Di Donna tutti i segreti dell'Eni di Claudio Martelli

«Cefis speculava sui cambi, Mazzanti inventò provvigioni, poi ci fu la finanza parallela» «Cefis speculava sui cambi, Mazzanti inventò provvigioni, poi ci fu la finanza parallela» Pi Donna; tutti i segreti delPEni / trucchi dei fondi neri, da Mattei a oggi «CHI E COME DAVA SOLDI Al PARTITI» «QROMA UESTI vogghiono schiacciarmi i' noci sulla testa». Riaffiora implacabile un'antica inflessione calabra nell'ira fredda di Leonardo Di Donna, ex potentissimo vicepresidente dell'Eni, scomparso dalla scena per due lustri e poi, improvvisamente, evocato di continuo come il fantasma dell'Opera. Lunedì sera a Mixer è stato il presidente del Senato Giovanni Spadolini a citarlo come emblema di Corruttopoli, dell'Italia delle tangenti e dei fondi neri. Ma gli avevano già dato il suo, pochi giorni prima, il ministro delle Finanze Franco Reviglio, ex presidente dell'Eni, e i giudici di Milano che, sulla base delle dichiarazioni di Fiorini, lo accusano per la bancarotta dell'Ambrosiano. Che Di Donna sia un personaggio discusso e inquietante è noto a chiunque conosca la vicenda degli intrecci tra finanza e politica dei primi Anni Ottanta, all'ombra dell'Eni e della Loggia P2, cui Di Donna risultò iscritto insieme a quasi tutti gli altri protagonisti. Ma come sottrarsi alla curiosità di ascoltare un uomo che conserva una quantità di segreti così cospicua oggi, nel momento in cui s'è convinto che vogliano schiacciargli le «noci» in testa? La materia è ardua e perciò cercheremo di organizzarla per i lettori in tre capitoletti che s'intrecciano pericolosamente tra di loro e dei quali, quando nonprotagonista, Di Donna è stato acuto testimone: il conto Protezione, cioè il caso che, con l'Enimont, ha riaperto tutto; i quarant'anni di finanza nera dell'Eni, da Mattei in sù; gli anni, infine, della «finanza parallela» dei Larini e dei Pacini Battaglia, culminati con la gestione Eni di Gabriele Cagliari. Dottor Di Donna, i giudici milanesi l'hanno pizzicata? «Sì, ma non centro proprio». Dicono tutti così. «No, io le do le prove». Avanti. «I giudici di Milano, a quel che ho capito, mi hanno convocato perché Florio Fiorini, che all'Eni rappresentava la de, ha raccontato che nel 1983 io gli avrei chiesto per conto di Craxi, preoccupato per eventuali siluri contro la sua nomina a Palazzo Chigi, di risolvere il caso del conto Protezione». E invece? «E' falso, perché io stesso e Fiorini, per conto di Craxi e di Martelli, avevamo già affrontato la questione nell'81 e l'avevamo risolta. Anche perché entrambi rischiavamo l'accusa di peculato». Come la risolveste, di grazia? «Ottenendo, dopo due miei viaggi in Svizzera, una certificazione dell'Ubs che né Martelli, né Fiorini, né io avevamo la disponibilità di conti correnti». Ma i giudici mostrano di non crederci più. «Certo, perché Larini ha inguaiato Martelli». Come? «Martelli dice che nella famosa passeggiata con Craxi e Larini in piazza Missori lui prese soltanto nota del numero del conto, di cui poi si occupò Natali, oggi defunto. Larini replica che lui Natali lo vedeva tutti i giorni e il numero avrebbe potuto benissimo dar- glielo lui. E che Craxi ha una memoria così buona che non c'era da appuntare nessun numero. La sua tesi è che quel conto era roba di Calvi, Gelli e Martelli. Il quale ultimo fu un "cretino", secondo Craxi, perché diede quei dati a Gelli su carta della Camera». E l'Eni che c'entra? «Proprio niente». Abbia pazienza, Di Donna, non vorrà prenderci in giro? «No, è la verità. Anche il giudice s'è arrabbiato quando gliel'ho detto. Ma si trattava semplicemente di un prestito di 7 milioni di dollari di Calvi al psi, di cui si occupò Martelli, e di cui un milione è stato restituito». E i 50 milioni di dollari che l'Eni diede a Calvi? «Questa è un'altra storia. I giudici cercavano da me un contratto che non esiste. C'è, in effetti, una mia lettera all'Ambrosiano che si riferisce a un'offerta di Calvi all'Eni per possibili concessioni uranifere in Canada. E poi un prestito di 50 milioni di dollari della