ATROCE IRLANDA

ATROCE IRLANDA ATROCE IRLANDA «Cai», un romanzo di Mac Laverty sul conflitto fra cattolici e protestanti LA Somalia, la Bosnia e gli altri teatri dei massacri più recenti possono farci dimenticare quel sinistro ronron di violenza stupida e crudele che, proveniente dall'angolo in alto a sinistra della carta geografica d'Europa, accompagna ormai da molti decenni come una nota costante di sottofondo la storia di quella che una volta si chiamava la Cristianità. Il conflitto per il possesso dell'Irlanda del Nord non potrà mai avere una soluzione accettabile, perché non si può pensare né che la Gran Bretagna rinunci all'Ulster, la grande maggioranza dei cui abitanti è di religione protestante e vuole restare nel Regno Unito, né che i cattolici dell'Irlanda indipendente si rassegnino a fare a meno di questo lembo della loro isola, oltretutto abitato da «fratelli» che bisogna «liberare». In ogni caso il logorante conflitto è andato avanti per così tanto tempo, da dare l'impressione che le stesse parti in causa ne abbiano dimenticate le ragioni remote; si procede a forza di vendette e di controvendette, di rappresaglie e di spedizioni punitive, con un crescendo di atrocità che dovremmo trovare tanto più raccapricciante in quanto commesso nel nome di Colui che insegnava a porgere l'altra guancia. Quando si tratta di malvagità i cosiddetti cristiani non sono secondi a nessuno. Schiantare il cranio di un elemento della parte avversa mediante una pressa meccanica o evirare un prigioniero prima di sparargli alla tempia sono prassi adottate nella verde isola di San Patrizio da molto prima che i serbi cominciassero a far parlare di sé sui telegiornali. Dei poeti cantarono con ardore le aspirazioni dell'Irlanda alla libertà, ma una volta ottenuta questa per i tre quarti della nazione, la saga dell'Ulster non ha ispirato una grande letteratura, forse per via della sua aridità e anche della sua ripetitività. «Cai», breve romanzo di Bernard Mac Laverty, scrittore nato a Belfast, oggi tradotto da Grazia Gatti, ha già dieci anni; ma potrebbe benissimo essere stato scritto la settimana scorsa. E' la vicenda di un giovane cattolico che vive solo col padre, impiegato ai macelli comunali, nel settore protestante di una cittadina di campagna. Egli accetta le vessazioni illudendosi di potersi astrarre, una sera Cai sparisce. Nessuno sa che ha trovato lavoro come bracciante in una fattoria; nessuno sa che in questa vive proprio la vedova dell'uomo che ha aiutato a uccidere. Attirato irresistibilmente da questa donna, Cai ci fa amicizia, se ne lascia aiutare, ci finisce inevitabilmente a letto. Ma gli ex compagni scoprono il suo nascondiglio... D'accordo, la vicenda è abbastanza scontata, né il finale ci riserva gran sorprese. Colpisce tuttavia in questo racconto, certamente molto vicino a una realtà quotidiana, il senso di rassegnazione con cui la gente convive con l'orrore. Quando Cai si rintana in una baracca disabitata della fattoria, non si lava e non si cambia per quindici giorni; alla vedova, che gli offre un bagno e che gli chiede se si vuole cambiare le mutande, dice scherzando che un metodo per capire se le mutande sono sporche è gettarle contro il muro: se non ci restano appiccicate vuol dire che si possono portare ancora. Così la gente si è abituata alle bombe, alle esecuzioni, alle rapine; ridendo dopo un colpo in un supermercato, Crilly commenta che le donne che ha fatto distendere a terra gli hanno chiesto a quale fazione sarebbero andati i soldi. L'Ira e i suoi nemici ammazzano insomma con la stessa indifferenza con cui vengono abbattute le bestie nel macello dove lavora il padre di Cai (ma non Cai, che appunto ci ha provato ma ha dovuto smettere per i continui accessi di nausea). Il messaggio del libro, ed è un messaggio inquietante, si trova qui: nella mancanza di indignazione con cui tutti, noi compresi dalla nostra comoda distanza, hanno finito per accettare la disumana routine. Gabriele. Romagnoli, ; l'autore di «Navi in bottiglia» il GABRIELE Romagnoli scrive centouno racconti che si sviluppano per così dire a sorpresa, cioè che suggeriscono una aspettativa che poi in conclusione smentiscono. In ciascuno dei centouno racconti il protagonista è alle prese con i suoi conti ma, appena prima di portarli a termine, una mano misteriosa s'inserisce a mettere l'ultima cifra e la somma finale è pressoché capovolta. Ma allora chi guida la nostra vita? Il caso, il destino, una mente occulta che si serve di noi per i suoi progetti, la maledizione di cui siamo vittime obbligate? D'altra parte se guardiamo dentro di noi non stentiamo ad accorgerci che non siamo andati dove volevamo. I racconti di Romagnoli raccontano di centouno personaggi che vanno altrove. C'è lo scrittore che scrive il suo libro migliore ma lo brucia perché lo amava troppo e disperava di poterne essere debitamente ricambiato; c'è l'adolescente stuprata da un uomo che poi per il rimorso si uccide ma lei è cieca e non saprà mai che quell'uomo è suo padre; c'è Cristina che aspetta una lettera da Marco di cui è innamorata e dopo otto anni la riceve ma è la partecipazione di nozze di Marco con Giovan¬ Masolino d'Amico Bernard Mac Laverty Cai Feltrinelli pp. 156. L. 23.000

Persone citate: Bernard Mac Laverty, Crilly, Giovan¬ Masolino D'amico Bernard Mac Laverty Cai, Grazia Gatti, Mac Laverty, Romagnoli