Una bibbia per Clinton di Furio Colombo

Una bibbia per Clinton Una bibbia per Clinton E ora tocca ai pacifisti italiani SNEW YORK I parla molto di nonviolenza in Italia per merito di gruppi del mondo cattolico e dello schieramento pacifista che si era formato al tempo della guerra del Golfo. Soprattutto per merito dei radicali e di Marco Pannella, che hanno portato nel cuore della cultura italiana un concetto di responsabilità individuale, morale e non ideologica, prima impopolare e estraneo. Ma quando la cultura nonviolenta italiana fa il nome di un padre, quasi sempre nomina Gandhi, non Martin Luther King. C'è una ragione, e la ricordo da quando, nel '65, ho accompagnato King in carcere a Selma, in Alabama, con la troupe di Tv-7. In viaggio King mi confidava il futuro che vedeva per l'America. Un racconto profetico: parlava di incendi nelle città, di una rovina urbana che avrebbe logorato i sistemi di assistenza e sicurezza, di bande che avrebbero consumato il suicidio di se stesse e la vendetta verso gli altri, di un logorarsi delle condizioni della vita che avrebbero toccato la salute, propagato le malattie, portato certi gruppi a vivere in condizioni invivibili. E aveva predetto il calare inesorabile dei senzacasa verso i quartieri buoni, fortificati eppure sempre più esposti, perché «il male genera il male». Bisogna seguire il percorso di questa narrazione per capire il senso metropolitano e industriale della nonviolenza di Martin Luther King, imparata da quella contadina di Gandhi, ma ricostruita radicalmente in America. King ha intravisto la tragedia. Ma ha intravisto con chiarezza entrambi gli attori: gli abbandonati, che si sarebbero vendicati. E la «classe dirigente» assediata dal peso di un prezzo impossibile. Aveva calcolato un dato, labile per i disperati ma importantissimo per la classe media: la democrazia. LAmerica del potere avrebbe fatto sempre più fatica a sopportare le spese della difesa. E l'America democratica avrebbe trovato impossibile addossarsi la responsabilità morale di una separazione radicale tra due mondi, tra avere e non avere. Aveva intravisto prima lo strappo che avrebbe lasciato indietro, dolorante e vendicativa, una parte del Paese. Poi la possibilità di un'impennata d'orgoglio morale, per ricomporre la tragica diaspora urbana americana che ha diviso un popolo tra bianchi e neri, tra maggioranza illusoria (nelle grandi città i bianchi non sono più maggioranza) e minoranze nominali, che sono vaste maggioranze di esclusi. In questa profezia King ha previsto Clinton, o almeno il ritorno al progetto di vivere insieme. E' in questo paesaggio che King vedeva le due lame della nonviolenza. La prima era la forza di un rifiuto integrale, che cominciava con lo smantellamento della macchina da guerra e la messa in libertà delle grandi risorse impegnate nella corsa alle armi. La seconda era la convenienza pragmatica, che anche Gandhi aveva intravisto, ma che nell'America individualista è un richiamo ben percepibile : la nonviolenza conviene. Risparmia sangue e dolore. Ma anche risorse, ricchezza. Tutto questo lo avevo narrato in un libro, Invece della violenza. Ricordo lo slancio con cui la parte più viva della cultura italiana si è lanciata sul fenomeno del «Black Power», durato un giorno, trascurando i dieci anni di passione di Martin Luther King, ignorando il celebre episodio in cui Martin e Malcolm, come il movimento li chiamava, si sono mandati da lontano un saluto, un cenno di fratellanza perché tutti e due vedevano, con le parole di James Baldwin, «la prossima volta fuoco». La cultura americana, che ha visto avverarsi la parte terribile della profezia di King, nella desolazione sempre più vasta dei quartieri infernali di Detroit e Los Angeles, dei bambini presi nel fuoco incrociato dei venditori di droga, nel Bronx e a Brooklyn, adesso sta avendo il suo scatto, la sua ripresa morale. Tutto ciò avviene perché la visione di King non era stata disprezzata e spinta ai margini. Non si era mai perso né il sogno né il segnale di pragmatica utilità della pace. Ed ecco venire da uno Stato del Sud, l'Arkansas, un giovane Presidente che ha vissuto quei tempi. Sta passando attraverso i punti indicati dal «manuale»'di nonviolenza di King, nella versione metropolitana industriale che, dopo Gandhi, il predicatore nero americano ha re-inventato. Primo, smantellare la macchina della guerra e ricavarne risorse. Secondo, dare vita a un grande progetto di «training» affinché chi non lavora impari il lavoro. Terzo, investire nelle città in modo che non sia il numero dei poliziotti a indicare la sicurezza, ma quello dei posti di lavoro. Quarto, riformare il sistema sanitario in modo da eliminare la peggiore delle paure: di restare fuori dall'assistenza. E chiedere alla gente i sacrifici che tutte queste misure costano in cambio della fine della diaspora tra maggioranze infelici, assediate, insicure, e minoranze il cui costo di esclusione ricade come una pioggia velenosa su tutti. Clinton, nato e formato nell'epoca di Martin Luther King, parla apertamente della convenienza della pace sociale e la gente lo capisce e gli dà ragione. Contro i commentatori che si ostinano a indicarlo come un idealista impulsivo e costoso, i sondaggi di opinione continuano a dargli sostegno. Non è successo un miracolo. Ma sta diffondendosi il disinteresse per la caccia al diverso, l'intenzione di far pace per risparmiare, il desiderio di non discriminare per non pagare gli enormi costi della discriminazione. Ecco perché è ragionevole riportare il nome di King, e la sua predicazione urbana, anche nel cuore della vita europea, così lacerata da particolarismi atroci, da invocazioni continue (e costose) di separazione e di differenza. Ecco perché sarebbe bello e importante se i nonviolenti italiani ricordassero King, accanto a Gandhi, per rendere più realistico e quotidiano il messaggio di pace urbana, un nuovo tipo di tolleranza che tiene conto dell'uguaglianza e del diritto degli uomini. Ma anche del fatto che creare lavoro costa meno che costruire prigioni. Furio Colombo

Luoghi citati: Alabama, America, Arkansas, Detroit, Italia, Los Angeles, Quarto