Un pentito d'oro e Napoli trema di Giuseppe Zaccaria

Un pentite cForo e Napoli trema Un pentite cForo e Napoli trema Pasquale Galasso, il boss da 1500 miliardi IL PICCONATORE DELLA CUPOLA SNAPOLI I racconta che tra le non poche fissazioni di Francesco II, ultimo re delle Due Sicilie, ci fosse quella di considerare il trono come oggetto che portava una jella terribile. Visto come gli andarono le cose non si può dire avesse torto. Ma che il trono di «Franceschiello» ri-, compaia, dopo oltre un secolo, anche in questa seconda, rovinosa caduta dei Sovrani di Napoli, è coincidenza un po' inquietante. Chissà come si era sentito, il vero artefice del terremoto di queste ore, posandovi sopra le terga, lui che era figlio di «don Sabatino 'o purcaro» e che per darsi un tono amava definirsi studente in medicina. Chissà i deliri di potenza suscitati da quello scranno tutto porpora ed ori. Se l'era nascosto in casa, il nostro personaggio, finché il 4 luglio di due anni fa un sequestro ordinato dall'antimafia non gliel'aveva portato via. Mistero nel mistero, la cosa passò quasi sotto silenzio: il trono era scomparso più di un secolo prima dalla reggia di Capodimonte. Questa è la storia di Pasquale Galasso, 38 anni fra poco, «boss» di Poggiomarino, dalle parti di Salerno, nonché personaggio che dal luogo dove adesso vive, più protetto di un capo di Stato, accusa gli ultimi intoccabili di collusioni con la malavita. Un altro «pentito» di camorra, un altro malavitoso di provincia su cui d'un tratto si puntano i riflettori. Se però vi tornano in mente Giovanni Pandico e Barra «l'animale», o la loro spudorata compagnia di imitatori, meglio chiarire subito che questo signore va inserito in parametri completamente diversi. Qui si parla di un semisconosciuto che è stato (forse è) ministro delle Finanze dell'organizzazione criminale più ricca d'Italia. Di uno cui nell'arco di poche settimane l'antimafia ha sequestrato prima 30 miliardi, e poi 140. Di un uomo che sembra aver la capacità di cambiare senso anche alle parole: «casa», per lui, significa sterminata (ed orribile) villa con piscina olimpionica o castello dalle parti di Novara. «Auto» vuol dire sette diversi modelli di Ferrari e venti preziosissime vetture d'epoca. «Lavoro», una concessionaria d'auto, decine di tenute agricole, una fabbrica di rimorchi con 520 operai e 350 miliardi di fatturato. Una serie di finanziarie (Finpar, Galbeton, Pomea, Galbox, Galfin) dai capitali sociali improvvisamente centuplicati. Ecco chi è, il picconatore del vicereame: un uomo da 1500 miliardi. E accorgersi che l'amministratore e garante di una ricchezza così spudorata fosse riuscito a espàndersi fino all'altro ieri senza che il Paese se ne accorgesse è scoperta che provoca tremori, e sembra aprire squarci su prospettive da vertigine. Nel giugno del '91 «Il Mondo» tentò un'analisi economica dei fatturati della malavita: quel che ne emergeva era una classifica approssimata per di¬ fetto. Il più ricco e temuto «boss» d'Italia risultava essere Carmine Alfieri, 49 anni, latitante da dodici. Dinanzi al giro d'affari del capoclan di Nola ( 1500 miliardi, appunto) perfino un personaggio come Totò Riina perdeva punti: quanto a disponibilità finanziaria, il capo di «Cosa Nostra» doveva accontentarsi del terzo posto. Come mai? Forse per la mafia i traffici di droga cominciavano a farsi meno remunerativi, traballavano magari «racket» ed estorsioni? No: più semplicemente, in Sicilia erano almeno vent'anni che non c'era un terremoto, ed il giro di appalti pubblici era infinitamente meno vorticoso. Oggi rispetto a quella classifica alcune cose sono cambiate: intanto, oltre al notissimo Riina, anche il meno noto Alfieri è finito in carcere. L'hanno arrestato pochi mesi fa a due passi da Nola, il suo paese, esattamente come per il capo della mafia. Alfieri era noto come «'o ntufato», che significa l'incazzato. Pare che in questi ultimi tempi la caratteristica si sia accentuata: solo adesso l'ex numero uno ha capito chi l'ha tradito, e perché. Sì, parliamo ancora una volta di Pasquale Galasso. Era lui l'amministratore del «gruppo Alfieri», lui la persona incaricata di investire il danaro dei traffici, ottenere appalti, di concordare favori e finanziamenti elettorali. Di piccoli e grandi guai con la giustizia ne aveva avuti in serie: un'accusa di duplice omicidio a vent'anni (aveva difeso la sorella da due guappi di provincia), processetti di varia natura, ma anche una luminosa assoluzione ( 19 febbraio dell'anno scorso, quinta sezione della corte d'appello di Napoli) dall'accusa di essere uomo della camorra. Il fatto è - ci spiegano adesso, anche se il racconto non è troppo convincente - che Pasquale Galasso è troppo abituato alla vita del satrapo. Quando, pochi mesi dopo l'assoluzione, l'avevano arrestato per una stupidata (violazione dell'obbligo di arresti domiciliari) l'offerta di «collaborazione» era giunta quasi immediatamente. «Vi racconto tutto», aveva promesso il «boss» al nostro piccolo Fbi. In cambio, chiedeva di potersene tornare, protetto, in quella specie di castello che aveva appena comprato dalle parti di Novara. «Villa Bretta», si chiama la costruzione ottocentesca tutta torrioni, marmi e «boiseries» che Pasquale aveva comprato. Una cosetta da venti miliardi, già proprietà dei marchesi Solaroli di Briana, circondata da 45 mila metri quadri di bosco e con vista sul lago. A tempo perso, questo Creso di provincia aveva pensato di comprare anche una società immobiliare, la «Deutzia». In un conto aperto per le piccole spese gli sequestrarono un miliardo. Ed eccoci all'epilogo. Comincia a «collaborare», il picconatore del vicereame. Per mesi, carabinieri e Dia lo ascoltano, vagliano, e cominciano a pensare che in realtà lui voglia solo far fuori il capo latitante per assumerne il ruolo. Poi qualcosa rischia di rovinare tutto: la Pro cura di Salerno indaga sui «clan» camorristi della provin eia e arresta di nuovo l'oscuro plurimiliardario. Passeranno settimane di un duro braccio di ferro fra «nazionali» e locali pri ma che Galasso possa tornare a casa. Il resto è storia di queste ore Forse spaventato dall'arresto, forse incoraggiato da alcuni dissequestri, il nostro comincia a «collaborare» sul serio. E racconta cose che andranno provate, naturalmente, ma conduco no ad «avvisi» di portata storica. Mente? Può essere, anche se le sue affermazioni sono state controllate per mesi. Cosa otterrà in cambio è ancora tutto da capire, anche se è già stabili to che il trono dei Borboni non lo avrà più. Né lo pretende: porta troppa jella. Giuseppe Zaccaria Villa con piscina olimpionica decine di tenute agricole una fabbrica e varie finanziarie La sontuosa villa che Pasquale.Galasso (sotto) possiede in provincia di Novara, con piscina e vista sul lago