Bagno di sangue per difendere Torino capitale di Luciano Curino

Bagno di sangue per difendere Torino capitale Oggi in omaggio con La Stampa un altro fascicolo della «Storia del Piemonte a fumetti» Bagno di sangue per difendere Torino capitale Nel settembre del 1864furono trenta i morti nelle piazze Il regno di Sardegna è diventato regno d'Italia. Torino, si dice, è troppo vicina alla Francia, troppo esposta e vulnerabile per essere la capitale della nazione unificata. Scrive il Cognasso che il ministero Minghetti «era animato da una non taciuta animosità agli uomini e alle cose del Piemonte; così non nascosero i suoi componenti l'intenzione di portare via da Torino la capitale». Il 15 settembre 1864 la decisione di trasferire, entro sei mesi, la capitale a Firenze. «I ministri non ebbero nessun riguardo per il Municipio che ignorò la cosa...». La notizia si sa una settimana dopo dai giornali. Il 21 la gente scende in strada a protestare. Il 22 affolla piazza San Carlo e piazza Castello gridando «O Roma o Torino». Sono migliaia e vengono dispersi, falciati dai moschetti della forza pubblica. Restano sul terreno una trentina di morti, oltre 150 feriti. Una carneficina che suscita indignazione in Italia e all'estero. Nessuno vuole assumersi la responsabilità. Sarebbe stato il segretario generale del ministero dell'Interno a ordinare la repressione, ordine incrudelito da quelli che lo hanno eseguito. Esautora¬ to il questore Chiapussi. Il re invita Minghetti a dimettersi, si costituisce il nuovo ministero presieduto dal generale Alfonso La Ma nuora. Si pensa di indennizzare in qualche modo Torino per il perduto rango di capitale. Massimo d'Azeglio non vuole sentire parlare di compensi, «al sacrificio mi sento disposto; a presentare il conto, no». L'offerta è sdegnosamente rifiutata anche dal sindaco Rorà: «Torino non si vende. Se il trasferimento è necessario per il bene della patria, a che si parla di compensi?». Nei primi mesi dell'anno seguente partono la corte, le Camere, i ministeri, le magistrature, le ambasciate, a migliaia se ne vanno impiegati e militari. «Fu come si spegnessero i lumi della ribalta», ha scritto Firpo in «Torino. Ritratto di una città». Torino aveva 220 mila abitanti, ne perde 30 mila. «Isolata, umiliata, ferita nel profondo, Torino parve avviarsi sulla china di una decadenza contegnosa e quieta; sembrò persino prendere un'aria da gran signora decaduta, si coronò di viali ombrosi, aprì botteghe raffinate, accolse in un'atmosfera cortese, aristocratica, distinti funzionari in pensione e generali a riposo». Ma c'è anche intraprendenza e se ne dà saggio vent'anni dopo con l'Esposizione industriale (14 mila espositori, il doppio di tre anni prima all'analoga esposizione di Milano) che ha tre milioni di visitatori. Luciano Curino

Persone citate: Cognasso, Firpo, Massimo D'azeglio, Minghetti