I giudici «Ecco tutti i favori fatti da Andreotti alla mafia »

E; RèC Le 246 pagine che accusano l'ex presidente del Consiglio oggi al primo esame in Senato I giudici: «Ecco tutti i favori fatti da Andreotti alla mafia » IL DOSSIER SUI MISTERI D'ITALIA SROMA ONO duecentoquarantasei pagine di relazione più una cassa intera di documenti allegati, tutti gli atti processuali da cui i magistrati hanno attinto per sostenere l'accusa di concorso in associazione mafiosa contro Giulio Andreotti. Il primo «processo» all'ex presidente del Consiglio comincerà oggi, nell'aula della Giunta delle immunità parlamentari del Senato. Il «fascicolo Andreotti» ha avuto la precedenza su tutti gli altri, l'appuntamento è per le 15,30 a palazzo Madama; un'ora prima si riunirà l'ufficio di presidenza. «Le istituzioni devono dare una risposta rapida - spiega il presidente della Giunta Giovanni Pellegrino, senatore del pds -, ma seguendo le proprie regole di coerenza. Il tempo necessario per esaminare la documentazione è un fatto dovuto sia per la fatica dei giudici, sia per la posizione del senatore Andreotti, sia per la serietà delle istituzioni». Sarà lo stesso presidentesenatore a preparare la relazione per la Giunta, e lui promette di stringere i tempi. «Per regolamento del Senato - dice Pellegrino - sarò io a dover fare la relazione, e non possono nominare alcun relatore. Per leggere la richiesta ci vorranno almeno un paio di giorni, poi bisognerà vedere che esigenza avrò di esaminare gli incartamenti processuali». Pubblichiamo i passi più significativi della richiesta di autorizzazione a procedere contro Andreotti inviata al Senato dalla propcura della Repubblica di Palermo. IL «TEOREMA» DEI CiUMCI. «Indagini più recenti hanno evidenziato che, nell'ambito di una generale politica di scambio di favori tra Cosa Nostra ed esponenti del mondo politico, uno degli interessi precipui dell'organizzazione era quello di ottenere - appunto mediante l'intervento dei politici - il cosiddetto "aggiustamento" dei processi, cioè il condizionamento dei processi penali coinvolgenti comunque Cosa Nostra e i suoi membri... Il progredire delle suddette acquisizioni ed il loro coordinamento logico e storico, ha infine evidenziato un contesto di elementi probatori tali da far identificare nel senatore Giulio Andreotti il referente "romano" dell'on. Lima, e di Cosa Nostra ai fini suindicati; e ciò in un contesto di relazioni tra il senatore Andreotti e Cosa Nostra, instaurate - in forma non contingente ed occasionale - almeno dal 1978, e mantenute certamente fino al 1992, con caratteri tali da concretare l'ipotesi di reato di concorso in associazione mafiosa. «A tal riguardo, è opportuno sottolineare che gli elementi probatori acquisiti inducono a ritenere non già che il senatore Andreotti abbia mai assunto la qualità formale di membro dell'associazione mafiosa Cosa Nostra, ma che egli abbia posto in essere - in modo non episodico e contingente - condotte tali da realizzare un contributo positivo alla tutela degli interessi ed al raggiungimento degli scopi dell'organizzazione... «Sussistono nei confronti del senatore Giulio Andreotti, elementi sufficienti per richiedere le autorizzazioni a procedere, affinché si possano legittimamente compiere tutti gli accertamenti che appaiono utili e necessari in ordine al reato di concorso in associazione mafiosa... Gli elementi acquisiti hanno raggiunto un livello che, per un verso, esclude la sussistenza dei presupposti di una richiesta di archiviazione, e per altro verso rende indispensabili ulteriori verifiche ed approfondimenti mediante investigazioni che, almeno in parte, per la loro natura e complessità non possono essere esaurite in tempi brevi...». Gli elementi acquisiti di cui parlano i magistrati palermitani sono essenzialmente le dichiarazioni dei «pentiti» di mafia Gaspare Mutolo, Leonardo Messina e Tommaso Buscetta, riscontrate con quelle di