I'incubo di Segni condiziona dc e psi di Alberto Rapisarda

Molti deputati vogliono far cadere Amato per paura che il leader referendario diventi troppo forte Molti deputati vogliono far cadere Amato per paura che il leader referendario diventi troppo forte I/incubo di Segni condiziona de e psi Partiti divisi sulla crisi di governo prima del 18 aprile ROMA. Volano nere come corvi le voci che ormai tengono in costante fibrillazione gli addetti alla politica. Al mattino, passeggiando a Montecitorio, il socialista Rino Formica dice di essere «preoccupato» per le voci che coinvolgerebbero il ministro Reviglio, suo compagno di partito, ex presidente dell'Eni. E lui, come tutti, sa che un avviso di garanzia per un ministro così importante comporterebbe le sue dimissioni e quelle, inevitabili, del governo guidato da Giuliano Amato. A sera, sciamano i deputati dall'aula e vanno ad accalcarsi davanti al video della loro sala stampa per controllare sulle agenzie se c'è stata la maxi-retata di politici di cui si mormorava nel pomeriggio. Su tutto incombe sempre il timore per alcuni, la speranza per altri, che arrivi alla fine l'avviso che butti tutto all'aria, magari per aprire la strada ad una soluzione «di emergenza». In questo groviglio, si sta combattendo una battaglia sorda, ma forse decisiva, attorno alla durata del governo Amato. In primo piano ci sono democrazia cristiana e partito socialista. Al loro interno si fronteggiano il partito del «governo subito» contro quello, più cauto, del «governo del 19 aprile». Le schiere di chi teme che dopo i referendum Segni diventerà troppo forte per poterci trattare e quelle di chi fa osservare che se non ci si mette d'accordo col pds non c'è niente da fare. Il partito dei nervi a fior di pelle e quello che vorrebbe ragionare ancora. Una de che vorrebbe un governo Martinazzoli subito per evitare il rischio di un governo Segni dopo. Dice Vito Riggio, democristiano referendario: «Nel mio partito sono riusciti a fare una direzione che ha un unico denominatore comune: sono tutti nemici di Segni. Si sono inventata anche la presenza degli ex presidenti del Consiglio per fare entrare Andreotti. Vogliono la crisi di governo subito? Ma che strategia è? Per salvarsi dovrebbero fare arrivare avvisi di garanzia anche a Se¬ gni e a Orlando». Certo, una crisi prima dei referendum finirebbe per aggravare la confusione in atto col rischio di creare il terreno favorevole per i possibili maleintenzionati. Ma ci sono democristiani e socialisti che non sembrano pensarla in questo modo, e lo dicono. Davanti al consiglio nazionale della de, il ministro Guarino ha esplicitamente chiesto l'immediata caduta di Amato e il passaggio della guida del governo alla de. Martinazzoli ha risposto a lui, e ai tanti che sembrano pensarla come lui, che si illudono, perché la de non ha più la forza di un tempo. Davanti al portone di Mon¬ tecitorio, il socialista Nicola Capria concorda con Guarino: «Ci vuole un governo subito per fare là riforma elettorale uninominale a due turni - è la sua giustificazione -. Se lo si fa dopo i referendum c'è il rischio che passi la soluzione ad un turno». Cioè, quella che, secondo le previsioni, farebbe a pezzi gli attuali partiti. E l'ex presidente socialista della Rai Enrico Manca: aggiunge: «Non si può aspettare che il governo arrivi decotto al 18 aprile, perché i referendum potrebbero diventare una spallata a tutto il sistema politico». Giusi La Ganga, capogruppo del garofano dice: «Crisi subito per arrivare ai referendum almeno con un progetto di alleanza avviato. Altrimenti, dopo è peggio». Possibile? Martinazzoli e Benvenuto stentano a tenere a freno i rispettivi partiti spiegando che per fare un altro governo ci vuole l'accordo del pds, che non c'è. «Sperano che noi avviamo trattative da subito per fare il governo dopo i referendum ma si illudono. Noi pensiamo solo a far vincere i sì e credo che così facendo si spegneranno anche le varie "rivelazioni" strumentali che vengono messe in giro per costringerci a cedere» assicura Davide Visani, coordinatore del pds. Perché i pidiessini son convinti che sia in corso una campagna, gestita da un misterioso regista, per convin- cerli con le cattive maniere ad andare al governo, pena guai peggiori. E, tanto per raffreddare i frenetici del governo subito, Massimo D'Alema capugruppo della Quercia alla Camera rende nebulosa anche la possibile nascita del governo del doporeferendum. Diversamente da Occhetto, che aveva risposto con interesse al «governo del sì» offerto da Martinazzoli, Massimo D'Alema ora dice che «il sì non è un denominatore comune sufficiente per fare governi». E lascia capire che al «governo di transizione» dovrebbe partecipare anche la Lega. Alberto Rapisarda Ma Martinazzoli e Benvenuto cercano di tenere a freno la base: ci vuole l'appoggio di Occhetto II segretario della de Mino Martinazzoli

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