La fragile ebrea di ferro di E. B.

La fragile ebrea di ferro La fragile ebrea di ferro Una «estremista del centro» temprata dall'orrore dei Lager PARIGI DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Eterno chignon, tailleur Chanel, trucco leggero, spilla, a 65 anni madame Veil può sembrare una classica «signora bene» in prestito alla politica. Ma Simone Jacob reca ancora tatuato sul braccio, indelebile, il «78651». Era una piccola ebrea nizzarda quando la deportarono ad Auschwitz. Nella tappa successiva, Bergen-Belsen, vide morire il padre architetto, la mamma, un fratello. Non esibisce mai i mesi trascorsi in lager, eppure ogni francese lo sa e non può fare a meno di scorgerne ancora - mezzo secolo dopo - i riflessi. La determinazione, una dirittura morale cui rendono omaggio gli avversari e il binomio che ne orienta la politica (Europa, tolleranza) traggono linfa dall'atroce soggiorno. Ne emerge un personaggio anomalo, materno-protettivo quanto ruvido e tenace sino all'intrattabilità. Il Paese la sa «diversa», senza etichette ep¬ pure riconoscibilissima, quasi prevedibile nei suoi furori. «La Francia va governata al Centro», ama ripetere. Sulla bocca di chiunque altro la frase suonerebbe banale, un'avance per futuri compromessi. Ma Simone Veil le imprime forza e un soffio quasi utopico. Niente lasciava presagire la felice carriera politica. Science Politiques a Parigi, laurea in legge, il matrimonio con Antoine Veil (3 figli), un'esistenza tranquilla. Giovane magistrato, lavora nell'amministrazione penitenziaria, quindi per il Csm transalpino. Dirà Pierre Mendòs France: «Non appartiene alla nostra parrocchia, ma siamo egualmente vicini». La profezia non cessa di essere valida. Madame Veil seduce la Gauche, un'attrazione fatale reciproca (segno tangibile, Edith Cresson le affidò incarichi esplorativi). Ogni matrimonio è tuttavia impossibile. Il socialismo evoca in lei visioni totalitarie, pericolose, dogmatiche. La Destra comincia presto a volersela annettere. Nel '69 il guardasigilli René Pleven la nomina consigliere tecnico. Ma per il vero esordio bisogna attendere il '74. Chirac ha deciso: ne farà la prima donna-ministro. Mica facile governare la macchina sanitaria francese. La «legge Veil», cioè l'aborto legale, costituisce però tuttora un caposaldo nelle battaglie civili. Lascia il governo per Strasburgo 14 anni fa. «Rimpiangeremo il suo sorriso», le dice Giscard sulle scale dell'Eliseo. Simone Veil dirige l'Europarlamento (decadrà nell'82). Competenza e bravura. Ma, sul piano interno, a varie riprese prevale la ruggine con gollisti e giscardiani. Non ha tessere, gli spazi finiscono per chiudersi. Gioca da battitore libero, con alterne fortune. Eppure rimane popolare, testimoni i sondaggi che autorizzano buone speranze per l'Eliseo. Adesso il rientro in scena, con un superministero d'attacco, [e. b.]

Persone citate: Antoine Veil, Chirac, Edith Cresson, René Pleven, Simone Jacob, Simone Veil, Veil

Luoghi citati: Auschwitz, Europa, Francia, Parigi, Strasburgo