Tradinvest, Eni, all'Ambrosiano». Per carità, dottor Di Donna, ci risparmi la sua difesa. «Potrò dire almeno che col fallimento dell'Ambrosiano io non c'entro niente, pur essendone accusato con Craxi, Martelli e Gelli, ma non con Fiorini, che pure avrebbe agito per mio conto? Lo vuol sapere qual è l'unica mia colpa, se tale si può definire?». Ce la dica. «Quella di aver aiutato Craxi e indirettamente Martelli, che neanche conoscevo prima di queste vicende, per risolvere la storia del conto Protezione, un finanziamento di Calvi al psi, come sanno anche i sassi». Saranno i giudici a stabilire se lei dice la verità. C'interessa di più capire come funzionava il sistema del finanziamento dell'Eni ai partiti. «Semplicissimo: Fiorini fu assunto all'Eni da Cefis e da Corsi proprio per questo, per fare speculazioni sui cambi con i suoi soci italiani e esteri». Lei si chiama fuori? «No, per niente, ma sa, sono della generazione dell'Eni di Mattei». E allora? Anche nel 1953 Mattei sborsava un miliardo per far eleggere Gronchi presidente della Repubblica. «Certo, chi lo nega. Spendeva le decine di miliardi della rendita metanifera con i partiti per far grande l'Eni...». Alt, dottor Di Donila, questo lo sappiamo. Torniamo ai giorni nostri. «I giudici volevano sapere da me se il finanziamento dell'Eni ai partiti, con i proventi delle speculazioni di Fiorini, fosse di soli 300.000 mila dollari al mese». E lei che gli ha detto? «Che non lo so, ma forse manca uno zero. E' vero che, speculando con i suoi amici, qualche volta Fiorini perdeva e non guadagnava, ma visto che giravano 700 o 800 miliardi, se il giudice dubita fa bene. Potrebbe ipotizzare un utile da distribuire tra i 30 e i 40 milioni di dollari l'anno». Chi inventò le speculazioni sui cambi pro-partiti? «Cefis e Corsi. Il sistema di Mattei era molto più semplice, era una fase artigianale, anzi direi padronale. Se aveva bisogno di fondi neri non c'era problema». E poi, invece? «S'inventarono le speculazioni sui cambi. Cefis pagava, ma criticava la partitocrazia. Pensava che il sistema dei partiti fosse ormai al collasso già vent'anni fa. E sa chi l'aveva convinto di questo?». Chi? «Il professor Gianfranco Miglio, l'attuale ideologo leghista, allora ascoltato e pagato consulente dell'Eni, prima, e della Montedison, poi. Diceva a Cefis, e lui ci credeva, che la partitocrazia aveva i mesi contati, che bisognava puntare alla tecnocrazia e al Tecnocrate con la T maiuscola. Naturalmente il Tecnocrate era Cefis, attorniato da una "Fascia dell'assistentato", che eravamo noi. Sghignazzavamo sulla "Fascia dell'assistentato", ma Cefis, che pure io stimo, era affascinato dalle teorie del professore. Certo, l'analisi di Miglio era prematura. Veniva almeno dieci anni prima del vero tripudio della partitocrazia». Ci vuol dire che pensavano a un golpe «tecnocratico»? «Non lo so, a meno che non voglia considerare un golpe la conquista della Montedison. L'idea era che, entrando nel cuore della finanza italiana, si sarebbe scardinato, come dicevano, il "Potere torinese" e si sarebbe potuta governare l'economia italiana. L'altro imperativo categorico era il controllo della stampa». Lei è sicuro di quel che dice? «Figurarsi, Miglio l'ho incontrato anch'io con Cefis. E' come se fosse ieri. Facevano anche corsi per i dirigenti». E perché stima tanto Cefis? «Perché, per esempio, quando c'era lui, mai avrebbe consentito che s'inguaiasse un dirigente. Rispondeva lui di tutto». Lo ha visto recentemente? «Mi ha chiamato qualche anno fa, quando si profilò la storia dei finanziamenti al pei sul gas sovietico. "Guardi - mi disse- lei finisce proprio male, fa una brutta fine. Se rompe i coglioni al pei - testuale - la schiacceranno"». Lei rompeva i coglioni al pei? «Ma per carità! Io sono un ex comunista. Solo che c'era quella storia tremenda della tangente sul metano sovietico». Che storia? «Un giorno De Michelis, che era ministro delle Partecipazioni Statali, chiede all'Eni di riferirgli sulle presunte tangenti sul metano sovietico per rispondere a un'interrogazione parlamentare. Io ero vicepresidente. H