Napoli infuriata senza miracoli

Stanno finendo i soldi nelle tasche della gente e ne approfittano i strozzini camorristi gì La capitale del Sud è viva e frenetica, ma teme di crollare sotto i colpi di una crisi devastante Napoli infuriata, senza miracoli Viaggio nei vicoli fra paura e protesta CNAPOLI HE a calci nel sedere e a secchiate d'acqua scaraventate dai missini nella loro nuova versione goliardo-iconoclasta, alla fine il Consiglio comunale napoletano abbia partorito all'alba il sindaco Francesco Tagliamonte, non ha poi grande importanza. La città, decapitata era e decapitata resta, con i grandi capi inquisiti, Gava, Scotti e Cirino Pomicino, tutti insieme. Anzi, si discute se abbia ancora un corpo, la città, un organismo che non sia quello della sopravvivenza alla disperata, della vita truccata, virtualmente non virtuosa cui Napoli un po' è stata condannata dai suoi satrapi e condottieri, e un po' (un bel po') si è autocondannata sperperando troppe sue energie in proteste fragorose, urla inutili, commistioni infette. Intanto il sindaco si dichiara credente in San Gennaro, sembra un po' tremante e anzi sbalordito del fatto stesso che all'alba sia stato eletto da un consesso contestato e contestabile, impapocchiato in una maggioranza ancien regime. Poveretto, anche lui ispira comprensione e apprensione, mentre ammette di essere l'ultimo capo dell'ultima giunta del defunto modo di governare le città. La gente con cui ho parlato, la gente di strada e di vico, dichiara un'autonomia di due, tre setti- mane al massimo. Qui è appena avvenuto l'arresto, per una tangente di 200 mihoni, del segretario provinciale del pds Benito Yisca che secondo l'accusa voleva favorire una ditta della Lega delle cooperative, di cui è stato presidente fra il 1987 e il 1992. E' stato uno degli assessori della giunta Valenzi, faceva parte di un passato di speranze deluse, di ideologismi vacui e non esenti da illegalità. Comprensione anche a lui. La questione politica, quella giudiziaria, quella genericamente morale qui saltano a raffica, con una città che non sembra affatto sconcertata e sorpresa, ma infuriata. I soldi nelle tasche della gente stanno finendo, la malavita della famigerata e perfettamente operante «nuova famiglia organizzata» esercita non soltanto il consueto taglieggio, ma le strozzinaggio a tassi mostruosi. Se al Nord le famiglie e le piccole imprese in difficoltà trovano un briciolo di comprensione, di amicale sospensione in banca sugli assegni scoperti, qui cambiali e cheques finiscono nell'onnivoro bidone dei protesti e i negozi di generi alimentari allungano finché possono la Usta dei «pagherò a fine mese», con un'economia del vicolo che già dà segni di collasso. Il denaro che corre in città, nel doppio fondo della città che è anche un doppio fondo geologico, è sempre più insanguinato, frutto di spremute torbide, di balzelli improvvisi e dei giochi d'azzardo. Ieri hanno ammanettato un gruppetto di imprenditori di camorra di Pozzuoli, appartenenti alla banda detta del «Bello fiore», specialista in lotto clandestino, totocalcio truccato e strozzinaggio. In borgo Sant'Antonio Abate, dove si svolge un mercato clandestino secondo soltanto a quello di Forcella, ho visto per terra i foglietti colorati con sopra scritte le innocue parole «lavatrice», «frigorifero», «fon» e simili, che sono le parole di codice, mutevole di settimana in settimana, con cui si indicano ambo, terno, quaterna. Ieri pioveva a dirotto, ma la pioggia di Napoli è diversa da quella che bagna le altre città. Qui la pioggia rende tutto fradicio e frenetico. Le polveri e i residui assumono forma e colore perfettamente, inconfondibilmente napoletani, come se scaturissero dalle viscere della città, dal suo sangue, ora rappreso e ora liquefatto come quello di San Gennaro, il santo clandestino o come oggi si direbbe «delegittimato». E il mare stesso che schiuma cupamente contro Castel dell'Ovo sulle cui muraglie vengono a farsi fotografare spose bagnatis- di nte sti sime, anzi fradice e grondanti, non è altro che il mare specialissimo e unico di questo luogo del mondo in cui realtà e tragedia entrano ed escono dal suo stesso quadro oleografico, come i personaggi di quella novella di Edgar Allan Poe, che nottetempo varcavano la cornice ed entravano nella tela, per trovarsi alla fine impiccati alla maniera dei paesaggisti inglesi. Il fradicio piovoso del cielo si confonde con un fradiciume della città e dei suoi sfiati sotterranei, e anche con i suoi odori di frutta, perché soltanto qui, credo, anche i carrettini espongono ghirlande di limoni e ramaglie, cataste ordinate di finocchi, e persino sulle carni esposte dalle piccole macellerie di Forcella, che decorano i tagli delle fettine con piccoli maialini di ceramica. L'acqua del cielo a Napoli non arriva immediatamente sul selciato e sulle persone, come ovunque altrove, ma si ferma