« Finisce il tormentone» di Valeria Sacchi

« « Finisce il tormentone» // segretario de amareggiato «Ha commesso un grave errore» BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO «Finisce un tormentone», sibila tra i denti Mino Martinazzoli, mentre cammina impettito per raggiungere la poltrona in prima fila. Ignora i microfoni protesi, non guarda i giornalisti che incalzano. Ha deciso di non sentire le domande, tira via diritto, e l'altezza è un vantaggio. Ma in volto è nero come un temporale. Poi queste tre parole, unico commento al «tormentone» Segni che ha deciso di abbandonare il partito. E' una giornata cominciata male, e non sa ancora che finirà peggio. Quando, tra due ore, il presidente del Consiglio minaccerà di lasciare baracca e burattini, se le forze politiche non gli garantiranno prospettive di governo che vadano oltre il referendum. E lui, il segretario de dalle mani pulite, dovrà affrontare un faccia a faccia privato con Amato. Mino è arrivato a piedi in giacchetta scura, senza cappotto, sotto il sole tiepido del primo pomeriggio. Era atteso prima, ma le dimissioni di Segni lo hanno trattenutpjjjajjspettato .dettagli primardi affrontare le telecamere in agguato, le domande degli amici riuniti nella sala ovale della Camera di Commercio, La sala è gremita. Si parla di privatizzazioni e, per il gran finale, sono attesi Amato e Luigi Abete. C'è tutta Brescia al convegno promosso da Gianfranco Nocivelli, presidente della Associazione industriali. Quando Martinazzoli entra, sul palco degli oratori è in corso una tavola rotonda, ma tutti gli occhi scrutano il Mino martire, mentre prende posto sulla poltroncina beige, troppo piccola per le sue lunghe gambe. Un altro calvario. Arriva Luigi Lucchini. Sa che Segni ha lasciato la de? Non lo sa. Si ferma e commenta «Non invidio quegli uomini politici che in questo momento hanno responsabilità pubbliche. Poveretti, è una posizione molto brutta. Meno male che io non sono più in Confindustria. Ho sempre detto che non ho paura della crisi economica, le crisi si superano. Ma ora ho paura di quella politica, che il Paese non regga». Si fa serio il re del tondino, ma si riprende subito e conclude: «Però mi faccio forza, come deve farsi ogni imprenditore, e dico: le cose si risolveranno». Il colpo di Segni ha mandato per aria il progetto di poter scambiare due parole con il segretario de. Nemmeno i giornalisti bresciani osano infrangere la consegna, ripetono «Oggi, proprio non vuol parlare». Intanto spunta Giovanni Bazoli, presidente di Ambroveneto. L'abbandono di Mariotto lo rattrista. Chiede ansioso «Ma è proprio certo?». Si è sicuro. Scusi, lei è un pattista? «No. Ma ho sempre riconosciuto a Segni il merito di aver avviato il processo referendario, e quindi il rinnovamento». E allora, cosa succederà? Sussurra «E' un momento delicatissimo. Avevo raccomandato a Segni di cercar di capire le difficoltà della de». Finalmente è l'ora. Sono le sei, si sentono i fischietti, Abete e Nocivelli sono pronti sull'ingresso. E dalle scale scende, rapido, il presidente del Consiglio. Amato parla e controbatte alle accuse degli industriali, ricorda che «questo governo ha creduto, e crede, nelle privatizzazioni. Ha avviato una rivoluzione e ne rivendica il merito». Un biglietto lo avverte che deve telefonare a Roma d'urgenza. «Dovranno aspettare che finisca» dice, e arriva al nodo politico: non starò qui ad aspettare che mi impalliniate dopo il 18 aprile. Destinatari: i partiti ma anche la Confindustria, che da qualche tempo chiede un governo nuovo. Martinazzoli è lì di fronte, a tre metri, immobile nella poltrona. Amato ha finito e si alza. La famosa telefonata. Ma prima fa un cenno, vuole parlare al segretario de. Cerca una apertura nella tenda di velluto che chiude il i avolo degli oratori. Invano. La scena è comica ma nessuno ride. Tanto meno il cupo Mino che si alza e segue. Un quarto d'ora stanno chiusi in una stanzetta, il piccolo Giuliano e il gigante Mino. Poi via rapidi, ognuno per la sua strada. Due giornalisti inseguono Martinazzoli per la strada, fino alla porta dell'ufficio. Incalzano: domani Scalfaro ha convocato i presidenti di Camera e Senato, cosa ne pensa? Borbotta «Lo fa ogni mese...». Ma insomma, su Segni non vuol proprio commentare? «Commenteremo, eccome! Ma credo sia un errore da parte sua». Ma lei è preoccupato? «Perché? Lei non lo sarebbe?». La porta si chiude. Valeria Sacchi

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