«lo, lepre, nel mirino del cacciatore Di Pietro»

«lo, lepre, nel mirino del cacciatore Di Pietro» «lo, lepre, nel mirino del cacciatore Di Pietro» Enzo Papi: non mi sento un corruttore, il sistema mi disgustava DAL CARCERE DI SAN VITTORE SMILANO ONO diventato testimone e simbolo dell'Italia da rifare. Io, che di questo sistema avevo disgusto e che cercato di lottare per cambiarlo». E' il 7 maggio '92 ed Enzo Papi, amministratore delegato della CogefarImpresit, scrive alla moglie, dopo aver passato la sua prima notte a San Vittore, con l'accusa di concorso in corruzione per la costruzione di un tratto del passante ferroviario di Milano. L'inchiesta «Mani pulite» è avviate da poche settimane, ma Papi già prevede dove potrà portare. «Ho l'impressione - aggiunge - che il "cambiamento" sia iniziato in modo così scenografico che non potrà che concludersi con un colpo scenografico e ogni volta sembra puntare più in alto. Craxi? Forlani? Non siamo ancora giunti al "climax"... Qual è il "dopo'' di questa bufera? Oramai non si tratta più di attività giudiziaria, ma anche politica. Anche l'industria deve capirlo!... Occorre che le forze sane del Paese, quelle produttive, si diano una strategia e una organicità. Per adesso non si vede come e dove». E quattro giorni più tardi, sempre in una lettera alla moglie, Papi sostiene: «Qui si vuole "moralizzare" ed è giusto, ma non si vuole distinguere. La magistratura cerca di fare quello che gli elettori non sono riusciti a fare con le elezioni: mandare a casa i politici corrotti. Gli imprenditori sono uno strumento e poiché si sentono vittime, sono più disponibili a collaborare. Attenzione: sono gli inizi - più che di azioni di moralizzazione - di processi pubblici dove la condanna la fa l'assemblea». Rimanendo in cella per 55 giorni (fino al 22 luglio, quando ha ottenuto gli arresti domiciliari), Papi ha avuto «il tempo di riflettere su molte cose», come osserva la moglie Amineh Pakravan, iraniana, conosciuta a Firenze nei giorni della grande alluvione. Riflessioni entrate in un fitto epistolario tra l'ex amministratore Cogefar e la sua signora, che ieri il Corriere della Sera ha pubblicato per stralci, con l'autorizzazione dell'inte¬ ressato ed un commento del politologo Lucio Colletti. Tre pagine di giornale, non per registrare «vicende o stati d'animo personali», ma per riferire considerazioni che riguardano le «sorti del nostro Paese, e quindi di tutti noi, risalendo spesso dall'analisi del presente alla storia del passato». Papi ha letto Braudel («Le temps du monde»), «Le siècle d'Auguste» e il saggio di Montanelli sulla Controriforma («Un libretto un po' superficiale, anche se individua alcune cose essenziali»), durante le sue prigioni in quella «costruzione squallida, arcigna ma non priva di monumentante» come gli è apparsa San Vittore. Gli riesce facile il confronto fra la crisi odierna e quella del Cinquecento. «Nello stesso anno in cui Colombo scopriva l'America, moriva Lorenzo il Magnifico e Savonarola inquisiva le coscienze e le ricchezze di Firenze. Ricchezze peraltro decadenti, se si dà credito alla voce che Lorenzo alimentava oramai la sua fortuna con una "tangente" dell'8% sull'estrazione del sale di Volterra» (lettera del 19 maggio). Fu la fine della centralità italiana nel Rinascimento. Il vento dell'economia e della politica soffiava verso «i grandi spazi dell'Europa». E non il Mediterraneo, ma l'Atlantico «apriva nuove ricchezze». Ed oggi? In Italia «manca una ipotesi di Stato, non solo lo Stato» (24 maggio). Il Paese «è ad una svolta... La spinta a distruggere è, oggi, più grande della spinta a ricostruire» (27 maggio). Perché non si tollera più il sistema esistente? Si sommano «due equivoci di fondo»: 1'«irrisolto confronto tra la cultura cattolica tridentina dell'Italia papalina e borbonica e quella riformista dell'Italia del Nord» ed il «connubio tra assistenzialismo cattolico e populismo statalista del partito comunista a cui i partiti laici non si sono opposti» (11 maggio). «Questo Paese - scrive alla moglie - ha gettato la dignità alle ortiche da secoli. Lo hanno fatto papi (non io!), principi, preti, amministratori, e oggi i giornalisti...» (13 giugno). Ha il dente avvelenato con i giudici. «Ho sentito il telegiornale. Di nuovo Milano. Di Pietro. Inevitabilmente questo processo diventerà un processo alla Prima Repubblica, ai partiti... Nel Medioevo si diceva: "Dagli un altro giro di ruota, vedrai che parlerà". Oggi, quando si ha un minimo di materiale di prova, si dice: "Dagli un giro di San Vittore, vedrai che racconterà tutto quello che sa"» (11 maggio). «Devo sopravvivere in questo confronto impari tra il "cacciatore" vincitore e la lepre che corre a portata di fucile su un prato senza riparo» (13 giugno). Si difende. Non si vede «dalla parte degli accusati»: «Non mi sento addosso l'etichetta di cor ruttore. Ho conosciuto sulla mia pelle gli aspetti recessivi di questo sistema che ho dovuto subire con grande nausea... Come si fa a sentirsi colpevoli di aver accettato regole consolidate da anni e imposte dal "principe"? Come si fa a considerarsi colpevoli, quando l'accet tazione era l'unico modo per eser citare l'attività?». Mario Tortello «Da secoli, il Paese ha gettato la dignità alle ortiche...» Enzo Papi, ex amministratore delegato della Cogefar-lmpresit

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