Dioniso d'un Rossini

Studi postumi di d Amico Studi postumi di d Amico Dioniso d'un Rossini L} AVVENIMENTO più importante nella cultura musicale degli ultimi vent'anni è senza dubbio la Rossini-Renaissance: l'opera teatrale di un genio che aveva raggiunto ai suoi tempi una fama planetaria (paragonabile, diceva Stendhal, solo a quella di Napoleone), dopo esser sprofondata per un secolo e mezzo in un polveroso letargo, ha ripreso vita, è tornata lucida e smagliante, ha riacceso commozioni ed entusiasmi, riannodando le maglie di una catena storica che il suo oblio aveva irrimediabilmente spezzato. Cose accaduto? Semplicemente che, nel solco aperto da Maria Callas - e qui sta la funzione insostituibile della massima cantante del secolo -, sono rinati una tecnica ed uno stile di canto che l'Ottocento romantico ed il Verismo avevano completamente sepolto. Dietro il belcanto non c'è solo edonismo ma un'idea poetica, una concezione drammatica e, in ultima istanza, una visione del mondo: nessuno l'aveva capito meglio di Fedele d'Amico che da decenni predicava nel deserto la necessità di capovolgere il giudizio corrente. Rileggere oggi le sue pagine rossiniane, nitidamente presentate da Giorgio Pestelli (// teatro di Rossini seguito da una Breve storia del canto operistico, il Mulino), significa prender coscienza dei nostri attuali entusiasmi per la rinnovata epifania del teatro rossiniano; significa comprendere, una volta per tutte, che l'arte del gorgheggio, la dissoluzione della sillaba1 nell'efflorescenza dell'arabesco,' le corse rapide della voce dal basso all'acuto, il flettersi del suono, lo smorzarsi del timbro tra luce ed ombra, il grandinare delle note nel diluvio dei «picchettati», e via enumerando, non sono pura decorazione e quindi inutile zavorra dell'espressione drammatica,, come anche i più insigni studiosi rossiniani credevano sino a non molti decenni fa. Essi sono invece l'espressione apollinea di un «bello ideale» che trasporta il sentimento in una dimensione immaginifica e trascendente; sennonché, ad un certo punto, Apollo si cambia in Dioniso e la girandola del ritmo e del suono travolge tutto, disegni e colori, personaggi e situazioni, sentimenti e passioni, nella scarica di un vitalismo frenetico, completamente estraneo al vecchio mondo del Settecento. Avanguardia drammatica Rossini è per d'Amico la prima espressione del dionisiaco in musica: il che proietta il suo teatro in avanti, collocandolo, come lo sentivano i contemporanei, non nel passato ma sulle posizioni innovative dell'avanguardia. Le conseguenze critiche di questa interpretazione sono ora davanti agli occhi di tutti: la produzione di Rossini non è più considerata come una scala che, di gradino in gradino, porta all'affermazione finale del Guglielmo Teli, unica vera opera «drammatica», secondo i parametri del secondo Ottocento. Al contrario, ogni lavoro vale di per sé, per l'individualità espressiva che lo segna da cima a fondo: l'estasi idillica della Donna del lago e lo sfrenato barocchismo di Semiramide, la drammaticità dell'Otello e il respiro panico del Guglielmo Teli, la risata cosmica delle opere buffe italiane e la natura mercuriale, sfuggente, del Comte Ory cui d'Amico dedica il capitolo più bello del libro per sottigliezza critica e virtuosismo di scrittura. Enorme è il merito dello studioso per aver insistito su questo punto, capovolgendo, in pratica, una visione del teatro rossiniano che l'affermazione del melodramma ottocentesco e l'estinzione del belcanto avevano relegato tra le cose morte. Eppure, proprio Rossini aveva consegnato alla futura opera romantica un capitale da mettere a frutto: l'orchestra impareggiabilmente colorita e dinamica, l'energia del ritmo, la velocità dell'azione, la tensione drammatica di molte scene, la continuità narrativa di interi atti. E poi tante novità espressive, e un'intensità di sentimenti davanti a cui il compositore stesso si ritraeva come spaventato, imponendole la schermatura del belcanto, il rivestimento stilizzante di un suono sempre rotondo, puro, morbido, mai sforzato. Rossini - ci ricorda d'Amico - aveva orrore della bizzarra novità costituita dal «do di petto»: e quando il tenore Tamberlick, che l'aveva introdotto nell'Otello, si, fece annunciare al compositore per una visita, egli raccomandò al cameriere: «Fallo entrare: ma il do diesis lo lasci all'attaccapanni, lo riprenderà all'uscita». Eppure, il modo di cantare quella nota non era completamente ingiustificato. Su questo punto d'Amico fa un'osservazione decisiva: «In realtà, se gl'impulsi profondi dei drammatismi rossiniani andavano verso l'avvenire, Rossini intendeva sempre sottoporli a una misura belcanti stica, e furono i cantanti degli anni immediatamente successivi che, rompendo questa misura, ne svelarono la carica storica. Ma non con il suo consenso». • Questo sottolinea due cose: da un lato la modernità della scrittura rossiniana, dall'altro l'importanza dell'interprete che, entro certi limiti, può cambiare il significato dell'opera. Giudizi fulminanti Tale convinzione, fondamentale per capire Rossini, costituisce il frutto più prezioso dell'attività che d'Amico ha svolto, per più di cinquantanni, con bravura impareggiabile: quella del critico musicale. Ne fa fede un altro libro uscito postumo a cura di Re nato Garavaglia e Alberto Sinigaglia con una prefazione di Gioacchino Lanza Tornasi che offre forse il ritratto più penetrante di d'Amico intellettuale e studioso: Scritti teatrali 1932 1989 (Rizzoli). Sono più di cento recensioni pubblicate su vari pe riodici, e principalmente su L'Espresso, scelte con cura per documentare l'ampiezza degli interessi di d'Amico, la sua straordinaria capacità di mutare di volta in volta il punto di vista sugli spettacoli visti e giudicati da angolature tanto fulminanti quanto imprevedibili. Gli articoli su Mose, Italiana in Algeri, Cenerentola, Elisabetta, Guglielmo Tèli, La donna del lago, L'assedio di Corinto, Il turco in Italia, Il Conte Ory completano e ar ricchiscono il discorso del saggio rossiniano, nato a scopi universitari. Ma identico è il modo di approccio all'opera, considerata sempre nella sua realtà di evento drammatico, nato dall'incrocio di canto, orchestra, scene, luci gesti, costumi. Un incrocio dove l'imponderabile può orientare il significato ultimo della rappresentazione in direzioni opposte ma qui sta il bello del teatro, il fascino dell'avventura che, nelle sue cronache musicali, d'Amico sapeva farci rivivere attraverso il nitore delle immagini, la genia lità dei raffronti, le concrezioni levigate e scintillanti di una prò sa tra le più efficaci della letteratura critica italiana negli ultimi cinquantanni. Paolo Galla rati

Luoghi citati: Algeri, Italia