L'agnello a peso d'oro
Scandalo gastronomico: persino i negozianti si vergognano dei prezzi Scandalo gastronomico: persino i negozianti si vergognano dei prezzi L'agnello a peso d'oro «Non compratelo per Pasqua» Era un simbolo della Pasqua, minaccia di diventare lo scandalo gastronomico della prossima ricorrenza: deciso a vendere a peso d'oro la propria pelle, il tenero agnello della tradizione sta diventando antipatico persino al presidente degli agnellai. Confessa Giovenale Bergoglio: «Per la prima volta in sessant'anni sto convincendo i clienti a rinunciarci. I capi nostrani più apprezzati che pagavo al macello 12.500 lire il chilo una settimana fa stanno superando le 16-18 mila, esclusa Iva (9%) e scarti». Un rincaro enorme. «Sarei costretto a rivendere almeno a 33 mila lire il chilo lo stesso agnello nostrano che l'altra settimana offrivo a 20-21 mila lire ma che ora mi costa globalmente 27 mila, ed è una vergogna. Sulla linea dei capretti sardi: al macello sono saliti in 15 giorni da 10.500 a 18 mila e quelli delle valli di Lanzff costano vivi dalle 15 alle 17 mila». Di qui un consiglio spassionato: «Chi apprezza la carne ovina di qualità, per togliersi il gusto aspetti che si spenga la speculazione pasquale». Ma non tutti sono disposti a rinunciare. E' così che nella macelleria-salotto di Curletti sta per arrivare ancora una volta il «gigot presale» di agnello normanno, profumato di salsedine dai pascoli lambiti dalle maree. E quanto costa questa specie di araba fenice? Risponde il titolare: «Lo acquisto a 31.500 lire il chilo da un fornitore milanese dei migliori ristoranti lombardi e lo rivenderò a 40 mila, sperando me lo chiedano in pochi perché ci ricavo una miseria». A parte il prezzo debitamente salato, comunque, sono sempre meno gli intenditori in grado di apprezzare la sua grassa cotenna provocata dall'allevamento all'aperto. Ancora Curletti: «Agnelli nostrani? Offrirò anche questi, ma non chiedetemi quanto li ho pagati: una follia». E' un'analisi condivisa dai grossisti di settore, messi in crisi da «ondate di rincari che stanno assumendo il ritmo di un'asta internazionale». Riassumono alla «Savonera Carni»: «A parte la produzione toscana o sarda che non supera il 5 per cento del consumo, la maggioranza dei rifornimenti arrivava dai Paesi dell'Est dove imperversa l'afta epizootica e, a parte l'Ungheria, è stata bloccata o sottoposta a lunghi esami per fronteggiare l'epidemia. Ne deriva che a rifornire l'intera Europa restano l'Islanda, la Scozia e l'Inghilterra, che si fanno pagare in sterline e speculano sulla maggiore richiesta». Risultato: prezzi all'ingrosso saliti di 4-5 mila lire il chilo rispetto al '92, con quote-di 16 mila lire (Iva esclusa) per l'agnello nordico, di 18 mila per i capretti francesi allevati in Savoia. Unica nota positiva, i prezzi praticati dalla grande distribuzione: 9.500 lire al chilo la coscia di agnellone e 24 mila il migliore arrosto di capretto al Continente, 13.900 lire la coscia di agnello e 21.500 al chilo il capretto venduto intero o in mezzena da Auchan. Anche in questo caso, però, l'agnello pasquale può celare brutte sorprese. Dicono al Continente: «I sedicenti 'agnellini da latte' anglosassoni sono in realtà giovani agnelloni che pesano 9 chili anziché i 6 regolamentari del vero abbacchio-baby e brucano erba da almeno 2 mesi. Pertanto, rispettando i consumatori, la nostra offerta si limiterà ad agnelloni nordici e capretti francesi. Assenti in particolare i capretti sardi, causa il prezzo inabbordabile e fuori mercato». Luisella Re Rincari alle stelle Il presidente degli agnellai «Per la prima volta in sessant'anni sto convincendo i clienti ad aspettare che cessi la speculazione» ^ Una settimana fa al macello i capi nostrani costavano 12.500 lire, ora stanno superando le 18 mila il chilo. Iva esclusa
Persone citate: Curletti, Giovenale Bergoglio, Luisella Re
Luoghi citati: Auchan, Europa, Inghilterra, Islanda, Savoia, Scozia, Ungheria
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