Dagli Amendola ai Richelmy Quando soli non si sopravvive

Dagli Amendola ai Richelmy Quando soli non si sopravvive Dagli Amendola ai Richelmy Quando soli non si sopravvive STESSO giorno: il 2 marzo scorso. Stessa ora: le 6,40. Stesso posto: Rimini, ospedale degli Infermi. Lei era ricoverata fi da qualche tempo, medicina generale. Lui, a casa, quella mattina s'era svegliato prima del solito con un dolore forte al petto. L'ambulanza lo ha accompagnato al pronto soccorso, e sulla barella, poco prima dell'elettrocardiogramma, il suo cuore ha smesso di battere. Se ne sono andati così Giuseppe e Bianca Montanari, 78 e 77 anni, marito e moglie da 40: insieme, spaccando il secondo, come avessero un accordo telepatico, Giuseppe su quella barella, Bianca nella stanza del reparto un piano sopra. Nessuno dei medici, compilando i referti con dati identici, ha voluto credere nel caso. E forse caso non è stato. «Qualche coppia ha un cuore solo per due corpi: quando si ferma porta via tutti e due» diceva un altro medico tanti anni fa. Era il 1980. La notte tra il 5 e il 6 di giugno, alla casa di cura romana Villa Gina, muore Giorgio Amendola. Mentre la mattina successiva una folla viene a dare l'ultimo saluto al leader comunista, da casa i figli chiamano il professor Mario Spallone: Germanie Lecocq, moglie di Amendola, aveva avuto «una stretta al cuore». Nelle cronache di quel giorno il cardiologo ricorda: «Aveva avuto un infarto. Subito l'abbiamo portata in clinica, ma non ce l'ha fatta. Era rimasta accanto a Giorgio fino all'ultimo. Si è spenta poche ore dopo di lui, non è sopravvissuta al dolore per aver perso il compagno della sua vita». Ancora in quelle cronache, il professor Spallone non è stupito affatto: «Lo ripetevano sempre, Giorgio e Germaine: "Quando muori tu morirò anch'io". Se fosse morta prima Germaine, Giorgio avrebbe fatto la stessa fine. Credo che quanto è accaduto sia parte del rapporto meraviglioso che avevano». Un rapporto meraviglioso, stando ai testimoni, avevano an¬ che Douglas Ridenour, 48 anni, e la moglie Dana Sue, 45. Vivevano in California, ricchi, belli, felici. Ventidue anni di matrimonio, un lavoro di successo insieme. Ma un giorno, era il luglio del '90, il fratello di lui riceve un pacco con la posta. C'è dentro una videocassetta: Douglas e Dana Sue nel filmino raccontano: «Ci siamo interrogati a lungo. Presto incominceremo a di¬ ventare vecchi: saremo in grado di affrontarla, la vecchiaia? E soprattutto: saremo in grado, allora, di porre fine alle nostre vite? Meglio scegliere adesso il momento di morire, è un diritto al quale non vogliamo rinunciare». Quando il fratello di Douglas corre a controllare, trova la conferma: Douglas ha sparato a Dana Sue, ha ucciso i due cani barboncini e ha premuto il grilletto un'ultima volta contro la sua tempia. Il 27 febbraio 1991. La villa del Settecento, a Collegno, alle porte di Torino, è ancora avvolta nel buio quando la governante entra nella stanza di Tino Richelmy, nato nel marzo 1900: «Vecchio come la luna» diceva di sé il poeta de «L'arrotino appassionato». Richelmy, nel suo letto, non respira più. La moglie, Iole, 77 anni, è poco lontano, riversa a terra. Non è necessaria l'autopsia per stabilirlo: col sonnifero hanno messo fine alle loro vite, trascorse insieme fin dall'adolescenza. C'è una lettera alla figlia, trovata sul comodino, che racconta i perché di quella scelta: «Stiamo andando alla fine e siamo tanto stanchi, tutti e due. Così non dovrai più preoccuparti per noi». I rilievi della polizia sono cauti e rispettosi in quella casa conosciuta da Eugenio Montale e Carlo Levi, dove aleggia Gozzano, dove sono «presenti» i Fedro, i Virgilio, i Flaubert che il poeta traduceva. E dai rilievi della scientifica, quanto è accaduto è chiaro: la sera del 26 febbraio Iole prepara la dose di sonnifero per sé e per Tino. Insieme la bevono, e insieme s'addormentano per sempre, [e. fer.] Giorgio Amendola (a sinistra) e il poeta Tino Richelmy

Luoghi citati: California, Collegno, Rimini, Torino