E Ronconi getta Falstaff nelle acque del Tamigi di Sergio Trombetta

E Ronconi getta Falstaff nelle acque del Tamigi Per la prima volta a Salisburgo, il regista parla dell'opera che debutta stasera con la direzione di Solti, protagonista José vad Dam E Ronconi getta Falstaff nelle acque del Tamigi ■m- 1 . 1 1 . mi 1 . . m * jT\ « 1 I 1 1 Il regista ha scelto il realismo: «Davanti a 40 metri di boccascena, non ho resistito» SALISBURGO. Luca Ronconi conta molto sulla buona salute di José van Dam. Intorno alle sette e mezzo di stasera infatti al baritono olandese tocca volare da una finestra e finire a bagno nelle acque del Tamigi. Tutto vero, acqua compresa. Ha scelto una cifra realistica il regista italiano per il suo primo «Falstaff» e la sua prima regia a Salisburgo: Festival di Pasqua, sir Georg Solti sul podio, Margherita Palli e Vera Marzot alle scene e i costumi. Stavolta infatti la Palli non ha disegnato scene in verticale, con cantanti e comparse che camminano paralleli al palcoscenico tenuti su con cavi come capitava per esempio in «Lodoisca», «Zar Saltan» o «Dannazione di Faust». Che cos'è, Ronconi, una concessione al pubblico tradizionalista di Salisburgo dopo le polemiche della scorsa estate che hanno visto Riccardo Muti abbandonare la direzione della «Clemenza di Tito» perché in disaccordo con la ; regia che stravolgeva l'opera, e il direttore Mortier al centro di molti attacchi? «E se fosse?» Ma come, proprio lei che non ha mai concesso nulla al gusto corrivo del pubblico? «La realtà è un'altra: la grosses Festspielhaus ha quaranta metri di boccascena, con tutto quello spazio a disposizione era una forte tentazione fare vedere il tuffo di Falstaff in Tamigi». Falstaff dunque, il protagonista dell'ultimo miracoloso capolavoro musicale di Verdi, sarà un personaggio grottesco, con scene da comica finale? «Al contrario. Spesso Falstaff viene rappresentato come un vecchio sanguigno e campagnolo. Ne abbiamo discusso a lungo con il maestro Solti. La sua impostazione musicale e quella registica mia intendono sottolineare che Falstaff è un aristocratico, povero e simpatico, e tutta l'opera è permeata da questa visione aristocratica». Con questa impostazione, le quattro comari che si prendono gioco del vecchio dongiovanni non faranno una bella figura. «Se si sta dalla parte di Falstaff non si può stare anche da quella delle comari. Gli scherzi che architettano sono di cattivo gusto. Questo non vuol dire che la mia visione sia misogina». E la scena finale nella foresta? «E' sempre difficile da risolvere. Abbiamo deciso di non fare un cambio di scena. E' la foresta che poco per volta invade la Locanda della Giarrettiera. Come se fosse un sogno di Falstaff, ma allo stesso tempo molto relistico». Proprio a Salisburgo, l'estate scorsa c'è stato un grosso dibattito, anche acceso, sul ruolo della regia nel teatro d'opera. Lei che ha alle spalle regie acclamatissime e criti cate per il loro segno fortemente innovativo, come spiega questo sempre maggiore peso del regista? E' d'accordo con i suoi colleghi tedeschi che hanno teorizzato nel «Re gietheater» il diritto di interventi radicali? «Prima di tutto bisogna tenere conto che da noi e in Germania ci sono tradizioni differenti. In generale la preponderanza della regia dipende da vari motivi. Dal fatto che sopperisce alla mancanza o alla carenza di una nuova drammaturgia musicale: ci si trova a lavorare sempre sugli stessi testi. Dal fatto che un ascolto perfetto, a volte migliore, di un'opera può avvenire attraverso l'ascolto discografico. E' naturale allora che in teatro l'aspetto visivo abbia il sopravvento». Sergio Trombetta Luca Ronconi a Salisburgo di Curzio Maltese Com'è che non parliamo dei fascisti, Venditti? (Achille Occhetto ad Antonello Venditti, Il Rosso e il Nero, Raitre)

Luoghi citati: Germania, Salisburgo