Meno morti per droga ma è rissa di R. Cri.

Governo sotto tiro Governo sotto tiro Meno morti per droga ma è rissa ROMA. Si muore meno, ma sempre troppo: 1207 persone l'anno scorso (1383 nel '91) e per lo più di sesso maschile (1107). Dove? Piemonte e Lazio le regioni più a rischio , rispettivamente con 278 e 139 morti per droga. Ma dal resto del Paese le notizie non sono certo confortanti: 109 vittime in Emilia Romagna, 97 in Piemonte, 95 in Liguria, 89 in Veneto, 80 in Campania, 66 in Toscana. La più alta incidenza del fenomeno droga al Nord coincide, secondo quanto si rileva nella relazione ministeriale, con la maggiore diffusione delle strutture riabilitative, complessivamente triplicate. Attualmente sono 1175 e ben 642 sono comunità terapeutiche: un aumento significativo se si confrontano i dati dell'84 (207 comunità) e del 90 (433). E sul significato di «comunità», recentemente al centro della cronaca giudiziaria dopo i fatti di San Patrignano, Bompiani ha ribadito la preferenza per le strutture con un massimo di 30 ospiti e, comunque, la necessità di personalizzazione di ogni singolo caso: «L'importante ha detto - è che anche nelle comunità più grandi si formino dei nuclei terapeutici che non superino quel numero». «I dati sulla droga presentati dal ministro Bompiani? Sono sconcertanti». Un commento secco, deciso, recitato all'unisono ieri a Milano da gente che di lotta alla droga se ne intende. Da personaggi come don Luigi Ciotti del Gruppo Abele, don Vinicio Albanesi (presidente del coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza), don Andrea Gallo (comunità San Benedetto al porto di Genova), Livio Pepino (segretario nazionale di magistratura democratica). Riuniti a Milano per spiegare il loro «sì» al referendum, hanno snocciolato i dati ministeriali svelandone distorsioni e trabocchetti. «Parallelamente ad un aumento del 50% delle comunità terapeutiche e di accoglienza - ha sottolineato don Ciotti - i servizi pubblici sono passati dai 517 del giugno '90 ai 559 di oggi. Il dato sarebbe positivo; peccato però che di fatto quelli attivi sono solo 521. Il che - ha concluso don Ciotti equivale a dire che la legge Jervolino-Vassalli ha favorito l'incremento del servizio pubblico nel settore di solo 4 unità». «Si enfatizza molto il dato sulla diminuzione delle morti per droga - ha sottolineato invece don Albanesi - ma non si fa alcun accenno al fatto che negli ultimi 5 anni i decessi sono più che raddoppiati nelle fasce di età superiore ai 30 anni, cioè tra i cosiddetti tossicodipendenti storici, passando dai 231 dell'88 ai 496 del '92. Che cosa vuol dire? Che una volta usciti dalle comunità terapeutiche i tossicodipendenti sono completamente abbandonati a se stessi: o riescono a farcela da soli, oppure, non trovando appoggio o assistenza nel settore pubblico sociale e ricadono nella droga». [r. cri.]

Persone citate: Albanesi, Jervolino, Livio Pepino, Vinicio Albanesi