Napoli sette colpi al Tribunale di Fulvio Milone

Il Csm ha già aperto un'inchiesta su due dei magistrati sospettati Il Csm ha già aperto un'inchiesta su due dei magistrati sospettati Napoli, sette colpi al Tribunale Così si garantiva l'impunità alle cosche NAPOLI. Sette nomi sussurrati da un pentito della camorra, sette colpi al cuore della giustizia napoletana. Il vecchio tribunale sembra dover crollare sotto il peso di un sospetto gravissimo: in quegli uffici potrebbe aver lavorato per anni un gruppo di uomini-talpa della mala che prospera sotto il Vesuvio. Si parla in un turbine di conferme e smentite di magistrati che hanno ricoperto posti-chiave nell'amministrazione, e che dalla metà degli Anni Ottanta avrebbero garantito l'impunità alla cosca di Carmine Alfieri e Giuseppe Galasso. Per due di loro è scattata l'inchiesta del Csm: si tratta del consigliere della corte di appello Alfonso Lamberti e del capo della procura della repubblica di Melfi Armando Cono Lancuba. All'epoca dei fatti lavoravano rispettivamente alla sezione misure di prevenzione della corte di appello e alla procura napoletana. Il reato ipotizzato è di corruzione. I nomi degli altri cinque giudici, che pure corrono sulla bocca di tutti a Castelcapuano, sono al centro di un autentico giallo: al Csm, che ha chiesto un rapporto alla procura della repubblica di Salerno, titolare delle indagini, smentiscono di essere in possesso di un elenco di magistrati inquisiti in questa brutta storia di camorra, oltre ai due già finiti sotto inchiesta. I nomi di Lancuba e Lamberti sono stati fatti da Pasquale Galasso, l'imprenditore-camorrista che da mesi sta svelando i segreti più riposti del clan di Carmine Alfieri. E' lo stesso pentito che accusa Antonio Gava, Paolo Cirino Pomicino e i parlamentari Alfredo Vito, Vincenzo Meo e Raffaele Mastrantuono di essere stati per anni gli interlocutori politici privilegiati della cosca. .«Ho : saputo dalla tv della vicenda che mi riguarderebbe. Posso assicurarvi che non ho mai'.conosciuto un tal Galasso, nè mi risulta di aver avuto un imputato con questo nome», dice Lancuba che, all'epoca dei fatti, era il numero uno dell'ufficio denunce della procura napo- letana. Si occupò con altri due colleghi della strage compiuta il 26 agosto dell'84 a Torre Annunziata. Una dopo l'altra furono falciate dai mitra dei killer otto persone, sette camorristi del clan di Valentino Gionta e un passante. Polizia e carabinieri attribuirono l'eccidio a Cannine Alfieri, indicato come mandante, e a due «guaglioni» della banda. Lancuba e i suoi colleghi, però, non furono d'accordo, e chiesero il proscioglimento degli imputati al giudice istruttore Guglielmo Palmeri. Palmeri adottò la decisione opposta, mandando sotto processo il boss e i suoi presunti complici. La sentenza in primo grado fu durissima: ergastolo per tutti. Ma il processo in appello si concluse con un colpo di scena: la pubblica accusa, rappresentata dal sostituto procuratore generale Ciro Demma, chiese e ottenne l'assoluzione per i tre. Nella ridda di voci e illazioni che stanno sconvolgente in questi giorni Castelcapuano c'è posto anche per il nome di Demma. Lui reagisce con rabbia e amarezza: «Circolano notizie infondate e infamanti. Sono una vittima della campagna di discredito scatenata contro il potere giudiziario». Alfondo Lamberti, il secondo magistrato chiamato in causa dal camorrista pentito, lavorava nella sezione misure di prevenzione della corte di appello quando si occupò del sequestro dei beni della famiglia Galasso: oltre 30 miliardi in immobili e società. Fu un caso giudiziario complesso. Il patrimonio era stato già dissequestrato con una sentenza di primo grado, ma il pubblico ministero aveva presentato appello. Lui, Lamberti, confermnò la decisione del collega Corrado Guglielmucci, che aveva dato ragione ai Galasso con questa motivazione: «Allo stato il patrimonio della famiglia appare il risultato della costante; attività dei proposti». Le due sentenze furono poi annullate dalla Cassazione. Oggi Guglielmucci, anch'egli lambito dalla pioggia di insinuazioni, protesta: «Aspet¬ to che qualcuno mi dia informazioni certe. Se, come credo, le insinuazioni sul mio conto si riveleranno infondate, adirò le vie legali». Ma non finisce qui la storia delle sentenze di assoluzione nei confronti dei camorristi. L'anno scorso i giudici della quinta sezione penale della corte di appello di Napoli, presieduta da Massimo Freda, annullarono una condanna per associazione a delinquere emessa in primo grado contro Pasquale Galasso. Anche Freda tronca sul nascere ogni illazione: «In 34 anni di carriera ho svolto il mio lavoro nel modo più onesto possibile. Tutti questi pettegolezzi mi lasciano sconvolto e avvilito». Fulvio Milone Pasquale Galasso. In alto il giudice Armando Cono Lancuba

Luoghi citati: Cannine Alfieri, Melfi, Napoli, Salerno, Torre Annunziata