presidente Grandi porta la cosa in giunta e si decide di chiedere delucidazioni al responsabile della Snam, Barbaglia. Quello risponde quasi indignato che non è vero. Ma la Finanza va alla Snam e trova tutte le prove e il numero del conto su cui affluivano i finanziamenti a Cervetti e Cossutta. De Michelis ci fece a pezzi, disse che lo avevamo indotto a mentire in Parlamento. Eppure quella storia, di cui c'erano tutte le prove, non ha avuto nessun seguito». Perché Cefis la minacciò? «Non posso dire che mi minacciò, ma Cefis era grande, grandissimo amico di Cossutta e Cervetti». Veramente era amico dei fascisti, faceva spiare tutti. «Sì, è vero. Anche. Per lo spionaggio, poi, aveva una vera passione. Faceva siglare i documenti segreti col "K" per vedere chi della sua squadra lo tradiva». E lei rimpiange questo golpista in sedicesimo, socio del povero Miglio? «Sì, perché ho visto quel che è venuto dopo». Che sarà mai venuto? «Girotti, Sette, Grandi... Il primo era una creatura di Cefis senza personalità che tradì, mettendosi d'accordo con Andreotti e Rovelli come un qualunque pretoriano. Gli altri poi...». Non perdiamo di vista l'interrogativo: come cambiò il finanziamento ai partiti? «Mattei aveva il carisma, Cefis inventò con Corsi il sistema della speculazione sui cambi, pur disprezzando i partiti. Girotti e Sette seguirono. Mazzanti fu la svolta. L'inizio della decadenza, con le provvigioni sugli acquisti di petrolio. Un giorno mi chiama e mi dice: "Servono quasi 150 miliardi di fondi neri". Io gli dico se è matto e da lì nasce il caso Eni-Petromin. Gli dissi: "Guardi, professore, che a quel livello il nero non è più nero, ma è come un lenzuolo candeggiato". Non ne volle sapere. Quando io replicai: "Guardi che andiamo tutti in prigione", lui si decise ad andare a chiedere al presidente del Consiglio, che era Andreotti, il permesso per pagare la tangente». Per favore, non ci rifaccia tutta la storia dell'Eni-Petromin. Ci dica chi lucrava. «Andreotti e un pezzo del psi per impossessarsi del "Corriere della sera" e del "Tempo". Ricordo il giorno che mi chiamò Bisaglia, che era ministro delle Partecipazioni Statali, e mi disse: "Ma io non ne so niente, da chi siete andati?" Poi c'è tutta la vicenda del suo sottosegretario Danesi e del ricatto a Mazzanti». Lasci perdere, questa è un'altra storia. «Non è vero, è la stessa». E poi? «Con Cossiga presidente del Consiglio si chiuse così, semplicemente, il caso Petromin . E dopo alterne vicende, presidenti e commissari, si fondò l'Eni di oggi». E qual è? «E' l'Eni della finanza parallela, dei Larini, dei Pacini, dei Mach, dei Pompeo Locatelli». Mica vorrà parlar male con me del professor Reviglio, che ha tentato una sacrosanta moralizzazione? «Lei si tenga la sua opinione. Io, la mia. Reviglio non solo ha compiuto una truffa fiscale da tremila miliardi, ma ha lasciato mano libera alla finanza parallela, purché non gli rompessero le scatole. Gli eventuali schizzi di fango dei Locatelli, Larini, Pacini, Mach e soci toccavano a Mincato e Berriate. A lui interessava soltanto l'immagine del risanatore. Durante la gestione Reviglio i Larini hanno impazzato. In quella di Cagliari sono diventati addirittura i padroni. Il presidente non era che una loro controfigura. Altro che Mattei! Altro che Cefis! Quelli finanziavano i partiti, ma facevano l'interesse dell'ente. Questi facevano i passacarte. Li potremmo mandare da Miglio a fare la "fascia di assistentato"». Che fare con il dottor Leonardo Di Donna? Ha taciuto per dieci anni e passa. Adesso vorrebbe riscrivere tutta la storia d'Italia dal suo piccolo ufficio nei pressi di via Veneto. Non resta, per il momento, che togliergli la parola. Alberto Staterà «Finanziamenti anche al pei per il gas sovietico» «Miglio sognava il Tecnocrate» — «Il conto Protezione è un finanziamento di Calvi al psi» Leonardo D! Donna (foto grande) Sopra, Enrico Mattei A destra Franco Reviglio Sotto, Gabriele Cagliari Sopra, l'ideologo della Lega Nord Gianfranco Miglio Claudio Martelli

Luoghi citati: Cagliari, Canada, Italia, Milano, Svizzera