altri collaboratori della giustizia: Vincenzo Marsala, Antonino Calderone, Francesco Marino Mannoia, Giuseppe Dal pentla prima«C'entraamico di to Mutolo soffiata l senatore Lima» Marchese e Baldassarre Di Maggio. Inoltre sono stati ripresi gli atti delle inchieste giudiziarie sull'omicidio del generale Dalla Chiesa (per cui è stata disposta la riapertura delle indagini), il finto rapimento del finanziere Michele Sindona, l'assassinio di Roberto Calvi, il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro. Per i giudici del pool antimafia, è possibile accusare di concorso in associazione mafiosa anche chi non è stato "affiliato" secondo il rito di Cosa Nostra. A sostegno di questa tesi citano un'ordinanza firmata nel 1987 da Giovanni Falcone che scriveva: «Per riscontrarsi concorso eventuale da parte dell'estraneo all'associazione mafiosa, occorre che quest'ultimo contribuisca, attivamente e consapevolmente, alla realizzazione delle attività e degli scopi dell'associazione stessa... Manifestazioni di connivenza e di collusione da parte di persone inserite nelle pubbliche istituzioni possono eventualmente - realizzare condotte di fiancheggiamento del potere mafioso, tanto più pericolose quanto più subdole e striscianti, sussumibili - a titolo concorsuale - nel delitto di associazione mafiosa... E' la "convergenza di interessi" col potere mafioso...che costituisce una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa Nostra e delle sua natura di contropotere, nonché correlativamente delle difficoltà incontrate nel reprimere le manifestazioni criminali». li DKMUUUZKMU M MUTUO. Per otto mesi l'ex uomo di fiducia del boss mafioso Saro Riccobono ha collaborato con i magistrati evitando di fare il nome «della persona» che costituiva il referente "romano" di Cosa Nostra e di Salvo Lima. «Non è giunto il momento per affrontare un problema così delicato», rispondeva Mutolo ai giudici che lo interrogavano. Ma il 4 marzo '93, all'indomani dello show processuale di Salvatore Rima, il pentito si decide: «Il Riina ha voluto da un lato rassicurare i politici (che egli conosce benissimo) circa il fatto che - almeno per il momento, e nonostante il suo arresto - né lui né i suoi uomini diranno nulla; per altro verso però ha inteso dire che questi politici debbono ritornare a "muoversi" nell'interesse di Cosa Nostra, poiché altrimenti la situazione potrebbe cambiare ed essi stessi potrebbero esserne travolti... «Mi sono reso conto pertanto - continua Mutolo - che devo mettere definitivamente da parte le mie titubanze, cominciando con l'affrontare il problema più importante, costituito da quello che sicuramente era - fin quando sono stato in Cosa Nostra - il più potente referente politico di Cosa Nostra. Intendo parlare del senatore Giulio Andreotti. Il senatore Andreotti è esattamente la persona alla qua- le l'onorevole Salvo Lima si rivolgeva costantemente per le decisioni da adottare a Roma, che coinvolgevano interessi di Cosa Nostra». «Affrontando pertanto questo delicatissmo tema - scrivono i magistrati a proposito delle deposizioni del pentito - il Mutolo ne esoponeva tutti gli aspetti a sua conoscenza, riguardanti principalmente l'interessamento del senatore Andreotti, all'uopo contattato dall'on. Lima e dai cugini Salvo, Antonino ed Ignazio, per 1'"aggiustamento" di processi a carico di esponenti di Cosa Nostra, e soprattutto del processo più importante, quello istruito dal giudice Giovanni Falcone (il cosiddetto maxi-processo, ndr)... «Il Mutolo aggiungeva che nonostante le assicurazioni date agli uomini d'onore, un notevole malumore era stato ovviamente determinato da varie proposte di legge, che sembravano andare contro gli interessi di Cosa Nostra, adottate da governi dei quali faceva parte anche il senatore Andreotti. Nelle carceri si diceva: "Ma come, noi gli diamo i voti, lo abbiamo garantito sempre..."