Il vero Indiana Jones fa ballare le mummie

Escono in America le memorie di Hoving, mitico direttore del Metropolitan Museum Escono in America le memorie di Hoving, mitico direttore del Metropolitan Museum Il vero Indiana Jones fa ballare le mummie Al DULARE e ascoltare», come facevano le entraìneuses di una volta, pare sia la regola aurea di ogni direttore di museo ameri¬ cano che abbia l'ambizione di assicurarsi il lascito di qualche vecchio collezionista imburberito. Il quale comprensibilmente detesta che gli si ricordi che sta per trapassare, ma deve pur decidere a chi lasciare tutte quelle ricchezze. Altro che entraineuses, è una vita da cani quella di chi è costretto a blandire nuovi ricchi arrogantissimi e vedove che custodiscono tesori d'ogni tipo, tra ricevimenti e crociere nel Mediterraneo su barche che sembrano grand hotels. Dove ad astenersi dall'adulare si corre il rischio di inimicarsi l'ospite: di solito uno di quei mastini di lusso che siedono nei consigli di amministrazione dei musei americani, che al termine della vacanza, se lo hai irritato, potrebbe anche chiedere la tua testa. Tom Hoving, che è stato certamente il più bizzarro, vulcanico e famoso direttore di museo in America, tornava da queste scorribande miliardarie stremato ma sempre in sella, grazie a quella regoletta d'oro che gli aveva insegnato una matrigna ambiziosa, perché imparasse a stare in società. E che gli ha permesso, insieme a una buona dose di diplomazia e di faccia tosta, di tenersi stretto il posto malgrado gli scandali, le polemiche, le sacrileghe innovazioni che portò al Metropolitan Museum di New York negli anni in cui lo diresse, cioè dal 1967 al '77. Anni in cui Hoving ha inventato un modello di museo che è stato ed è ancora imitato in tutto il mondo, trasformando il sobrio contenitore di una collezione di più 3 milioni di oggetti d'arte in un luna park culturale a metà tra i Musei Vaticani e Fiorucci, dove si ospitano mostre di grande richiamo e si vendono ninnoli, cartoline, riproduzioni di gioielli di scavo e libri d'arte, accanto a sciarpe art nouveau e magliette ricordo. E dove la gente si riversa a decine di migliaia ogni giorno, sparpagliata tra le gallerie, gli spazi espositivi, la cafeteria a buon mercato e il ristorante «à la carte». Questo è il Met da quando lo ha diretto Thomas Hoving, e questo è il modello di museo iperdemocratico che il suo libro di ricordi, Màking the mummies dance, appena pubblicato dalla Simon & Schuster, rimette in discussione proprio mentre in Ita¬ lia si comincia a parlare di aprire negozi e librerie per rendere più vivaci le nostre pinacoteche. Ora, che il libro sia stato accolto in America da un turbine di lodi e stroncature sembrerebbe provare che dall'altra parte dell'Atlantico ci si accapigli ancora sull'argomento della funzione dei musei nell'educare la società. Ma c'è qualcos'altro che stimola l'attenzione della gente: il modo di presentarsi di questo elegante ex medievalista, che chiaramente si vede come Indiana Jones. Hoving ha infatti il vezzo di descriversi nel suo pettegolissimo libro come un affascinante bucaniere del mondo dell'arte, che mena fendenti ai critici («sono sacchi di merda»), e non si vergogna di dire in che modo, anche discutibile, si sia comportato soprattutto quando viaggiava: «Volavo in prima classe, stavo in grandiose suites nei migliori alberghi, bevevo molto, e mi concedevo avventure con ogni tipo di donna che incontravo: funzionarie di musei e costose ragazze squillo...». La verità è che questo atletico e coltissimo signore più che un pirata è un animale da tabloid. L'uomo che nell'opinione del sindaco Lindsay avrebbe dato tanta vitalità al Met da far danzare anche le mummie dell'ala egizia (come recita il titolo del libro), ha fatto tutto quello che poteva per apparire sui giornali nel modo più controverso possibile. E ha approfittato di un momento molto particolare di notevole espansione dei musei americani. Poco felice, se non per la risonanza sui media, fu l'esperienza di Harlem on my mind, l'ambiziosa mostra storico-fotografica sul ghetto di New York, che nel '69 riuscì ad offendere tutti, bianchi, neri ed ebrei, visto che sul catalogo si leggeva che odiare gli ebrei (padroni di molte case ad Harlem) era per i neri un modo per sentirsi più americani e condividere almeno qualcosa con i bianchi. Ma, a dispetto di queste ed altre gaffes, Tom Hoving ha lavorato sodo, ed è riuscito a portare a casa molti tesori: la magnifica collezione Lehman di arte antica e l'altrettanto importante raccolta di arte primitiva di Nelson Rockefeller, oltre a molte decine di milioni di dollari e al notissimo tempietto egiziano di Dendur. Se si usa però un'altra chiave di lettura, il libro di Hoving appare, al di là dei pettegolezzi sui suoi rapporti con Jackie Kennedy o Paul Getty, una spettacolare contestazione della tesi illuminista, e tutta americana, che il contatto con l'arte migliori la gente. Nessuno dei personaggi principali di questa storia sembra molto simpatico. Ne escono con le ossa rotte sia Henry Geldzahler, ex potentissimo conservatore della parte contemporanea della collezione del museo, sia il suo attuale direttore, Philippe de Montebello. Kurt Waldheim, incontrato a Vienna, è un personaggio viscido e opportunista e André Malraux un gigione che recita dietro la sua scrivania al ministero dei Beni Culturali a Parigi. Il tono da romanzo d'avventura usato da Hoving quando parla di problemi di conservazione delle opere o di gestione del museo, gli è valso, è vero, la condanna di Robert Hugues sul New York Review ofBooks («Uno finisce per considerare Hoving una versione maschile di quell'altra mitomane - Lillian Hellman - ma senza il suo talento letterario»). Eppure persino il pestifero Hugues è costretto ad ammettere che Thomas Hoving sarà mitomane, ma le cose, nel mondo dell'arte, le ha cambiate davvero. Forse non completamente per il meglio: e questo è il punto. Come si valuta la sua lezione dopo oltre vent'anni? Pur conservando la vernice che gli ha dato Hoving, il Metropolitan di Philippe de Montebello ha cercato in questi ultimi anni di dare meno spettacolo e di avvicinare più gente alla collezione permanente del museo. E ora, proprio in una pubblicazione del Met, lo studioso francese Marc Fumaroli accusa il museo-luna park di allontanare la gente dal suo scopo originale, come lo avevano immaginato gli muministi: quello di risvegliare nelle persone il gusto artistico, attraverso il contatto con i lavori di genio e il paragone tra capolavori. Come dire che il modello inventato da Hoving avrebbe fatto il suo tempo, e che a Parigi, a Berlino e a Londra si dovranno adeguare. Buon per l'Italia, che aveva perso inesorabile mente anche quel treno. Livia Ma nera Bizzarro e vulcanico non si fermava di fronte a nulla: ma il suo modello ora è in crisi Jackie Onassis Tom Hoving e il Met