Cà d'Oro grandiosa fiaba d'amore

Cinque secoli di personaggi e storie del più famoso palazzo veneziano: le sorprese di un libro che esce a Londra Cinque secoli di personaggi e storie del più famoso palazzo veneziano: le sorprese di un libro che esce a Londra Ca' d'Oro, grandiosa fiaba d'amore Impastata di pietre preziose e ambizione C| ERA " una volta un gio vane e ricco nobiluomo che, unitosi alla donna amata, decise di costruire per la sua famiglia un palazzo meraviglioso, il più bello della città. La moglie morì, prima che il progetto prendesse forma, ma il vedovo non rinunciò all'impresa, vi si dedicò anzi con slancio febbrile, ossessivo, ne fece la missione della sua vita. Il sogno spiccò il volo, la casa fu eretta e superò in splendore ed eleganza tutti gli altri edifizi. Sembra una fiaba e lo è: ma è una fiaba vera. E' la storia della Domus Aurea, la Ca' d'Oro veneziana. Una storia che non è fatta soltanto di pietre, di mosaici, di marmi, ma anche di passioni, di ambizioni, di gioie e dolori. Come in un grande romanzo. La Ca' d'Oro è tuttora un gioiello, ma non è più lo stesso, la sua facciata non è più un'abbagliante tavolozza, i colori sono smorti, sbiaditi. L'immaginazione stenta a evocare la favolosa visione che il palazzo offriva a chi lo contemplava dalla riva opposta, dalla Pescheria. Cinquecento anni fa, appeso alla miracolosa facciata, il Maestro Zuan da Franza la indorava senza badare a spese. Ben 22 mila foglie d'oro consumò, durante un intero inverno, tra il 1432 e il 1433, con il risultato che questa sola decorazione assorbì il 7 per cento del costo complessivo, per tutti i lavori all'esterno e all'interno dell'edifizio. E accanto all'oro, sfavillavano rosso, nero, bianco e azzurro oltremarino, un pigmento di polvere di lapislazzuli. Quasi quindici anni durò la costruzione della Ca' d'Oro, fin verso il 1430, alla soglia di quel '500, durante il quale i veneziani, secondo Bernard Berenson, «con il loro amore del benessere, dell'agiatezza, dello splendore, con le loro usanze raffinate e la loro profonda umanità, divennero il primo popolo moderno in Europa». E' una descrizione che ben si addice a Mann Contarmi, che della Ca' d'Oro fu il padre. Il padre in ogni senso. Fu lui a volere questo palazzo, a concepirlo, a progettarlo, a dargli la grazia e la leggerezza di un merletto. La storia della Ca' d'Oro è nota, ma c'è un novello narratore alla ribalta: ed è difficile immaginare cronista più abile e amabile. E' un architetto inglese di 45 anni, Richard J. Goy, che di Venezia si è già occupato in due libri, Chioggia and the villages of Venetìan Lagoon dell'85 e Venetian vernacular arehitecture dell'89. Il nuovo volume, The House ofGold, edito dalla Cambridge University Press, costa 60 sterline, sulle 150 mila lire, un prezzo salato, ma subito perdonato. E' un'opera straordinaria, un capolavoro di erudizione, serio, sòbrio, disadorno e che tuttavia seduce, avvince il lettore più di un romanzo. Un critico di prestigio, la scrittrice Jan Morris, scrive: «E' una delizia leggere un testo del tutto non letterario, su un argomento strettamente tecnico. E' come godere alla descrizione di una turbina, di un motore». Questo perché Goy non popola le sue pagine soltanto di «cose», ma anche di uomini e donne, di tutti coloro che, direttamente o indirettamente, parteciparono alla costruzione dell'aurea casa. Facciamo la conoscenza così di Contarini, della sua famiglia, nonché di tutti gli artigiani, dai taiapiera ai marangoni, dai mureri ai fenestrerì. Apprendiamo quanto guadagnavano, dove vivevano, cosa mangiavano («Pane, salame e vino»). Incontriamo Marin che nel 1439 dove rimpiazzare ben 590 vetri di «fenestre e balconade», vetri infranti da una tremenda bufera. Vediamo i minuziosi contratti di Contarmi con i suoi «capo-maestri», la versione veneziana dei capomastri. Dove ha scoperto Goy questo tesoro d'informazioni? In quattro «libretti», nascosti in una «busta» all'archivio dei Procuratori di San Marco de Citra. I «libretti» altro non erano che piccoli libri-mastri in cui Marin Contarmi annotava ogni settimana le spese per la costruzione della Ca' d'Oro, una registrazione che non era meramente contabile, ma che compendiava fatti, situazioni, vicende. All'ultimo libretto, il quarto, Contarmi affidò anche ricordi personali. Quando la seconda moglie, Lucia Corner, gli diede un secondo figlio, Marin Contarmi, il padre, che aveva allora 54 anni, scrisse: «... Adj 8 di mazo 1440 che fo dj domenega... me nasse mio fio al qual io messo nome Piero e Michiel...». Il primo figlio, nato due anni prima, non aveva mai ricevuto un nome, forse visse pochi mesi soltanto. Marin Contarmi, nato nel 