... Il Mutolo ribadiva che l'on. Lima era stato ucciso perché simbolo di quella componente politica che dopo essersi servita di Cosa Nostra aveva tradito i suoi impegni proprio in occasione del maxi-processo». Il 30 gennaio '92, un mese e mezzo prima dell'omicidio Lima, la Cassazione aveva confermato il "teorema Buscetta" e l'impianto accusatorio del maxi-processo. «Mutolo aggiungeva - riprendono i giudici - che dopo quella sentenza "il clima di tranquillità" precedente era cambiato radicalmente... La frase che si sentiva ripetere era "ora ci rumpemo i corna a tutti", ed il Mutolo precisava che il senso esplicito della frase era "rompiamo le corna ad Andreotti ed a tutti gli amici suoi". Fu così che venne ucciso l'on. Lima, e la frase che il Mutolo sentiva dire era, appunto, che bisognava mandare un "segnale al suo padrone"». MISSINA (ACCONTA. Anche l'ex mafioso della famiglia di San Cataldo parla a lungo dei rapporti tra Cosa Nostra e la politica, tra boss mafiosi ed esponenti democristiani. «Per quanto riguarda in particolare l'on. Lima, il Messina riferiva di aver saputo - per il tramite di altri uomini d'onore tra cui l'avvocato Raffaele Bevilacqua (esponente de della corrente andreottiana) - che il Lima non era uomo d'onore, "ma era stato molto vicino ad uomini di Cosa Nostra per i quali aveva costitui¬ L'exper e i rcon to il tramite presso l'onorevole Andreotti per le necessità della mafia siciliana"... Vi erano precise garanzie che il maxi-processo in Cassazione si sarebbe risolto in una "cazzata", e che tali garanzie provenivano dall'on. Lima, dall'on. Andreotti e dal presidente della Cassazione Carnevale, con il quale "era stato tutto sistemato"... A conclusione delle sue dichiarazioni il Messina precisava infine di avere sempre sentito dire, in Cosa Nostra, che uno dei canali per arrivare ad Andreotti era la massoneria». L'ex-picciotto di San Cataldo ha anche rivelato ai giudici, riferendo ima confidenza ricevuta dal mafioso catanese Sebastiano Nardo, che «l'on. Andreotti era stato "punciutu" (ovvero "punto" secondo il rito di iniziazione di Cosa Nostra)». Ma i magistrati antimafia, se da un lato ritengono attendibili Messina, dall'altro diffidano delle confidenze di Nardo a proposito dell'iniziazione mafiosa di Andreotti: «Ciò perché - scrivono - quest'ultima circostanza, oltre che mai riferita da altri al Messina, non appariva altresì logicamente coerente con il contesto delle conoscenze provenienti dagli altri collaboratori di giustizia». li DICHIARAZIONI M BUSCETTA. Fino allo scorso anno, il capostipite dei mafiosi pentiti si è sempre rifiutato di aprire il capitolo dei rapporti tra Cosa Nostra e la politica. Nel 1988, a Falcone che ritornava per la seconda volta alla carica, Buscetta rispondeva: «Sarebbe veramente da sconsiderati parlare di questo, che è il nodo cruciale del problema mafioso, quando ancora gli stessi personaggi di cui dovrei parlare non hanno lasciato la vita poltica attiva. Pertanto non intendo né confernare né escludere l'incontro con l'on. Lima in Roma, né se conosco quest'ultimo...». Solo dopo l'omicidio di Lima e le stragi di Capaci e di via D'Amelio, «don Masino» rivela i suoi contatti personali con Salvo Lima tramite i cugini Nino e Ignazio Salvo, confermando l'incon- tro di Roma con l'eurodeputato de all'hotel Flora. Alla commissione parlamentare antimafia che lo interroga in novembre, Buscetta spiega che «l'omicidio di Lima serviva a denigrare Andreotti». Ma quando i giudici insistono per approfondire questa frase sui rapporti di Cosa Nostra con altri uomini politici, il penti- to prima prende tempo e poi riparte improvvisamente per gli Stati Uniti senza fare nuovi nomi. Ma prima di andarsene «don Masino» disegna un quadro della realtà politico-mafiosa di Palermo e delle amicizie "romane" di Salvo Lima che permette ai giudici antimafia di tracciare l'identikit del vero referente politico di Cosa Nostra. «E' indubbio - scrivono - che l'onorevole Giulio