Saint-Tropez decollato

Avventure e miracoli dei santi d'Italia. Qualcuno l'abbiamo anche «esportato» Avventure e miracoli dei santi d'Italia. Qualcuno l'abbiamo anche «esportato» Saint-Tropez decollato E la Costa Azzurra ringrazia SLFREDO Cattabiani, con i Santi d'Italia (che Rizzoli sta per mandare in libreria da oggi), rivela tutti i segreti, i miracoli e le avventure degli uomini (e delle donne) che i Papi hanno elevato a santità o quantomeno a beatitudine. Un viaggio affascinante, durato cinque anni, che ha indagato nelle biografie e nelle leggende dei numi protettori del cattolicesimo, scoprendo una quantità di particolari inediti, raccontati col piglio tagliente dello scrittore. Pubblichiamo in anteprima due vite tratte dal libro. Zita la governante Santa Zita era nata chi dice nel 1218, chi nel 1210 a Monsagrati, un paesino poco distante da Lucca, in ima famiglia molto povera ma religiosa. (...) A dodici anni Zita fu mandata a servizio a Lucca, nella casa del nobile Pagano Fatinelli, che si trovava nei pressi di una delle più antiche parrocchie della città, San Frediano. (...) La sua docilità e pazienza, come succede spesso, suscitavano l'invidia di alcuni suoi compagni di lavoro che la maltrattavano; e anche le fighe di Pagano Fatinelli la deridevano con scherzi di ogni genere. Un giorno, durante un temporale, la mandarono con un pretesto in un luogo lontano: non era la prima volta che la costringevano a inzupparsi. Ma quando Zita ritornò dopo una lunga assenza, si accorsero che non era caduta nemmeno una goccia sul suo abito: da quella volta non ebbero più il coraggio di deriderla. Dopo alcuni anni era così stimata nella famiglia che Pagano le affidò addirittura la direzione della casa: non solo doveva occuparsi di ogni lavoro, assegnandolo alle sue compagne e alle altre persone di servizio, ma doveva interessarsi della buona educazione delle signorine. Era ormai quella che noi chiamiamo oggi una governante. Ma non s'insuperbì: continuava a comportarsi gentilmente anche con chi l'aveva maltrattata. E ogni mattina si recava nella vicina San Frediano: un giorno, si racconta, dopo la comunione aveva perduto la nozione del tempo sicché giunse a casa in ritardo, ed era proprio la mattina in cui doveva fare il pane. Si precipita alla madia e aprendola si accorge che la farina è già impastata, pronta per il forno. Sarà stata qualche domestica, pensa, a pre¬ pararla non vedendola arrivare. E invece nessuna ne sapeva niente: sicché si diffuse la voce che erano stati gli angeli a impastare il pane di Zita. (...) Un'altra volta, durante una carestia che aveva colpito Lucca, Zita cominciò a distribuire ai poveri tutti gli avanzi della casa. Ma siccome gli affamati continuavano a bussare alla porta, decise di distribuire le fave di un cassone che il padrone doveva vendere. Quando Pagano Fatinelli le ordinò di consegnarle all'acquirente che già le aveva pagate, Zita si raccomandò al Signore sperando di ottenere il perdono. Ma aprendo il cassone si accorse che era ancora pieno. Molto popolare è anche l'episodio della pelliccia prestata al povero che sembra in parte ispirata alla leggenda di San Marti- no, uno dei patroni di Lucca e titolare della cattedrale. Era la vigilia di Natale e Zita stava uscendo per la messa della mezzanotte. Faceva molto freddo e lei, che donava tutto quel che poteva ai poveri, non era sufficientemente coperta. La padrona le prestò un suo pelliccione. «Mi raccomando» disse conoscendola bene «di riportarmela». Ma sulla porta della chiesa un poverello stava tremando dal freddo. Zita non seppe resistere: «Tieni», gli disse «però quando torno dalla messa me lo restituirai perché lo debbo riconsegnare alla mia padrona». All'uscita il povero era scomparso. E' facile immaginare l'umore della padrona al mattino, e le grida e i brontolìi. Ma all'ora di pranzo qualcuno bussa all'uscio: è il poverello che riporta il pelliccione. E le sorprese non sono ancora finite: mentre l'uomo sta uscendo, ima luce abbagliante inonda la stanza. Chi era mai quel misterioso personaggio? I lucchesi chiamarono la porta della chiesa di San Frediano, dove Zita aveva incontrato il «poverèllo», Porta dell'Angelo: su di essa nel 1495 fu dipinta un'immagine con la Madonna, un angelo e la santa. Il caso Torpes Secondo la tradizione un martire pisano di nome Torpes o Torpè fu decollato il 29 aprile dell'anno 68 nel tombolo di San Rossore, di fronte a San Pietro a Grado. Poi il prefetto Silvino ordinò che il corpo senza il capo venisse posto con un gallo e un cane su ima barca da affidare al mare. La navicella approdò miracolosamente, il 17 maggio, in un porto provenzale dove Torpè venne sepolto. Il porto si chiamò poi Saint-Tropez, il cui nome è quello del martire leggermente modificato con uno scambio di consonanti. Nel latino medievale Tòrpes, poi abbreviato nel volgare Torpè, era l'ipocoristico di Eutropius, traduzione del greco Eutròpios, a sua volta derivato dall'aggettivo èutropos, «di animo buono». (...) Arrivato al foro di Pisa Torpè vi trovò Nerone con cinquecento cavalieri che urlarono: «Questi è quello ch'ebbe ieri ardimento di negare lo grande nome de la Dyana e degli altri dii». E lui rispose senza timore: «Voi siete quelli che negate, li quali non adorate lo vivo Dio, e perciò co la vostra Dyana, la quale voi adorate, sì vi perderete». Non l'avesse mai detto: Nerone, in partenza per Roma, lo affidò a un tal Satellico, suo vicario, ordinandogli di giudicarlo e di condannarlo a morte se non si fosse ricreduto. A questo punto la Passio, seguendo il modello del genere, narra la solita sequela di torture. (...) Torpè viene denudato e flagellato a una colonna. Ma la colonna cade uccidendo i torturatori fra cui Satellico. (...) Silvino, figlio di Satellico, si precipita furioso su di lui per vendicare la morte del padre; e lo ucciderebbe a coltellate se non lo fermassero gli altri cavalieri. Poi il martire viene dato in pasto a un leone affamato che cade stecchito appena lui fa il segno della croce. S'avanza allora un feroce leopardo che - oh miracolo! - invece di azzannarlo s'inginocchia ai suoi piedi leccandoli docilmente. Ma i prodigi non sono finiti: il Signore, invocato da Torpè perché distrugga il tempio di Diana, manda un angelo che fra tuoni e lampi abbatte il soffitto-cielo e le colonne che lo sostenevano seppellendovi una moltitudine di pagani. Alfredo Cattabiani La santa di Lucca salvata dagli angeli che impastavano pane e restituivano pellicce rubate Orazio Gentileschi: «Madonna con bambino e Santa Francesca Romana». A sinistra, Giotto: «Lo sposalizio di Maria con San Giuseppe». Sotto, Simone Martini: particolare di «Santa Chiara di Assisi»

Persone citate: Alfredo Cattabiani, Cattabiani, Monsagrati, Nerone, Orazio Gentileschi, Pagano Fatinelli, Simone Martini