«Tutti a casa» è tornata la sindrome da 8 settembre di Pierluigi Battista
«Tutti a casa», è tornala la sindrome da 8 settembre «Tutti a casa», è tornala la sindrome da 8 settembre CORSI E RICORSI CROMA HE tragedia, l'Italia allo sbando. Gli emuli di Vittorio Emanuele III che fuggono precipitosamente verso Brindisi. Il Paese fisicamente spaccato a metà. Gli italiani che vagano confusi, frastornati e derelitti, senza uno straccio da sventolare e un'istituzione, una qualsiasi, cui aggrapparsi. E poi la voce di un nuovo Badoglio che annuncia la disfatta, le divise che non valgono più niente, il caos, «tutti a casa». Scenario apocalittico, quello tracciato dal presidente Amato: il rischio di un nuovo «8 settembre», l'Italia che si sfascia, il Re che in tutta fretta si mette al riparo e lascia i sudditi al loro destino, la vergogna, lo sfacelo, il disonore. E adesso, giacché sempre la storia replica se stessa con le sembianze della farsa, nemmeno una Resistenza per riscattare l'orgoglio nazionale. Nel mercatino delle analogie storiche sfornate a getto continuo, arriva l'ultima data fantasma, lo spauracchio di quell'8 settembre 1943 in cui l'Italia perse la faccia e la dignità. Il passato che non passa torna funesto e minaccioso come uno spettro. Si snocciolano date come in un rosario: 25 luglio, 25 aprile, il '22, l'89, il '17 (mese di Ottobre), il '24. Si disseppelliscono nomi-simbolo: Norimberga, l'Aventino, Salò, Piazzale Loreto. Si scomodano ghigliottine e capestri, forche e catene. La storia diventa un arsenale di armi contundenti. Dilaga la mania del paragone storico, come se non si potesse interpretare l'apocalisse di oggi senza ricorrere al conforto di un evento passato e già catalogato. Metafora preferita: quella del fascismo. All'alba o al tramonto, a scelta. «E' come Luigi Facta, il presidente del Consiglio che non fu capace di opporsi al fascismo», tuonò Bettino Craxi all'indirizzo di un Amato che non voleva far quadrato attorno al segretario psi in caduta libera. «Hanno bisogno di una vittima, di un caso che esploda con lo stesso fragore del caso Matteotti»: il copyright sta- volta è di Flaminio Piccoli. Bossi annuncia la calata dei lumbard nella Capitale e subito si riesuma lo spiritello nefasto della marcia su Roma: 28 ottobre 1922. Cadono gli dei e sulla stampa nazionale si scatenano insane fantasie su Piazzale Loreto: i potenti della nomenklatura impiccati a testa in giù e tutt'intorno la folla ebbra di sangue che infierisce sui cadaveri dell'uomo osannato fino al giorno prima. I maggiorenti socialisti preparano l'uscita di Craxi e ancora una volta tutti che immaginano i nuovi gerarchi nella febbrile preparazione del loro 25 luglio. Non è finita, perché dopo il crollo arriva la punizione spietata e intransigente. Si invoca una nuova Norimberga ma Mino Martinazzoli implora di non mettere sullo stesso piano i criminali nazisti e i tangentari dei partiti. Voce inascoltata, flebile sussurro che nessuno prenderà in considerazione. Le analogie impazzano, si moltiplicano, sommergono la discussione politica. Arriva la paura della ghigliottina, delle pozze di sangue, dei neogiacobini smaniosi di far rotolare le teste travolte da Tangentopoli. «Siamo alla Rivoluzione» e l'ex presidente Cossiga si lancia ripetutamente in spericolate similitudini tra la classe politica di oggi e il destino tragico di Carlo I e Luigi XVI, teste coronate e poi mozzate a furor di popolo. Gianfranco Miglio, l'ideologo della Lega che gode portandosi appresso un alone di perfidia, va ancora più in là e paragona la crisi dell'attuale sistema alla fine ingloriosa dell'Impero romano, spolpato da stuoli di parassiti voraci e insaziabili pronti per essere spazzati via dai «barbari civilizzatori», la rude gente del Nord destinata ad instaurare il «nuovo ordine». Otto settembre, sibila Giuliano Amato. Ma prima di lui Giovanni Spadolini aveva già proposto un'immagine-spauracchio dell'Italia che rischia di perdere se stessa: la Repubblica di Weimar, «esemplare come disgregazione della democrazia dall'interno». L'Italia degli Anni Novanta precipita nella crisi economica e la lira perde colpi nel confronto con le monete forti? Ecco già pronta l'analogia: l'autarchia mussoliniana, l'«Italdado», la «Lanital», la Magnesia Bisurata «di fabbricazione italiana». Oramai sembra una pulsione irrefrenabile. Gli intellettuali di area de auspicano il rinnovamento culturale del partito e gli mettono il nome pomposo di «Terzo Risorgimento». Martelli rompe con Craxi e accompagna il suo gesto oltraggiando l'immagine di Garibaldi, reliquia storica amatissima dall'ex Capo. Il futuro è incerto e sconosciuto. Meglio ripiegare nel passato che non passa. Pierluigi Battista I politici esorcizzano la crisi con i fantasmi del passato Dai «Facta» di Craxi ai barbari vendicatori di Miglio ■ Foto grande: una scena di «Tutti a casa» con Alberto Sordi Qui accanto Francesco Cossiga Più a sinistra Bettino Craxi
Luoghi citati: Brindisi, Italia, Norimberga, Roma, Weimar
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