1386, assommava in sé tutte le virtù di quel patriziato veneziano che all'abilità nei commerci univa l'amore per il bello, per le arti. La fortuna dei Contarmi aveva le sue radici nel commercio dei tessuti e delle spezie, un commercio che comprendeva la «grana». Non era questo né un cereale né un formaggio, ma un colorante naturale ricavato da cocciniglie e insetti smiili, essiccati. Era la «grana» all'origine del fastoso cremisi veneziano (Contarmi registra sul suo libretto: «2 marzo 1442, per la barca di Andreolo da Cremona, balle 4 di piera da grana...»). La casada dei Contarmi era tra le più potenti della Serenissima, cui aveva dato tre dogi, sette procuratori di San Marco, vescovi e senatori. Il suo motto: «Virtus sola est atque unica nobilitas». Il 1406 è un annus mirabilis nella vita di Marin, è l'anno in cui sposa una fanciulla di nobilissimo sangue, Soradamor Zeno. E' un nome da fiaba, ma non sappiamo quasi nulla su di lei. Sappiamo però che Marin l'amava, che ebbero tre figli, un bambino e due femmine, che nella primavera del 1417 Soradamor morì: e che la tragedia contribuì in modo determinante alla nascita della Ca' d'Oro. Sì, perché il giovane vedovo sognava da tempo di erigere un palazzo di eccezionale bellezza e, dopo la scomparsa di Soradamor, nel dolore del lutto, decise di agire. Vi era un secondo motivo. Contarmi senior, il padre, Antonio, era stato eletto Procuratore di San Marco, pareva destinato a divenire Doge, bisognava dare alla gloriosa casada una residenza veramente ducale. La Ca' d'Oro entrò nella storia, ma Antonio Contarmi non occupò mai la suprema carica. La Ca' d'Oro sgorgò dunque dal cuore e dalla mente di Marin Contarmi, che ne fu l'architetto: ma, come precisa Richard Goy, un «architetto manqué», in quanto «aveva idee, ma non la disciplina mentale del vero costruttore, dell'artigiano». Le sue richieste erano talvolta assurde, e soltanto le prodigiose doti, la sensibilità artistica dei due «capo-maestri», del veneziano Zane Bon e del milanese Matteo Raverti, salvarono le delicate simmetrie del palazzo da un soffocante subisso di decorazioni e ornamenti. Precise e tecnicamente ineccepibili furono tuttavia le disposizioni di Marin Contarmi per la costruzione della famosa merlatura, la «corona» della Ca' d'Oro. L'opera fu eseguita in un anno da Zane Bon e dal figlio Bartolomeo, che subito dopo crearono il miracolo gotico della Porta della Carta, a Palazzo Ducale. Fu un buon investimento, la Ca' d'Oro. Pochi anni dopo la fine dei lavori, quando già era considerata la più fastosa residenza privata di Venezia, il suo valore s'era triplicato. Marin Contarmi morì nel 1441, a 55 anni; il figlio Lunardo, nato nel 1412 da Soradamor, era già morto nel 1436, a soli 24 anni. L'altro figlio Piero spirò nel 1464 e, dopo la sua scomparsa, una delle figlie sposò un Pietro Marcello. Dai Marcello la Domus Aurea passò ai Loredan, poi ai Bressa e, nel 1874, fu acquistata dal principe russo Trubezkoi, che la regalò alla sua amante, la ballerina Taglioni, contessa de Voisins. Durante quasi tutto il XIX secolo, il palazzo fu depredato e mutilato; solo dopo il 1894, quando divenne proprietà del barone Franchetti, cominciò ad essere restaurato. Nel 1916 Franchetti lo donò allo Stato italiano, che s'impegnò a completare i lavori. Molto è stato fatto, soprattutto tra il 1960 e il 1980. Ma la Ca' d'Oro non è più quella di una volta. Richard Goy c'informa che, mentre vergava il suo libro, la Soprintendenza per i Beni artistici e storici cominciò un nuovo studio della facciata, «tenuto conto di quello che sembrava essere un nuovo deterioramento». «L'esame è durato dal maggio '90 al maggio '91 e si prevede che i restauri richiederanno altri due anni. Lo Stato ha stanziato 300 milioni». Attendiamo, speriamo. Perché, come ricorda Goy, con tristezza i colori sono sbiaditi, adesso: chi può più immaginare la facciata di cinquecento anni fa, un bagliore di rosso, nero, bianco, azzurro, oro? Mario CirieJk» Venne creata all'inizio del Quattrocento dal nobiluomo Marin Contarmi per la bellissima moglie Ai contemporanei la facciata si mostrava brillante di rosso, nero, bianco e azzurro ottenuto con polvere di lapislazzuli Trovati i libri mastri dell'edificio. Ci sono anche i diari del costruttore •mw »* »» «ff fV *f «p wt »? ifii%^ Maria Taglioni qui nei panni della «Silfide» fu amante del principe russo Trubezkoi che le regalò la Ca' d'Oro La Ca' d'Oro è un gioiello ma la facciata non è più un'abbagliante tavolozza: i colori sono smorti, sbiaditi. Si stenta a evocare la favolosa visione che il palazzo offriva a chi lo contemplava cinque secoli fa

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