C'è anche Andreotti nella «nuova» dc di Fabio Martini

Varata la direzione: esce Citaristi, ma raccoglie tanti applausi. Gaspari: non ho niente da vergognarmi Varata la direzione: esce Citaristi, ma raccoglie tanti applausi. Gaspari: non ho niente da vergognarmi C'è anche Andreotti nella «nuova» de Martinazzoli sceglie i suoi uomini recuperando Giulio ROMA. E sul più bello Mino Martinazzoli si illanguidisce. Proprio lui, il leader asciutto, deve ricorrere a un filo di retorica: «Se amate la de», dice il segretario rivolgendosi ai suoi, votate uniti la nuova direzione. Sono le sei della sera nel salone di Palazzo Sturzo, i dirigenti democristiani stanno discutendo da sei ore e mezzo l'incerto futuro del partito, ma dopo tante parole è arrivato il momento-clou: l'elezione della direzione della «nuova» de. Dietro le quinte si è trattato fino all'ultimo minuto, le vecchie correnti hanno preteso il bilancino, la lottizzazione dei 15 posti in palio. Martinazzoli ha limato, ha aggiunto qualche nome, ma sa che ci sono molti scontenti in giro. Sia tra i notabili che tra gli «ultra» del rinnovamento. E dice ai suoi: «Temo che il nostro consiglio nazionale si tradurrà nella cronaca politica nel mugugno su chi c'è o non c'è... Vi pregherei di misurare su queste cose il vostro amore per la de». La platea applaude, Martinazzoli si siede, ma prima di leggere i nomi della nuova direzione fa un ultimo, accorato appello: «Non chiedo compassioni particolari e, anche se sbaglio, so di essere posseduto da una straordinaria passione per questo nostro partito... Anselmi Tina, Bodra- to Guido, Binetti Vincenzo...». Martinazzoli legge gli altri 12 nomi della nuova direzione e poi conclude: «Naturalmente fanno parte della direzione gli ex segretari, gli ex presidenti del Consiglio, i rappresentanti dei gruppi parlamentari»? La platea applaude, approva per acclamazione. E con quel battimani il parlamentino de approva anche uno strappo allo * statuto, un'innovazione fatta scivolare silenziosamente: per «salvare» Giulio Andreotti, per farlo entrare nella plancia di comando del partito, entrano in direzione anche gli ex presidenti del Consiglio, anche se la «magna charta» del partito non lo prevede. E con la «regola dell'ex», oltre all'intramontabile Giulio, entrano anche Giovanni Goria ed Emilio Colombo. Restano in direzione anche gli ex segretari della vecchia generazione (Amintore Fanfani, Flaminio Piccoli, Paolo Emilio Taviani) e quelli più recenti come Ciriaco De Mita, Arnaldo Forlani. Ci sono tutti e non può mancare neanche Antonio Gava, che è presidente dei senatori. Era un passaggio difficile quello di ieri per Martinazzoli. Tre mesi fa ci aveva già provato a far pulizia al vertice, ma gli era andata male. Non si erano fatti estromettere i colonnelli, gli uomini «pesanti», i padroni delle tessere, Vittorio Sbardella il re di Roma, Gianni Prandini, il «braccio armato» di Forlani, Paolo Pomicino il «viceré» di Andreotti a Napoli, Carlo Bernini, l'ultimo doroteo veneto, Remo Gaspari, il «padrone» dell'Abruzzo. Ma in tre mesi l'inchiesta «Mani pulite» ha straziato la de, ha colpito i suoi uomini di potere. E la fotografia di Palazzo Sturzo alle 10 del mattino lo dimostrava: tante poltrone vuote, pochissimi gli indagati presenti. Mancano Pomicino, Misasi, Prandini, Gianni Fontana, Leccisi, Lega, Tabacci, Citaristi, Sbardella. C'è invece Remo Gaspari: «E' mio dovere partecipare, non ho nulla di cui vergognarmi». E i capi? Nascosti e silenziosi. Dice Luciano Faraguti: «Si vede che sono tesi, nervosi, nessuno è in grado di vedere il futuro». Prova a guardare nel futuro, è il suo mestiere, Mino Martinazzoli. «La de - dice - è un sodalizio morale, non il luogo dei potenti»; invita a non autoflagellarsi («è intollerabile l'elogio delle macerie»); polemizza con Segni («non deve scambiare la nostra prudenza per arrendevolezza»), ma la novità più importante della sua relazione è proprio il messaggio che, sia pure indirettamente, lancia al leader referendario. A Segni, che aveva detto di essere pronto al grande abbraccio pacificatore, se Martinazzoli avesse rotto gli ormeggi con la vecchia de, il segretario fa una controproposta, ipotizza «un congresso costituente, che dia il senso del partito rigenerato». E un congresso costituente, per definizione, fa nascere qualcosa di nuovo. Nel dibattito le parole più preoccupate sono venute da Ciriaco De Mita («Siamo davanti ad un'impotenza generale della politica»; «occorre distinguere tra illecito penale e giudizio politico») e da Guido Bodrato («sta emergendo una tendenza a costruire un'idea totalizzante nell'amministrazione della giustizia»). Sugli organigrammi l'unico dissenso è venuto da Clemente Mastella («attenzione a non riprodurre la logica delle correnti»), ma alla fine il consiglio nazionale ha eletto per acclamazione il nuovo amministratore Emilio Rubbi (al posto del pluri-indagato Citaristi, assente ma applauditissimo) e la nuova direzione di cui fa parte, tra gli altri, il filosofo Rocco Buttiglione. Per il resto sei appartengono al grande centro, quattro alla sinistra, tre sono gli andreottiani e un forzanovista. Escono, senza le tante eccezioni ammesse nel psi, tutti gli indagati. Fabio Martini

Luoghi citati: Abruzzo, Napoli, Roma, Segni