno strumento per sottomettere l'individuo'al giogo del determinismo genetico «Ci rende ciechi e sordi all'ambiente per proteggere l'eredità genetica»

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