Salisburgo un Ronconi in doppiopetto

Salisburgo, un Ronconi in doppiopetto Elegante il «Falstaff» diretto da Solti con i Philharmoniker di Berlino ed il bravo Van Dam Salisburgo, un Ronconi in doppiopetto Perfetto accordo tra il direttore e il regista, ottimo il cast SALISBURGO. Il problema principale per chi voglia rappresentare «Falstaff» nel Teatro Grande di Salisburgo è come utilizzare le enormi dimensioni del palcoscenico: il capolavoro verdiano richiede spazi ristretti ed una certa vicinanza tra cantanti e pubblico, adatta a facilitare la comprensione del testo che Verdi mise in evidenza adottando a 80 anni uno stile quasi del tutto nuovo. Bene, le condizioni offerte dal Teatro Grande di Salisburgo sono esattamente opposte a queste esigenze: ma il direttore d'orchestra Georg Solti, i cantanti e il regista Luca Ronconi hanno vinto la sfida, dandoci un «Falstaff» scattante e concentrato, dove la vivacità della commedia che Verdi conduce, in pieno Decadentismo, sino alla imprevedibile esplosione di una comicità salubre e vitale, si è mantenuta costante, senza cedimenti né dispersioni. Con la scenografa Margherita Palli, Ronconi ha diviso il palcoscenico in am¬ bienti più piccoli, spostando l'azione ora in uno ora nell'altro, col risultato di raccoglierla, come un fluido ad alta pressione, nel ristretto contenitore adatto a farla esplodere. Ha trasformato ironicamente l'osteria della giarrettiera, dove Falstaff si reca a degustare il buon vino, in un laboratorio enologico, gigantesca «cantina sociale» in cui, tra pareti bianche e finestroni luminosi, prendono posto tmi, botti, vetri allineati con scientifica precisione: evidente allusione a quella cultura industriale che costituisce un punto di di Curdo Maltese Diventa giudice di pace: una scelta per migliorare. Avete pochi giorni per presentare la domanda. (Spot ministero della Giustizia, Raiuno, 18,50) riferimento costante nel lavoro di Ronconi e che qui sovrappone, nel primo quadro, il tempo dell'autore (1893) a quello delle vicende shakespeariane cui si riferiscono i bei costumi di Vera Marzot. Ma il tutto è condotto con molta discrezione. D'altra parte difficilmente il regista avrebbe potuto fare entrare Falstaff in velocipede, senza il rischio di fulminare, con un attacco alle coronarie, il pubblico più serio, impettito e tradizionale d'Europa. E' quindi un Ronconi in doppiopetto quello che si presenta per la prima volta a Salisburgo: molto-prudente nell'inventare cose che sconcertino e attento soprattutto all'efficacia narrativa della commedia. I cantanti attori, così, recitano meravigliosamente: ed il culmine del realismo è raggiunto quando Iosè van Dam, misuratissimo Falstaff alla cui eleganza scenica e vocale manca forse un pizzico di istrionismo, viene scaraventato, vestito di tutto punto, nell'acqua del Tamigi che scor¬ re in primo piano, e giunge subito dopo al proscenio per ricevere gli applausi tutto grondante, con un asciugamano in testa. Delizioso il secondo quadro dove le allegre comari di Windsor e il gruppo degli uomini si rincorrono in un labirintico giardino fiorito di siepi ed aiuole; spettacolare la trasformazione della penultima scena quando lo spazio è improvvisamente invaso da enormi masse di fronde autunnali che escono dai lati, dall'alto e dal fondo e creano in meno 10 secondi il passaggio al quadro finale della foresta dove prende luogo la magica mascherata. L'effetto, molto spettacolare, strappa l'applauso a scena aperta né il pubblico sembra turbarsi troppo dal fatto che persista in scena la presenza del letto di Falstaff, che si alza e si abbassa con un meccanismo nascosto, timido residuo salisburghese di ben altre trovate ronconiane (si ricordino i sette letti semoventi impiegati nel «Don Giovanni» di Bologna). Che Ronconi e Solti abbiano lavorato in perfetto accordo è chiaro dall'unità degli effetti ottenuti: anche l'esecuzione è viva, spigliata, frizzante. L'Orchestra Filarmonica di Berlino colpisce, qui, per l'elasticità con cui segue l'andirivieni dell'azione, investendo con la magia dei suoi riflettori colorati ora la tenerezza dei giovani Nannetta (Elizabeth Norberg-Schulz) e Fenton (Luca Canonici) ora l'elettrica intraprendenza delle comari (Luciana Serra, Mariana Li- povsek, Susan Graham), ora la cupezza caricaturale di Ford (Paolo Coni), ora la smargiasseria di Bardolfo e Pistola (Pierre Lefèvre e Mario Luperi) o l'isterica e vuota aggressività del Dottor Cajus (Kim Begley). E al centro sta Falstaff, motore dell'azione, questo vecchio che non solo accende «l'arguzia degli altri», come dice lui stesso, ma serba ancora in sé quella fiamma della vita e della passione che brilla nel gruppo degli adulti e si accende dei primi bagliori negli animi dei due ragazzi. Perché qui sta la grandezza del «Falstaff» di Verdi: nel trasformare un semplice canovaccio shakespeariano tolto da due lavori diversi in una parabola sulle tre età dell'uomo viste dalla distanza di una affettuosa e tollerante saggezza senile. A più di 80 anni, Solti capisce questo con una adesione totale e, disponendo di quella orchestra e di quei cantanti, vince su*due fronti: quello della miniaturistica definizione dei caratteri ottenuta con interventi fugaci e quello della risata scrosciante che nei concertati mena tutto e tutti ad un vortice di irresistibile ebbrezza collettiva. Paolo Gal tarati Luca Ronconi ha vinto la sfida realizzando un «Falstaff» scattante

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