Andreotti cumula in sé pressoché tutte le connotazioni proprie del "referente romano" dell'on. Lima che si sono sin qui individuate. Egli infatti ha quasi ininterrottamente rivestito dagli Anni 80 (ed anche in precedenza) sino ad oggi ruoli e cariche di vertice nelle istituzioni statuali e all'interno del partito della de... Il medesimo Buscetta, del resto, ha fornito ulteriori indicazioni stabilendo una chiara e inscindibile correlazione tra l'on. Salvo Lima e l'on. Andreotti quando ha dichiarato che l'omicidio dell'on. Lima serviva a denigrare l'on. Andreotti». CU ALTRI FINTITI. Per i magistrati palermitani il riscontro principale alle dichiarazioni di Mutolo, Messina e Buscetta, è costituito dalle deposizioni degli altri pentiti (da Marsala a Di Maggio), i quali, anche se non parlano direttamente di Andreotti, confermano le tesi dei primi tre su molti altri punti: dal rapporto preferenziale tra Cosa Nostra e la de in ogni elezione politica (tranne quella del 1987) agli interventi per gli "aggiustamenti" dei processi di mafia. ANDREOTTI E DALLA CHIESA. Riprendendo e commentando una frase del diario del generale assassinato dalla mafia nel 1982 sul problema di come affrontare la lotta alla mafia, i giudici scrivono: «Non vi è dubbio alcuno che il generale con l'espressione "si dimostrerebbe che i messaggi già fatti pervenire a qualche organo di stampa da parte della famiglia politica più inquinata del luogo hanno fatto presa laddove si voleva", si riferiva all'intervista del sindaco Martellucci e alla corrente andreottiana in Sicilia della quale questi era espressione». Il senatore Andreotti ha sempre negato che nel corso di un colloquio con Dalla Chiesa (di cui quest'ultimo ha scritto in un'altra pagina del diario), il generale gli abbia detto che non avrebbe avuto riguardo per gli uomini della sua corrente. Commento dei giudici. «Una concorde pluralità di elementi inducono a ritenere che la versione fornita dall'onorevole Andreotti in ordine al contenuto di quel colloquio, non sia aderente al vero. Il contenuto del colloquio fu annotato il giorno dopo l'incontro. E, del resto, è stato processulamente verificato che tutti gli episodi, gli incontri annotati nelle altre pagine del diario, si sono verificati proprio nelle date indicate». SINDONA, CALVI E MORO. Anche in questi tre «misteri» ancora aperti della storia d'Italia, la Procura di Palermo ha individuato la presenza di rapporti tra mafia, politica e mondo della finanza nei quali finirebbe per avere un ruolo il senatore Andreotti. Gaspare Mutolo parla di Sindona, «al quale erano state affidate ingenti somme di denaro da parte dei principali esponenti di Cosa Nostra», e dell'operazione di recupero della borsa di Roberto Calvi gestita dal faccendiere Flavio Carboni e dal falsario Giulio Lena. Quest'ultimo, ha riferito in carcere a Mutolo che il garante di tutta l'operazione era Giulio Andreotti. Francesco Marino Mannoia si sofferma invece sull'omicidio di Calvi deciso da Lido Gelli e Pippo Calò per questioni finanziarie, e sull'intervento di alcuni esponenti de presso Cosa Nostra, ai tempi del rapimento Moro, per ottenere la liberazione del leader democristiano rapito dalle Br. «Tutta questa vicenda - commentano i giudici costituisce un riscontro di eccezionale valore di quanto affermato dai collaboratori sul contesto dei rapporti tra Cosa Nostra e il mondo politico, non soltanto siciliano ma anche nazionale». Giovanni Bianconi Francesco La Licata L'ex premier sotto tiro per i casi Calvi, Sindona e i rapporti con il gen. Dalla Chiesa Dal pentito Mutolo la prima soffiata «C'entra il senatore amico di Lima» La procura cita Falcone «Anche chi non è affiliato può colludere con i boss» Da sinistra, sotto il titolo, il pentito Gaspare Mutolo e il banchiere Roberto Calvi. Sotto, Andreotti a un congresso della de siciliana, a destra nella foto Vito Ciancimino. A fianco, Andreotti con il generale Dalla Chiesa