su tutti i panni, le protuberanze e le ferite delle case, le impalcature Innocenti che ancora sorreggono i palazzi spallati dal terremoto e rimasti blesi, ma decorati con nuove insegne che indicano «Coloniali e alimentari». E l'acqua che arriva a terra è già filtrata dagli asciugamani stesi insieme alle lenzuola, che nessuno si sogna di ritirare quando piove e diluvia, forse proprio perché hanno lo scopo di familiarizzare l'acqua con colori e odori, che sono gli stessi della città quando non è truccata dal sole: grigio ferro, bianco calce, rosso sangue. Così, ciabattando in questa sottile melma vitale, entrando e uscendo dai portici, dai portoni, dalle botteghe dei Quartieri Spagnoli e poi di Spaccanapoli, fra piramidi di mele, di masserizie plastiche, di succhi di frutta, mi affaccio al lussuoso basso in cui incontrai la famiglia del boss Giuliano e dove vedo ancora i lumini elettrici a forma di cero accesi davanti alle madonne fluorescenti, protettrici dei latitanti e di chi fugge inseguito, fra pizzi e trini sintetici a coprire frigoriferi monumentali. Chiedo a un ragazzo se lui sa riconoscere quelli della camorra. Certamente, mi risponde senza esitazione né paura. E chi sono? Che fanno? «Sempre uguale. Se ne fottono se uno si fatica la vita, fanno, disfano, comandano, vogliono far capire che non rispettano nessuno e che l'unica legge che vale è quella della forza». E non si sentono la corda alla gola? Non hanno la percezione del fatto che la macchina della giustizia sta stringendo d'assedio sia loro che i loro protettori? La mia domanda accende un rapido dibattito: sì, i camorristi sono «un poco preoccupati per la piega» che prendono le cose, ma pensano di avere il coltello dalla parte del manico perché hanno i quattrini. Tuttavia, dice una donna, qui non si è mai vista la legge, mai visto lo Stato e pure i vigili urbani fanno il comodo loro, e con tutte le giunte e tutti i colori politici. Colpisce la crisi fulminea e catastrofica dei negozi di cucine e arredamento (specialmente quello pacchiano e costoso). I mobili pensili sono invenduti. Le panche e i letti di stile incerto fra il libanese e il tirolese, si accatastano. Molti matrimoni sono stati rinviati per mancanza di denaro liquido con cui affrontare le gigantesche spese dei banchetti di nozze e dei regali. Poi colpisce la ricchezza, non ancora prossima alla crisi, ma certo non grande indice di salute, dei negozi di antiquariato, anche di piccolo antiquariato, di rigattieri di qualità. Un amico napoletano mi aveva detto di andare a vedere: l'antiquariato ha costituito la forma più vistosa e peculiare dell'investimento di ogni sorta di denaro. Una gouache che cinque anni fa si poteva comperare per due, trecentomila lire, oggi costa non meno di sei, sette mihoni. E sorte analoga hanno avuto i mobili, i soprammobili, i vetri, gli ori, le pitture ad olio, e tutto ciò che è stato asportato, saccheggiato, sradicato e scardinato dalle chiese, dai portali, dai palazzi, dai giardini, dagli androni. Un rivenditore di Santa Lucia mi ha detto: «La borghesia napoletana, e quando parlo di borghesia non intendo soltanto quella onesta delle professioni, ma anche quella di chi ha fatto i miliardi alla svelta, in questi dodici anni ha dato la caccia e riportato in patria tutto l'antiquariato napoletano sparso in Italia e nel mondo». E così, incredibilmente, questa città cangiante, tumultuosamente vitale e accorta, ha riportato a casa i frammenti dispersi di se stessa. L'antiquario dice: ((Anche le persone del tutto incolte, anche la gente di malavita, anche gli scippatori e venditori di eroina a Forcella, sanno riconoscere l'artigianato napoletano, sentono l'impronta, conoscono il codice genetico. Quanto al resto, molti non saprebbero distinguere un Rembrandt da un Picasso, ma se vedono una decorazione barocca, o se riconoscono i colori delle tempere come quelli di casa loro, non sbagliano. E comperano». Ricorro ai servigi di un vecchio amico che lavora per i cinematografari, conosce molti e vede quasi tutto. Fino a qualche anno fa era un anticomunista sfegatato, populista monarchico e fascista, al punto da confidarmi che Gramsci era il nome di un russo al quale il comunista Valenzi aveva a tutti i costi voluto intitolare una strada. Oggi mi pilota fra le strade dei Quartieri Spagnoli e mi presenta ai figli e agli amici dei figli, ma è disorientato. Ha visto i leghisti venuti alla trasmissione «Milano, Italia» e mi chiede se ho notizia delle loro impressioni su Napoli. E trova Bossi simpatico: gli è piaciuta la sua tolleranza a proposito del passare con il rosso ai semafori, come se si trattasse di una stravaganza locale, o forse un hobby. Gli chiedo se per caso si sente già un po' leghista. Risposta: «Noi siamo una lega da tremila anni e abbiamo fatto e disfatto la storia del mondo». Ci fermiamo poi a via Sergente Maggiore e camminiamo per via