Muore la Balena bianca «una fine senza gloria» di Massimo Franco

S^XESmt In «Tutti a casa» di Massimo Franco i sintomi dell'agonia de In «Tutti a casa» di Massimo Franco i sintomi dell'agonia de Muore la Balena bianca «una fine senza gloria» S^XES RITRATTO DI UN PARTITO AL TRAMONTO E SPLOSIONE, implosione o erosione: non c'è che l'imbarazzo della scelta, se si potesse scegliere. L'ultimo desiderio, comunque, l'ultima sigaretta per la de condannata. S'era detto per anni: dovrà pur succedere, un giorno, prima o poi. Ecco, adesso sembra più prima che poi. E allora: tutto finito, addio. Ma almeno sarà rimasta qualche immagine nevrotica, qualche frizzante tiritera, qualche malinconica memoria di questa de terminale. Il ritratto di un partito che muore e ancora non lo sa. «Tutti a casa» (Mondadori, 261 pagine, 30 mila lire) s'intitola il libro che Massimo Franco, giornalista di Panorama, già fortunato biografo di «Andreotti visto da vicino», ha voluto dedicare allo scudo crociato in fase preagonica. Tutti a casa, adesso, come un castigo ideale per quel «Tutti a tavola», saggio di gastronomia marchigiana cui Arnaldo Forlani, nel periodo di massimo fulgore, s'era compiaciuto di scrivere la prefazione auto-lodando centralità e medianità. Te le raccomando. Tutti a casa. Tutto inutile, ormai. Andreotti che faceva man bassa di amuleti, in Cina. La Jervolino in Abruzzo che non si voleva più far riprendere dalla tv insieme con il suo portavoce, perché l'altra volta c'erano state «chiacchiere». E invano il segretario di Martinazzoli, Bertarini, dorme nel convento dei padri redentoristi, come ai bei tempi, a espiare i troppi grand hotel ed excelsior. A vuoto, ormai, Cirino Pomicino ritma gioioso l'inno del supermarket democristiano: «E' così semplice! Non ti piace Gava? Scegli De Mita. Non ti piace Ciriaco? C'è Forlani. No? Allora Andreotti. Nemmeno lui? Ecco Martinazzoli. E se non vanno bene - continuava Cirino ignaro di quel che stava per accadere ecco pronti Goria, Scotti, Bodrato, Mattarella, Mannino e Segni. La scelta è ampia, no?». Troppo ampia, o troppo poco, forse troppo tutto. La de ha esagerato, ed è una fine densa di eccessi, e tanto piena di fanta sia quanto può esserlo quella di un qualcosa che certo trascen de la mera dimensione politica e si colloca in una dimensione particolarissima fino a occupare, nella possibile storia di questo Paese, almeno un pezzetto di immaginazione, di testa, di cuore, di stomaco e di altre par- ti innominabili del corpo. La fine del partito femmina, mamma de, madre fallica che non faceva crescere i propri figli. Tutti quei paragoni con gli animali. Il ragno è stecchito. Il polipo, similitudine di Sciascia, intirizzito. L'arpione nella balena bianca, vero bestione totemico: a dispetto delle balenine d'argento 925, il più caro, balenine da occhiello, alla moda, che regalava qualche anno fa Bartolo Ciccardini ai funzionari e ai dirigenti di piazza del Gesù. Chi pagava? Impietosi, illuminanti dettagli. E passi per le balenine di Bartolo, ma l'orrida sede di Palazzo Sturzo? Massimo Franco fa una bella analisi dell'anti-monumentalismo democristiano, interrotta dai conati di grandeur fanfaniana. Si scopre così che la prima pietra del palazzone che Martinazzoli vorrebbe tanto vendere, causa debiti, Amintore Fanfani la fece arrivare dalla «scogliera delle stimmate» alla Verna, «dalla montagna - scrisse ispirato l'aretino - su cui ascese verso la contemplazione e il sacrificio San Francesco». Bene, ma adesso? Adesso la de sembra trovarsi in affanno e in pericolo proprio in quella zona che ha fatto la sua fortuna, quel campo coltivato a metà strada fra sacro e profano. Anche qui perché ha esagerato, o magari perché se l'è venduto per due lire ai