« Non siamo le cenerentole »

« « Non siamo le cenerentole » / viticoltori di montagna lanciano la sfida AOSTA DAL NOSTRO INVIATO Per i vini di montagna è suonata l'ora della riscossa. Una voglia di crescere, contare di più, uscire dalla semplice logica dei numeri, di non essere la «cenerentola» della Doc. Questo grido è risuonato anche al Vinitaly, dove una delle patrie dei vini che nascono ad alta quota (o da zone orograficamente difficili), cioè la Valle d'Aosta, ha portato il segno del proprio dinamismo. E' un messaggio a trecentosessanta gradi quello che arriva da Aosta e «dintorni»: rivolto al neoministro Diana come ai consumatori, agli esperti di enologia come a chi decide il mercato. Eccolo il messaggio: «I vini di montagna sono una realtà economica da difendere e un prodotto del "made in Italy" da conoscere, diffondere, far uscire dal limbo degli specialisti: sono bottiglie da conoscere e apprezzare, sotto tutti i punti di vista». Vini di montagna. Un milione di ettolitri prodotti in terre come il Friuli e la Valtellina, parte del Piemonte, Liguria e colli piacentini, Ischia e parte della Tosca- na. Ma che c'entrano Ischia e la Liguria? Roberto Gaudio risponde con un sorriso: «Nessun errore. Con la denominazione "vini di montagna" vogliamo intendere tutte le "bottiglie" nate e cresciute in zone impervie particolarmente difficili. Dunque le Cinque Terre, parte dell'Imperiese. E dunque anche Ischia». Roberto Gaudio è uno dei consulenti del «Cervim», il centro ricerche per la viticoltura di montagna creato dalla Regione Val d'Aosta. Quella del centro (e delle successive iniziative promozionali, come il concorso internazionale dei vini di montagna in programma a settembre e recentemente presentato all'Expo di Milano) è una scommessa per uscire dalla «nicchia» e porsi al centro dell'attenzione di ima più vasta cerchia di cultori del «buon bere». «Gli scopi del Cervim - dicono ad Aosta - sono tanti: proteggere, valorizzare e salvaguardare la "viticoltura" montana minacciata dall'abbandono a causa, in particolare, dei costi elevati di produzione, dovuti alle caratteristiche del territorio. Attraverso gli studi del centro, a cui aderiscono produt- tori europei (dalla Francia alla Svizzera, dalla Germania alla Spagna, dall'Austria alla Jugoslavia), si cercano soluzioni per ridurre i costi, tamponare l'emorragia di addetti, valorizzare i prodotti». Crisi. E' una parola che accompagna, ad esempio, gli ultimi anni della viticoltura di Ischia, dove operano migliaia di aziende. La produzione, dal '61 ad oggi, si è quasi dimezzata, così come la superficie coltivata. Diversa la situazione in Valle d'Aosta, dove si trova il vigneto più alto d'Europa. La produzione, dopo un certo periodo di crisi, è cresciuta, grazie anche ad una riorganizzazione delle Associazioni degli agricoltori, alla nascita di cooperative, ai progetti che tendono a far nascere enoteche e musei del vino. «Il problema - dicono i produttori - è innanzitutto farci conoscere. Ma quello più importante riguarda le condizioni dì lavoro: coltivare la vite in montagna richiede un numero di ore lavorative superiore a quelle necessarie in altre zone, con l'impiego di particolari tecniche che solo in parte permettono l'uso di mezzi meccanici specifici. Eppure il risultato, per il consumatore, è di grande interesse, gli esperti dell'Oiv hanno verificato come i vini di montagna non abbiano nulla da invidiare ai "parenti" di pianura e collina. La qualità è alta, con profumi intensi dovuti alla lenta maturazione delle uve». Luigi Sugiiano II ministro Alfredo Diana

Persone citate: Alfredo Diana, Roberto Gaudio