Vivacità a scatto e poi la buia prigione di Giorgio Pestelli
Vivacità a scatto e poi la buia prigione IL CRITICO Vivacità a scatto e poi la buia prigione TORINO. Il pubblico del Regio, anche quello sempre un po' spaesato delle prime, ha mostrato di gradire l'operetta (e che operetta!) inserita in stagione, «Die Fledermaus» di Strauss, in un allestimento scenico del Gran Teatro di Ginevra con la direzione musicale di Alfred Eschwé e la regìa di Jerome Savary. Carlo Majer era partito con l'idea di rappresentare un musical di Cole Porter, «Anything Goes», rinunciandovi per ragioni economiche; con l'immortale partitura di Strauss il direttore artistico del Regio ha tenuto fede al gradito programma di aprire il cartellone al teatro leggero, al divertimento; non solo a Torino (dove la serietà a prova di bomba di Piero Rattalino era arrivata ai due «Don Carlos» di Verdi, cui bisognava andare «per studiare»), ma in tutta Italia, salvo Trieste e Palermo, il' teatro musicale leggero o di mèzzo carattere gode infatti di poca fortuna. Speriamo che Majer continui, magari con lavori dove il confronto con dischi e allestimenti forestieri sia meno schiacciante che nel «Pipistrello»: c'è da pescare nel mare magno di Auber e di Offenbach, nell'incantevole Lortzing, nel «Barbiere» di Cornelius, nelle «Comari» di Nicolai, in lavori minori di Gounod, in Gilbert & Sullivan, nella «Sposa venduta» di Smetana che non si sente più da secoli, nei meravigliosi «Stivaletti» di Ciaikovski che non si sono sentiti mai; per non parlare di casa nostra: «Amelia al ballo» o «Il telefono» di Menotti sono cose divertentissime, idem Nino Rota, e un paio di operette di Lombardo e Ranzato si potrebbero riprendere, ricordandosi che a Torino vive Cesare Gallino, pontefice massimo di «Campanelli» e «Cinci-là». E' vero che oltre alla preferenza tutta italiana per il lirismo tragico, a sfavore del E' I renz I smo teatro giocoso gioca la difficoltà dei trapianti da lingue dialettali e da costumi autoctoni: come si è visto anche l'altra sera con il «Pipistrello», la cui vivacità non era certo assente, ma tuttavia intermittente. Già l'ouverture ha mostrato quanto poca abitudine l'orchestra del Regio abbia con i frissons e l'acida spavalderia dell'operetta viennese: note a posto e scrupolosa concertazione di Eschwé, ma bielle e giunture lente a raggiungere l'esaltazione danzante e vorticosa dell'insieme. Lunghissima poi la prima parte della scena della prigione dove il pur bravissimo Heinz Holocek (il carceriere brillo) improvvisa a briglia sciolta, con battute tollerabili in viennese schietto ma raggelanti nella traduzione italiana ripetuta dall'attore; il guaio più grave di questo episodio è che il ricordo della baldoria notturna, che saltella' lì in mezzo come un folletto, viene diluito e quasi del tutto annullato. L'esibizione del glorioso Giuseppe Taddei durante la festa fa numero a sé: gliene siamo grati per quanto ancora ci insegna in arte vocale e scenica, ma se fosse più breve ne guadagnerebbe ancora una volta il ritmo generale. Il meglio della serata è nell'insieme di primo e secondo atto, dove la regia di Savary conduce con brio, sottigliezze psicologiche e toni buffoneschi la preparazione e poi l'esplosione della colossale festa da ballo (di Tiziana Tosco la coreografia). Tutti bravi e in parte i cantanti, Sona Ghazarian, J. Patrick Raftery, Alexander Malta, l'illustre Trudelise Schmidt, Donald George (che ha cantato malgrado un'indisposizione), i vivacissimi Sebastian Holecek e Melanie Holliday, Francesco Memeo e Freya Schumann. Giorgio Pestelli eli! |
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