Il mirabile professore

Alla riscoperta di Martinetti Alla riscoperta di Martinetti Il mirabile professore PIERO Martinetti, piemontese, nato a Pont Canavese il 21 agosto 1872, laureatosi in Filo—I sofia all'Università di Torino il 12 luglio 1893, non fu mai professore nella nostra Università. Insegnò dal 1908 al 1931 sempre a Milano, prima all'Accademia scientifico-letteraria, poi all'Università. Ma aveva insegnato, non ancora trentenne, al Liceo Alfieri, dove ebbe un allievo di eccezione, Arturo Carlo Jemolo, che nel bel libro autobiografico Gli anni di prova (1969) racconta di aver avuto la fortuna di essere stato allievo di un «piccolo liceo», dove professore di filosofia era Piero Martinetti: «Mirabile professore - scrive -. Certi suoi appunti li conservai per anni. Invitava a mettere i problemi nei loro giusti termini. Era un chiarificatore al pari di Croce, con cui non si amavano affatto». Il nome di Martinetti ritorna spesso nelle lettere e negli scritti di questo suo antico allievo. In un articolo intitolato «Il testamento di uno stoico», pubblicato su questo giornale il 24 agosto 1972, in occasione del centenario della nascita, Jemolo rievoca alcuni insegnamenti ricevuti dal suo professore al liceo, come l'amore per gli animali (Martinetti era un vegetariano), sino a domandarsi se non fosse maturata in lui «qualche parola del maestro allora non avvertita». Martinetti, dicevo, non insegnò mai all'Università di Torino, eppure torinesi furono alcuni dei suoi più noti discepoli, pur diversissimi fra loro, ma uniti nell'ammirazione del maestro e convinti dell'importanza che aveva avuto nella loro educazione morale e intellettaule: Ludovico Geymonat, Augusto Del Noce, Luigi Pareyson. Di Martinetti, pur essendone filosoficamente lontanissimo, Geymonat esaltò più volte il rigore morale, l'assoluta libertà di giudizio durante la dittatura, il disprezzo per il conformismo dilagante, il fiero «no» al fascismo. Disse un giorno in una intervista: «Pensavo a lui quando le SS mi sottoposero a un duro interrogatorio: il mio comportamento - mi domandavo - sarebbe apprezzato da Martinetti?». Ricordò il compagno di Università, Ennio Carando, che nel 1939 aveva scritto un libretto di discussione politica, in cui erano echi di insegnamenti martinettiani. Combattente nelle Brigate Garibaldi, Carando, arrestato insieme col fratello Ettore fu fucilato nella notte tra il 5 e il 6 febbraio 1945. Non diversa fu l'iniziazione a Martinetti di Del Noce. Il quale racconta che al filosofo, ormai lontano dall'Università per aver rifiutato il giuramento di fedeltà al regime, fu presentato da Geymonat e Carando, «miei fraterni amici di quegli anni». Però, diversamente dall'amico, in un ampio saggio cerca di dare delia filosofia martinettiana un'interpretazione storica, presentandola in modo originale come il momento conclusivo di alcuni indirizzi filosofici dell'Ottocento, il pessimismo religioso derivante da Schopenhauer e l'anticlericalismo d'origine francese. Vede Martinetti combattere su un duplice fronte, contro il cristianesimo istituzionalizzato e contro l'ateismo; in altre parole, contro la religione, che diventando chiesa favorisce il dommatismo e la superstizione, e contro l'ateismo, che finisce col divinizzare il mondo empirico. Di dieci anni più giovane di noi, Pareyson si fece editore negli Anni Settanta di alcune raccolte di scritti martinettiani. A lui soprattutto si deve la nascita di un interesse meno occasionale per un filosofo che non era mai stato alla ribalta, come Croce e Gentile. Presentando questi suoi scritti martinettiani all'Accademia delle Scienze, parlò di un «martinettismo torinese», di cui si considerava un continuatore. Andando controcorrente, sostenne la tesi dell'«attualità» dell'autore della Introduzione alla metafisica, mettendone in rilievo il «difficile e preziosissimo equilibrio tra esigenza critica ed esigenza religiosa». Mentre il pensiero laico si volgeva sempre più verso un esito antimetafisico e antireligioso, Martinetti era un esempio singolare di «un pensatore laico, che è anticonfessionale ma religioso, criticissimo ma metafisico». Quanto a me, coetaneo dei primi due, ho già raccontato come, accompagnato da Solari, andai un giorno a Spineto dove Martinetti si era ritirato in mezzo ai suoi libri in una casa di campagna sul cancello della quale aveva fatto scrivere: «Martinetti agricoltore». Quale fosse il suo orgoglioso distacco dall'università, appare da una cartolina che ho trovato nel piccolo archivio della Rivista di filosofia, che conservo tra le mie carte. Indirizzata al discepolo e amico Luigi Fossati, che svolgeva in vece sua le funzioni di direttore responsabile della rivista, scrive in data 24 marzo 1932: «Questi ultimi mesi di vita solitaria hanno accresciuto ancora il mio desiderio di pace e di silenzio. Vorrei, se fosse possibile, limitare il mio commercio umano a quelle due o tre persone nelle quali ho posto un vero affetto; il contatto con gli altri mi dà un senso di pena e di avversione». Ho anche raccontato come egli fosse stato arrestato per un equivoco durante la retata degli appartenenti, o presunti tali, al Movimento clandestino di Giustizia e Libertà. Ma solo in questi giorni ho trovato un appunto che avevo preso interrogando la vedova di Solari, nella casa del quale l'arresto era avvenuto. Alle sei di mattina del 15 maggio 1935 arrivano in casa Solari alcuni agenti di questura. Che cosa vogliono? Alle dieci giunge dalla campagna Martinetti. Solari lo presenta agli agenti. «Ah! - dicono soddisfatti -. E' proprio lei che cercavamo». Alle domande degli agenti Martinetti risponde: «Io sono un cittadino del mondo nato per caso in Italia». Uscito pochi giorni dopo dalle Nuove, scrive un breve promemoria della sua esperienza di carcerato, di cui possiedo una copia trascritta dall'originale, che credo inedita. Vi si legge, tra l'altro, che il personale di custodia gli è parso molto più umano di quel che comunemente si creda; che vi sono là dentro almeno tanti galantuomini quanto fuori; che lo strumento principale della crudeltà è il regolamento e si dovrebbe ricordare che ai detenuti è dovuta non solo la giustizia, ma anche la carità. Dei tre amici di cui ho parlato sono ora il solo superstite. Assillato dai ricordi, tanto più vivi quanto più lontani nel tempo, chi sopravvive, specie quando è giunto vicino al termine del lungo viaggio, non riesce a sottrarsi alla tentazione di trasmetterli ad altri più giovani, anche a costo di suscitare talora un senso di benevola sopportazione. Norberto Bobbio Nel cinquantesimo anniversario della morte, Piero Martinetti è stato ricordato ieri con un convegno all'Accademia delle Scienze di Torino. L'introduzione ai lavori è stata tenuta da Norberto Bobbio. Ne pubblichiamo una sintesi.

Luoghi citati: Italia, Milano, Pont Canavese, Torino