Pareyson libertà e pensiero tragico di Gianni Vattimo

Ricordato da Cacciari, Gadamer e Tilliette Ricordato da Cacciari, Gadamer e Tilliette Pareyson, libertà e pensiero tragico Al Piccolo Regio di Torino è stato commemorato ieri Luigi Pareyson, morto 1*8 settembre 1991. La commemorazione era organizzata dall'Accademia delle Scienze e dall'università col patrocinio del Comune. Nato a Piasco (Cuneo) nel 1918, fu per molti anni professore di Filosofìa teoretica. /Ni I commemora Luigi L Pareyson in un momento «in cui il suo pensiero è I 1 tutt'aJtro che «consegnaKs Ito alla storia». Sono in corso di pubblicazione, a cura di amici e allievi, i suoi lavori degli ultimi anni (sono appena usciti il libro su Dostoevskij, presso Einaudi, e un lungo saggio nel volume del 1992 dell'Annuariofilosofico che egli aveva fondato e dirigeva presso Mursia) che testimoniano un'attività filosofica intensamente attuale, nonostante Pareyson avesse sempre creduto nella inattualità della filosofia, almeno nel senso di un suo distacco dalle questioni più immediate, dalle mode e dai dibattiti. Eppure, via via che la sua figura prende i contorni di un vero e proprio classico del pensiero del nostro secolo, il significato della sua filosofia si presenta come un insieme di tesi e di intuizioni che si offrono non tanto come risultati acquisiti (e perciò anche archiviabili), ma come stimoli a ulteriori sviluppi. I nomi degli studiosi che hanno preso la parola nella cerimonia commemorativa, e cioè Hans Georg Gadamer, Xavier Tilliette, Massimo Cacciari, indicano abbastanza bene alcune delle direzioni più'significative del pensiero contemporaneo rispetto alle quali le opere di Pareyson continuano a rappresentare un contributo imprescindibile. II gesuita Xavier Tilliette è uno dei massimi studiosi contemporanei del pensiero di Schelling, a cui anche Pareyson si era dedicato per lunghi anni, e del quale, soprattutto, aveva fatto uno dei punti di riferimento anche del suo lavoro teorico. Le idee del cosiddetto ultimo Schelling, degli anni in cui egli elaborò una teoria che si collocava oltre la posizione hegeliana e anticipava temi poi cari agli esistenzialisti, sono al centro di quella che Pareyson chiamava la «ontologia della libertà», l'opera che stava portando a termine poco prima di morire. Si tratta di una concezione filosofica dell'essere che, per render pensabile la libertà, deve superare le idee metafisiche tradizionali che hanno sempre immaginato l'essere come un compatto blocco di positività, identico al bene, al valore, alla bellezza. Il linguaggio del mito In un essere così concepito - che è anche il Dio delle teologie puramente razionali - non c'è posto per il dramma della libertà umana, che diventa un evento apparente, superficiale, fìnto (qualcosa come il divenire per il parmenideo Severino). Se l'esperienza della libertà va presa sul serio, l'essere stesso va pensato come percorso dalla negatività, o almeno come risultato di una vittoria sul nulla che però lo segna in maniera permanente. Ma per parlare dell'essere in questi termini non si può rimanere, secondo Pareyson, nell'ambito della pura filosofia razionale, bisogna ricorrere al linguaggio del mito e della rivelazione religiosa. Il vero superamento della metafisica, di cui oggi la filosofia parla tanto, a cominciare da Heidegger, è per Pareyson un pensiero che si attua nell'ascolto e nel commento della rivelazione ebraico-cristiana, anche e soprattutto come dottrina del peccato e della redenzione. In quanto attento soprattutto alla negatività che segna l'essere stesso («Il male in Dio» è il titolo di uno dei più «scandalosi» saggi pareysoniani degli ultimi anni), il pensiero di Pareyson si è anche chiamato «pensiero tragico», e sotto questo aspetto molti dei suoi temi circolano nella più recente filosofia italiana, a cominciare dall'opera di Massimo Cacciari. Rispetto a queste tematiche, potrebbe sembrare che Gadamer (che, come ha scritto Habermas, ha «urbanizzato» la filosofia di Heidegger) rappresenti un riferimento relativamente eterogeneo. Il legame tuttavia c'è, e molto stretto: non solo perché, come ha riconosciuto lo stesso Gadamer nei suoi scritti, Pareyson ha rappresentato un momento fondamentale per l'ermeneutica contemporanea in quanto, a cominciare dalla sua Estetica del 1954, ha fornito una delle poche analisi puntuali di ciò che è l'interpretazione («conoscenza di forme da parte di persone», una definizione densa di implicazioni teoriche non ancora del tutto esplorate); ma anche e soprattutto perché la sua insistenza sul problema del male e del peccato è strettamente legata alla consapevolezza che l'atto dell'interpretazione (di un testo del passato, di un'opera d'arte, di qualunque messaggio) è sempre esposto alla possibilità dello scacco. Ora, una certa apparenza un po' irenistica, urbana, tranquillizzante che costituisce un autentico rischio per l'ermeneutica contemporanea deriva proprio dalla scarsa attenzione a questa possibilità di fallimento dell'interpretazione. Ebbene, Pareyson mette in guardia precisamente contro questo rischio. Comunque ci si voglia atteggiare nei confronti della tragicità, sembra innegabile che l'ermeneutica, se non vuole confondersi con il puro e semplice relativismo culturale, deve fare i conti con il problema di come pensare quell'essere che si offre solo nell'interpretazione, e dunque con i temi della pareysoniana ontologia della libertà. Gianni Vattimo

Luoghi citati: Cuneo, Piasco, Torino