rotocalchi, quel podere. E saranno di nuovo i tempi, sarà la schiumetta che viene fuori con Tangentopoli, fatto sta che alla fine lascia come una sensazione di nausea tutto quell'ormai artificioso e patiratissimo richiamarsi a parabole, vite di santi, di papi, alle stagioni della Chiesa. Insomma, se già pare eccessivo che Evangelisti dichiari che «Giulio è Maria, io sono Marta», cascano le braccia a sentire che Prandini fa il bis: «Martinazzoli è Maria, io sono Marta che si dà da fare e appronta la cena benedetta». Benedetta? Insomma, del partitone bianco sembra davvero cambiata la percezione. Mica più tanto gradevole l'arietta furba del democristiano che lui solo lo sa cosa è l'eternità, che lui solo capisce il senso del peccato originale (e ne ha elaborato specialissime istruzioni per l'uso), che lui solo possiede «lo spirito di servizio» e lui solo «lo spirito cristiano». Fa più pensare che sorridere, oggi, il giovin De Mita che giocava al cardinale, con Pier Antonio Graziani e quell'altro spiritoso di Biagione Agnes che dopo avergli regalato una berretta da cardinale lo svegliavano la mattina presto: «Ciri, dacci la benedizione!». Così come sembra un cupo simbolo di fine traiettoria l'episodio di De Mita, cresciuto, che va a trovare il cardinal Ruini e dopo il colloquio, proprio sotto il palazzo della Cei, quasi si scontra con un'altra automobile blindata e gli agenti delle due scorte stanno per sparare, fino a quando si chiarisce l'equivoco: nell'altra macchina c'è Forlani, anche lui atteso dal cardinale. Così, all'improvviso, si capisce che non ha fatto niente bene ai democristiani la consapevolezza di come erano, di come non sono più. Ha generato su- perbia: «Meriteremmo di esser votati - diceva Forlani qualche mese fa - per altri cento anni» Ha prodotto un narcisismo per fino spassoso, con la signora Gaspari che all'hotel Sabrina di Vasto loda le caviglie nude del marito: «Non è ciccia, sono tutte ossa». E "Don Re": «Se volessi mettermi una catenina lì, ci vorrebbe il girocollo». E perché una catenina lì? Il girocollo? Aiuto. Tutti a casa: ed è un sospiro quasi di sollievo. Materiale antropologico di prima scelta organizzato per definire uomini, regole, cultu re, sensazioni, insomma un partito che fino a ieri ce l'aveva fatta a sfuggire alle analisi ge nerali, calate dall'alto. E invece stavolta, procedendo dal basso, attraverso dettagli, talvolta brandelli, si fa capire di più, questo crepuscolo democristia no. Crisi profonda che s'intuì sce, prima ancora che nelle parole degli ex notabili o negli sforzi disperati dei rinnovatori, nella confessione politico-artistico-esistenziale di Alberto Sordi, cattolico per educazione, de per convenienza, simbolo dell'italiano per innegabile, co rale riconoscimento. Mentre emblematiche, colorate figurine, sullo sfondo, ac compagnano il declino di mam ma de. Si merita un intero capi tolo, per esempio, l'ex giornalista radicale Stefano Andreani che divenuto addetto stampa di Andreotti ottiene una laurea ad honorem presso un'improbabi le università di Rhode Island e aiuta l'Opus Dei a scovare le parole sataniche nelle canzoni rock perché in gioventù ha fat to il disc jockey a Radio Antenna Musica. E perfino Massimiliano Cencelli, proprio lui, quello del manuale, riconosce: «La de non è alla frutta e nemmeno al caffè. E' all'amaro». Tutti a casa. E ci vorrà un po di tempo prima di rimpiangerli Filippo Cec carelli De Mita e ^/ cardinale» Forlani «il gastronomo» E Cencelli ora dice: non siamo alla frutta e nemmeno al caffè, siamo all'amaro Nella foto grande de d'annata Forlani con Emilio Colombo e Zaccagnini Qui accanto De Mita Una vecchia immagine di Giulio Andreotti con Amintore Fanfani

Luoghi citati: Abruzzo, Cina, Rhode Island