Tiratore, fino ad un'edicola che ci protegge malamente dagli scrosci, e sulla quale campeggia un perentorio «W Sant'Anna!». La gente che si ferma è molto eccitata per lo scoperchiamento dell'immondezzaio napoletano, ma più d'una volta si coglie nell'indignazione una caratura particolare: «A noi, come facciamo qualche cosa, galera, arresti e commissario. E loro intanto si rubavano pure il Vesuvio, facendo pure la faccia che si vergognavano di quanti ladri ci stanno a Napoli e che figura ci facciamo con gli americani e questo e quest'altro». Come dire che in una città come questa la corruzione ambientale ha una sua triste storia e radici talmente profonde da simulare, o coprire, ogni forma di legalità. Ma che, anche fra gente abituata a schivare in qualche modo i rigori della legge, e anzi aggirarli e calpestarli, non soltanto c'è un limite, ma esiste persino un codice vagamente morale: per cui, chi sgraffigna a piene mani la cosa pubblica, dovrebbe poi almeno avere, la decenza di non fare la voce grossa e la faccia feroce contro i ladri di polli, che poi sono gli spacciatori di eroina, i ragazzini con le bustine di polvere infilate nel risvolto del berretto di lana, i manovali della piccola rapina all'ufficio postale nel giorno delle pensioni, gli stipendiati per esecuzioni non mortali, come lo «sparo int'e ccosce», cioè la gambizzazione. La città scoperchiata soffre dell'arroganza con cui la classe politica ha surclassato in maniera stramiliardaria la vita marginale, e dunque semi-illegale, di un intero popolo che non soltanto si arrangia, ma che dell'arrangiamento ha fatto una questione di impunità contrattata, e si può dire di fatto legalizzata. Ieri, spulciando il mattinale cittadino, la polizia ha fatto irruzione al Comune di Casoria in cerca di prove di reato; in città si processano studenti e bidelli dell'Istituto Orientale che a colpi di duecentomila lire truccavano esami e tesi di laurea; i tassisti di piazza che avevano sempre parcheggiato in divieto di sosta, vistisi multati hanno chiamato rinforzi via radio e hanno costretto i vigni a chiamare a loro «A nsubie losi ru volta agenti e vicequestore del commissariato della Arenella. Spintoni, urla, e mediazione, sudate mediazioni ovunque. Poi, per strada, il traffico senza regole diventa la metafora del patto di illegalità che lega tutti, anche i forestieri. Le macchine scorrono senza ira contromano, si evitano per millesimi di millimetro, saettano come figure elettroniche, e il tasso di incidenti è bassissimo. Questa è una città che conosce la differenza fra alzare la voce e infuriarsi realmente. E' una città costretta a coabitare con un tasso di violenza che nessuno ha mai voluto estirpare, e che dunque fa parte del paesaggio. Ma credo di vedere, mese dopo mese, anno dopo anno, che il patto sociale fra cittadini e con le istituzioni (a cominciare dagli sportelli) è sempre più privato, a discrezione e contrattazione. Anche in salsamenteria le file davanti al banco sono animate da allusioni inchinevoli per passare avanti, avere il meglio e a buon prezzo. Tutto ciò irrita il mitteleuropeo, o il sabaudo e il padano. Ma in questo, anche, consiste una terribile, tragicissima e infinita saggezza di questa comunità che è un popolo, una patria, una nazione, una lingua e una cultura monolitiche, compatte. I containers del terremoto sono quasi scomparsi. Se ne vedono alcuni a Fuorigrotta e poi a Ponticelli, ma ormai questo aspetto da lager perenne sembra scomparso. Davanti al palazzo del Comune stazionano due furgoni: uno della polizia e uno dei vigili del fuoco. Nei giorni scorsi questa città che oggi sembra rientrata nelle viscere dei suoi vicoli, ricacciata dalla pioggia, ha visto scene manzoniane di tumulti di folla, di operai all'assalto del sindacato, di assembramenti violenti. Ma questi umori sanguigni non sono indicatori affidabili, anche se sono quelli che finiscono in televisione, e che dunque fanno piazza, fanno titolo. Negli anni scorsi abbiamo visto gli operai dell'Italsider di Pozzuoli dare impunemente l'assalto al municipio, sfasciare le suppellettili, scaraventare i tavoli fuori dalle finestre, senza incontrare la minima opposizione. La città è dunque in stato d'angoscia e di attesa, indipendentemente dagli episodi di grida e di fragore. La città è viva e frenetica, ma impaurita perché non ha mai avuto altra vita che questa vita e adesso anche questa non è più una vita. Paolo Guzzanti «A noi, come sgarriamo subito la galera e loro intanto si rubavano il Vesuvio» Anche l'economia dei bassifondi dà segni di collasso Trionfano totonero e lotto clandestino Stanno finendo i soldi nelle tasche della gente e ne approfittano i strozzini camorristi gì LE CITTA' DECAPITATE Manifestazione di disoccupati per le vie di Napoli (a sinistra). Sotto, Paolo Cirino Pomicino. In basso: scontri in Consiglio comunate; l'ex sindaco Maurizio Valenzi