Piero Ottone e Usuo «Naufragio» di Piero Ottone
Piero Ottone e Usuo «Naufragio» Piero Ottone e Usuo «Naufragio» Sono colato a picco in barca ho licenziato Montanelli faccio il giornalista per caso DMILANO A quando ho perso Ciaika mi trovo a vivere in una maniera che credevo fos se fonte di infelicità», racconta Piero Ottone. Ciaika era il nome della sua barca; in russo vuol dire «Gabbiano». Quella notte d'agosto davanti a Casablanca l'anno scorso, Ottone era in blazer blu sul ponte della sua Ciaika, dodici metri di lunghezza e undici anni di vita sul mare. «Tutto bene?», gli chiese il timoniere. «Tutto bene», rispose capitan Ottone. E invece ecco quel rumore secco dallo scafo, l'urto contro un piccolo scoglio a pelo d'acqua. «Commisi due errori: ero troppo vicino alla costa e avevo una carta troppo generale». Un trauma che è l'avvio di Naufragio, appena uscito da Longanesi. Nel racconto del libro si annoda un altro naufragio, quello italiano. Ottone lo liquida con una battuta: «L'Italia sarà meglio di oggi. Non è il naufragio di un Paese ma di una classe dirigente. Ne sono contento». Quel che gli interessa è la domanda che si pone nel libro: «Perché il naufragio è successo a me?». Si risponde: «Due sono le ipotesi: o ci governa una divinità, una provvidenza, o il caso. Il destino non è nelle stelle ma in noi stessi, dice Shakespeare. E' il caso che domina. Tutta la mia vita è una concatenazione di eventi fortuiti. Per caso ho conosciuto mia moglie Hanne, danese, a Mosca. Per caso sono diventato giornalista. Per caso sono diventato direttore del Secolo XIX: l'editore Sandrino Perrone cercava un direttore e Arrigo Levi accanto a me gli disse: "Perché non nomini Ottone?". Direttore del Corriere della Sera lo divenni invece per una serie di circostanze». Piero Ottone Ventanni fa Ottone licenziò Montanelli dal Corriere: «Andar via non credo sia stata una scelta negativa per lui. Mi aveva troppo criticato. La verità è che aveva da tempo bisogno di fare un giornale lui; forse non lo sapeva, ma la pulsione c'era. Per questo criticava i direttori: Russo, Emanuel, Missiroli, non solo me. Roberto Gervaso aveva tirato fuori, tra il '65 e il '66, l'ipotesi di fargli dirigere il Corriere con uno di noi quarantenni come vice. Gervaso chiese a me, a Cavallari e ad altri che cosa ne pensassimo. Bene, dicemmo. Ma gli editori Crespi non diedero a Montanelli la direzione. Io non ho proprio nulla di cui farmi perdonare da lui. Né lui da me. Non abbiamo colpe reciproche. Mi dispiace perché l'ho fatto soffri- re. Ma anche lui fece soffrire me». Senza la sua Ciaika Ottone vive alla giornata. Non ha più un centro. «Ma non mi deprimo. Leggo di più, scrivo di più, vado sulle barche degli amici. Mi riorganizzo la vita. Quel che bisogna assolutamente evitare è il timore che sia troppo tardi per cominciare nuove cose, o che non ne valga la pena. Bisogna vivere come se si fosse eterni, ed essere sempre pronti ad andarsene. Occorre distacco. Questo voglio dire col mio libro». «Se il caso ci governa - conclude Ottone - noi possiamo ordinare, armonizzare gli eventi, farli nostri, dargli un senso. Ho quasi 70 anni e trovo che la vecchiaia ha tre pregi: si ha meno paura della morte, si apprezza di più il tempo che rimane, si è più sereni e distaccati. Adesso parto: su una vedetta della capitaneria di Bari vado a Valona in Albania. Da solo, senza amici. Me li farò là. Lascio decidere al caso». [c. a.] Piero Ottone
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